Valerio Eletti - Manuale di editoria multimediale
Appendice 1: L’introduzione della dimensione tempo nella bidimensionalità della scrittura
di Tiziana Dedola

Dal tempo allo spazio. La scrittura e l’immagine

La storia della scrittura e dell’immagine mostra come l’introduzione del tempo nei prodotti ipertestuali sia, per certi versi, una conseguenza delle svolte maturate nelle tecniche espressive nel corso del Novecento. Addirittura risalendo ancora più indietro nel tempo vediamo come il movimento ripristini, inaspettatamente, alcune proprietà della forma di espressione umana più antica: la comunicazione orale.

L’oralità affida esclusivamente al supporto sonoro l’espressione del significante linguistico: le parole «sono soltanto suoni che si possono ’richiamare’»4, sono eventi che attestano la presenza immanente di un individuo e coinvolgono gli astanti in uno scambio dialogico.

Nelle culture a oralità primaria si pensava che attraverso le parole «dette» si potesse esercitare un potere sul mondo circostante, che queste, cioè, non fossero delle mere etichette, come invece vengono percepite nelle società permeate dalla scrittura e dalla stampa.

La scrittura e l’immagine, invece, «fissano il pensiero in simboli materiali»5, sottraendolo alla fugacità propria del linguaggio parlato. Entrambe estromettono la dimensione del tempo propria dell’oralità per farsi portatrici di significato, servendosi esclusivamente dello spazio, ma qualificandolo, ciascuna in maniera differente.

La scrittura alfabetica, sottomettendosi all’andamento progressivo della fonazione verbale, dispone i grafemi linearmente attraverso catene regolari di lettere. L’invenzione della stampa a caratteri mobili a partire dal XV secolo porterà a compimento il processo di omogeneizzazione e stilizzazione dei segni6 avviato dalla chirografia: la notazione alfabetica si affermerà come lo strumento più affidabile e preciso per esternare contenuti sempre più indipendenti dal contesto circostante, stabili ed eterni come le pagine dei libri in cui verranno conservate le parole7.

A differenza della tecnica chirografica, l’immagine utilizza la reticolarità dello spazio planare per esprimersi: si serve della topologia delle posizioni (i rapporti oppositivi e relazionali tra le zone di sinistra e destra, alto e basso, centro e periferia) per rendere manifesti i rapporti tra gli oggetti rappresentati, e affida parte del suo messaggio agli equilibri cromatici e plastici tra le sue porzioni8. L’interpretazione di un’immagine risulta senza dubbio più ambigua e indefinita di quella discendente da una pagina scritta, tanto più che la visione segue un andamento itinerante, potendo scivolare tra le zone della rappresentazione senza seguire alcun ordine prestabilito9.

L’immagine, soprattutto a seguito del diffondersi della stampa, svolgerà una funzione principalmente didascalica, dovendo più che altro sopperire alle carenze esplicative del linguaggio verbale, perdendo parte del valore «esegetico» che possedeva nel passato10.

Da quanto detto finora emerge l’opposizione di due modelli di composizione e lettura:

– la scrittura alfabetica, in accordo all’andamento del parlato, dispone i suoi materiali espressivi sequenzialmente, presupponendo quindi una fruizione lineare;

– l’immagine sfrutta l’intera bidimensionalità della superficie spaziale, permettendo una lettura di tipo reticolare11.

Tuttavia la polarizzazione che abbiamo appena esposto non è pienamente esaustiva del corollario di declinazioni che l’espressione scritta e figurativa hanno subito nel corso del tempo.

La stampa, pur accentuando il processo di livellamento del significante scritto, ha infatti di pari passo comportato una diversa attenzione alla forma materiale della parola: dalla poesia di Mallarmé Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, alle tavole «parolibere» futuriste12, ai manifesti pubblicitari ispirati alle opere dei suprematisti negli anni Trenta, fino a giungere alle più comuni riviste illustrate dei giorni nostri, vengono fuori numerosi esempi di uno studio mirato dell’estetica della scrittura in funzione del contenuto veicolato, un diverso trattamento dello spazio della pagina che diventa anch’esso materiale significante, tanto da avvicinare talvolta l’espressione alfabetica alle scritture «iconiche» orientali.

Nel Novecento, in particolare, la scrittura perde via via di precisione acquistando in densità informativa, mentre sul versante dell’immagine pittorica si moltiplicano i tentativi di ritrarre, anche se in forma stilizzata, il movimento dei corpi, così come le potenziali forze cinetiche insite nelle forme, nei colori e nei contrasti13. L’immagine viene spogliata del suo ruolo di referente mimetico e si indagano le possibilità espressive connesse al suo linguaggio plastico e cromatico.

L’integrazione di parole e immagini, insieme alle sperimentazioni provocatorie di dadaisti e cubisti, si diffonde nella stampa pubblicitaria e nelle riviste, grazie anche allo sviluppo di nuove tecniche di stampa come l’offset, che consente la compresenza di parole e immagini sulla medesima matrice di stampa. L’ausilio del computer porterà poi a compimento il processo di mescolamento di scrittura e immagine, che diventeranno così forme estemporanee della medesima sostanza: il linguaggio digitale.

L’ipertesto multimediale è dunque l’ultimo traguardo del processo di ibridazione dei due formati espressivi: ciascuna schermata ospita testi scritti e immagini, veicolando al suo interno sia un orientamento di lettura lineare necessario alla fruizione dei testi scritti, che un andamento iterativo e reticolare proprio dei testi iconici.

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Estetica della scrittura e dell’immagine in movimento

Anche la superficie dell’ipertesto ha subito delle notevoli trasformazioni nel corso della sua breve esistenza.

I primi documenti digitali erano prevalentemente testi scritti, e solo successivamente si sono affermate soluzioni grafiche via via più complesse in cui le immagini potessero acquisire un maggiore spazio e un aspetto più elaborato. L’introduzione del movimento rappresenta così l’ultima tappa nell’evoluzione estetica di un prodotto editoriale dedicato principalmente al trasferimento di nozioni e informazioni.

Allo spazio stabile e omogeneo dei documenti a stampa subentra uno spazio espressivo mutevole, plastico e «reattivo».

Il tempo apporta importanti rivolgimenti nelle fattezze del significante scritto. La progressività del discorso orale viene riprodotta (in maniera meno arbitraria rispetto alla notazione alfabetica) tramite il procedere cadenzato delle lettere sullo schermo; la catena sintagmatica dominata dall’omogeneità dei caratteri a stampa viene spezzata o stravolta al fine di enfatizzare il rilievo delle parole stesse. Le lettere transitano sulla pagina, si ingrandiscono, compaiono all’improvviso o scompaiono in relazione agli intenti dell’autore multimediale.

Il movimento si configura, così, come un tratto visivo che sovradetermina il senso delle parole, poiché al significato lessicale si giustappone il significato che esse assumono nel contesto visivo circostante e le accezioni che derivano dalle caratteristiche delle loro trasformazioni.

Le parole in movimento sono così il prodotto della compresenza di due complementari, la scrittura e l’oralità (la vista e il suono), e rafforzano tendenze latenti in entrambe.

Dall’oralità ritornano alcune proprietà andate disperse nella chirografia: le parole sono nuovamente degli «eventi», accadono nel tempo, non sono eterne e stabili. Evidenziando attraverso il dinamismo la presenza di zone attive, esse sono anche agenti di mutazione, «performative», ossia dotate di potere sugli oggetti del mondo visuale cui appartengono, come si pensava fossero i «nomi» nelle civiltà non alfabetizzate.

D’altro canto le parole estrapolate dalla catena del sintagma verbale ricordano da vicino le forme della poesia visiva, in cui la parola veniva utilizzata alla stregua di materiale pittorico, e richiamano la cura del lettering propria delle composizioni a stampa più recenti.

La parola risulta definitivamente un dato della percezione visiva, concretizzandosi però in forme meno stabili di quelle stampate, ripristinando in parte l’evanescenza e la ritmicità propria del procedere sequenziale dell’oralità.

«Le forme tipo/grafiche sono immagini, sono immagini delle parole, sono immagini dei suoni e delle associazioni mentali che questi ultimi riescono a ricreare»14.

Il rapporto tra le parole e le immagini giunge quindi a un’ulteriore svolta. Grazie all’uso di software come Macromedia Flash e Director, si può ovviare alla necessità di linee spartitorie tra le zone della schermata (proprie invece dei siti realizzati con la tecnologia Html): parole e immagini si integrano perfettamente, possono occupare qualsiasi parte dello schermo, incastonarsi e sovrapporsi senza limitazioni.

Anche lo statuto dell’immagine cambia: la segnalazione dell’ingresso ai moduli è sovente affidata a un’immagine animata. Indicando la presenza di un collegamento, essa ne ritrae metonimicamente il contenuto, svolgendo la funzione di campione rappresentativo della classe di oggetti interni al modulo. In questo senso l’immagine viene investita di un ruolo molto prossimo a quello della parola scritta, poiché deve sintetizzare, ma a dispetto della brevità, rendere effettivamente intelligibile ciò che s’incontrerà nel nodo15.

Si parla così di «iperimmagine», ossia scatola cinese dotata di valore operativo oltre che didascalico, che ripristinerebbe quel potere euristico che l’immagine avrebbe perso a seguito dell’affermarsi del linguaggio verbale quale principale veicolo d’espressione16. In questo compito verrà comunque supportata, il più delle volte, dalle indicazioni scritte, così che il suo ruolo di «araldo» della sezione può riguardare più un’anticipazione delle proprietà grafiche del modulo che la denominazione del suo contenuto, operata in modo molto più preciso dalla parola.

I confini tra la scrittura e l’immagine diventano dunque sempre più sfumati, tanto che non ha più senso contrapporre la «razionalità» della prima all’«emotività» della seconda, la «discretizzazione» del tempo alla «continuità» dello spazio.

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La funzionalità del movimento nelle pagine web

«Il movimento è una traslazione nello spazio. Ora, ogni volta che vi è traslazione di parti nello spazio, c’è anche cambiamento qualitativo in un tutto»17.

Nella schermata il movimento produce una modifica delle relazioni formali tra gli elementi visivi: ad esempio l’espansione di un menu comporta la contrazione di un’altra porzione del piano; lo spostamento di un oggetto o la sua trasformazione può delineare un nesso associativo tra unità apparentemente slegate.

Il movimento crea relazioni, ma ha anche il potere di distruggerle, crea delle gerarchie, come fa lo spazio, ma le può in continuazione rinegoziare, trasgredire, annullare. Insomma il movimento, con l’ausilio del tempo che afferma e poi nega, turba la stabilità dei rapporti, fa dell’espressione una struttura mai conclusa, un’opera mai finita, ma fluttuante, fragile.

In questo ricorda l’indefinitezza tipica dell’ipertesto, per natura un dispositivo d’espressione dinamico e processuale: il movimento rende visibile, senza limitazioni, la sua tendenza all’instabilità rafforzando l’imprevedibilità delle vedute, la logica dei balzi improvvisi tra i suoi territori.

Il movimento, nel duplice senso di cambiamento e spostamento, si affianca alle figure spaziali nell’opera di traduzione in forme percettive dei concetti: introduce la durata come criterio di differenziazione degli oggetti, la plasmabilità come strumento di figurativizzazione dell’agire dell’utente, e infine la sequenzialità come nuova dimensione espressiva che realizza nel tempo le connessioni formali e semantiche tra i materiali.

Le distinzioni tra le zone dell’ipertesto e quindi il rilievo di alcune parole chiave vengono segnalate, infatti, attraverso la contrapposizione tra il dinamismo dei link e la stasi dello sfondo, non più solo ricorrendo ad altri artifici grafici di differenziazione, come il rilievo tridimensionale o i riquadri divisori. Si comincia cioè a sfruttare un principio interno alla nostra esperienza percettiva quotidiana: il rapporto tra sfondo e rilievo connota il primo come il luogo da cui provengono le informazioni nuove, inaspettate sullo scenario percepito, mentre in rilievo vi è ciò che già è stato colto, elaborato e identificato dal sistema visivo18.

La comparsa di oggetti sullo sfondo li investe di una forte carica attrattiva, la quale cresce ulteriormente se questi sono sottoposti a movimenti e trasformazioni: l’uomo, così come la maggior parte degli esseri viventi, è estremamente reattivo alla comparsa di stimoli in movimento, percepiti ben prima che ne sia identificabile la forma, e solitamente accolti da uno spostamento repentino dello sguardo19.

L’oggetto dotato di movimento risalta potentemente sullo sfondo se però quest’ultimo è tendenzialmente omogeneo, pressoché statico e quindi non attrae di per sé l’attenzione, «non assuefa» l’osservatore alla presenza di stimoli dinamici.

Nel web il movimento andrebbe quindi utilizzato con parsimonia, evitando le cacofonie e disarmonie che un sovraffollamento di richiami dinamici produce.

Se è vero che il movimento può turbare l’andamento della lettura va detto, però, che ciò non avviene in modo così scontato e meccanico come si potrebbe pensare: se si è concentrati su una determinata porzione del campo visivo e non ci si aspetta la comparsa di niente d’allarmante (situazione congeniale a un utente immerso nella lettura su schermo), non necessariamente il movimento produce uno spostamento del centro d’interesse20.

La dinamizzazione di un link va contemplata come uno strumento di orientamento, ovvero come segnale della presenza di una zona attiva su cui intervenire attraverso la protesi virtuale del cursore. Distorcendosi o mutando di colore i bottoni o i riquadri dinamici si appellano al fare dell’utente, rafforzando l’invito con suoni in sincronia con le immagini o provocati dallo sfioramento del cursore. Il legame tra movimento percepito e azione è infatti piuttosto serrato21: il movimento del link rende visibili le condizioni della sua manipolabilità, instaurando un nesso sinestesico tra percezione visiva e tattile tale da suggerire con la sua foggia cangiante i potenziali effetti del suo «rimaneggiamento».

Il roll over (il passaggio senza clic) su un bottone produce sovente la discesa di un menu a tendina in cui sono presenti i sottomoduli associati al link: l’espansione rende visibile così la dilatazione di tipo concettuale in cui incorre il lessema del collegamento, traduce in forma visiva il passaggio dal termine sintetico e generale del primo raggruppamento alle categorie più specifiche dei nodi finali.

Il movimento è quindi un tratto espressivo che consente una migliore visibilità dell’architettura concettuale, suggerendo all’utente i possibili luoghi dello spazio in cui potrebbe approdare, e palesa le modalità con cui può agire sulla superficie per raggiungere tali isole testuali.

La reattività dei bottoni fornisce un ulteriore contributo alla navigazione: rappresentando i luoghi dove «lo spettatore allunga, letteralmente, le mani sulla scena»22, fornisce delle indicazioni circa la posizione del cursore (e quindi dell’utente) e sanziona, attraverso mutamenti plastici e cromatici, le sue scelte tematiche. Il fruitore trova un proprio rappresentante simulacrale in queste zone attive, un segno evidente della sua presenza e delle sue strategie di posizionamento «somatico» e «cognitivo» nel testo23.

Il movimento fornisce quindi una valida segnaletica – tramite i bottoni, i menu, i riquadri animati dei banner – all’orientamento, indicando le vie di fuga e i varchi tra le porzioni dell’ipertesto.

Nei siti editi con Flash o Director, una volta operata la scelta di una nuova pagina, la schermata non subisce un completo riaggiornamento, la transizione non avviene in modo brusco e immediato, bensì si snoda per tappe in cui le linee portanti della schermata, le parole o le immagini scompaiono lentamente sostituite da nuovi elementi: il primo contatto con il territorio del sito o il passaggio tra i nodi dello stesso sono contrassegnati, così, da brevi animazioni leggere che vanno a costituire i filmati di loading, le intro o i semplici movie di collegamento tra le pagine.

L’apparizione del contenuto si realizza progressivamente, instaurando dei brevi stati di attesa in cui l’utente si dispone a fare da spettatore passivo all’offerta di immagini, suoni e parole animate che si succedono sulla schermata. La sequenzialità dell’audiovisivo si impone quindi all’interno di un dispositivo espressivo dominato più di qualsiasi altro dalla reticolarità: la libertà di movimento trova degli ostacoli nei percorsi obbligati previsti dall’autore multimediale e nel procedere temporalizzato della messa in scena.

Da quanto detto emerge come il movimento connoti i balzi tra i materiali testuali come «momenti liminali», come se ciascun filmato fosse una soglia di arrivo o di partenza da superare per poter accedere alle preziose isole di senso dell’ipertesto24.

Tali soglie risultano spesso piuttosto gradevoli dal punto di vista grafico, veri e propri spazi e tempi d’intrattenimento tramite i quali accrescere il piacere estetico dello scambio comunicativo (le intro ad esempio hanno costituito un vero e proprio genere espressivo specifico, presentando una mescolanza di caratteri tratti dalle sigle promozionali televisive, dalle pubblicità o dai titoli di testa dei film).

Slogan e parole chiave che transitano da una zona all’altra dello schermo in accordo con musiche create ad hoc, foto o microfilmati giustapposti da un montaggio vorticoso, domande oscure rivolte allo spettatore: tutto ciò accoglie l’utente e cerca di stimolarne le aspettative, generando un vago senso di attesa che giungerà presto a termine.

Elementari forme narrative vengono ad esempio proposte nei banner (gli spazi pubblicitari inseriti nelle pagine web), ugualmente al fine di solleticare l’interesse dell’utente attraverso associazioni inedite di parole e immagini dinamiche. L’ambiguità delle frasi o delle immagini avvicina queste forme promozionali alla comunicazione pubblicitaria, per quanto ancora il valore aggiunto che potrebbe essere tratto dall’interattività non viene sfruttato appieno (sono ancora pochi i banner che offrono dei servizi immediati per l’utente o giochi interattivi con cui intrattenerlo).

Il movimento fornisce un valido aiuto agli intenti espressivi dell’autore multimediale, purché costui ne sappia vagliare attentamente il peso percettivo e l’effettiva funzionalità rispetto al valore d’uso del testo, ossia il genere di contenuto e lo scopo che intende raggiungere col proprio prodotto editoriale.

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Il nuovo tempo dell’ipertesto

Il tempo non solo turba la superficie della messa in scena, ma diventa esso stesso materiale espressivo da modulare e plasmare per ottenere determinate reazioni da parte dell’utente, in primo luogo un maggiore coinvolgimento sensoriale e una tensione ritmica in crescita secondo un meccanismo peculiare ai testi narrativi scritti o audiovisivi.

Per la prima volta entro un documento scritto il tempo dell’espressione influisce su quello della fruizione, invadendolo e plasmandolo.

Anche il tempo diventa uno strumento per delineare l’identità del soggetto ritratto, un fattore da contemplare nel progetto di ideazione del sito sapendo che le attese innescate debbono essere compensate da un appropriato soddisfacimento delle necessità del fruitore.

L’utente è posto di fronte a uno spazio composito e soprattutto imprevedibile che simula la complessità propria degli scenari naturali, anch’essi dominati dal principio della mutabilità perenne.

Sapersi muovere tra i paesaggi fittizi di parole e immagini diventa una capacità basilare per condurre a buon esito il contatto, l’azione diventa importante al pari della comprensione, il piacere estetico della comunicazione risulta uno dei capisaldi del rapporto dialogico tra l’utente e il soggetto ritratto nel sito.

La lettura è sempre più simile a un’esperienza di tipo immersivo, la componente sensorea ed emozionale del testo prevale sull’essenzialità e rapidità dello scambio informazionale. Lettura ed esplorazione visiva risultano, così, due programmi d’azione omologhi: lo spazio della scena multimediale contiene le appendici di oggetti nascosti, pronti a emergere, una volta «stanati» dall’utente, e a espandersi in superficie producendo suoni e forme ammalianti. Percorrere il territorio dell’ipertesto significa quindi scovare tutte le opzioni di movimento non manifeste, ma anche abbandonarsi alle sollecitazioni audiovisive imposte dal procedere dell’espressione.

La comunicazione diventa analoga a un’opera di scoperta per tappe della personalità del soggetto rappresentato, simile all’attraversamento di un paesaggio altamente informativo in cui lo spostamento risulta altrettanto importante dell’arrivo.

La lettura su schermo di documenti ipertestuali sempre più complessi presuppone, così, una capacità di valutazione notevole, frutto di una decodifica fulminea delle sollecitazioni visive. Sarà sempre più utile imparare a destreggiarsi tra i materiali espressivi, rispondere alla ridondanza informativa sfruttando l’abitudine alla selezione maturata nel nostro universo di azione quotidiano, in cui siamo in grado di muoverci elaborando veloci interpretazioni e previsioni a fronte dell’intreccio di stimoli cui siamo sottoposti.

L’ambiguità e la densità informativa proprie dell’immagine investono la parola che, iconizzandosi, affida alle proprie fattezze l’espressione di significati aggiuntivi, contaminando anche la lettura con questa nuova natura ibrida, tra sensibile e intelligibile, tra natura e cultura, accrescendo le potenzialità euristiche della comunicazione multimediale.

Probabilmente s’è innescato un processo che non potrà più essere arrestato, in cui le potenzialità della conoscenza sensorea (e quindi la moltiplicazione dei tratti sensibili) verranno sfruttate per rendere più efficace il passaggio di informazioni, segnando il primato della comunicazione iconica su quella verbale.

La tendenza all’associazionismo del pensiero figurativo, le sue doti sintetiche si giustappongono alla linearità logica propria dell’espressione scritta, rompendo gli argini della spartizione di matrice occidentale tra emotività e razionalità, prassi e teoria, spazio e tempo, estetica e funzione.

Allo stesso modo forme d’espressione sequenziali coesistono sulla medesima pagina con forme reticolari, proponendo una moltitudine di spazi tra cui scegliere, e andamenti temporali differenti cui si può decidere di sottoporsi.

Non resta che imparare a utilizzare e modulare il tempo come materiale significante, plasmandolo in relazione ai propri scopi, ma anche tenendo conto delle ripercussioni sull’istanza di fruizione delle dilatazioni e contrazioni temporali.

Spazio e tempo si moltiplicano, trasformano, sfaccettano, confondono per dare vita infine al movimento in qualità di prezioso oggetto significante.

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In appendice e a complemento del corpo del manuale, presentiamo una raccolta di saggi e contributi specialistici dedicati ad alcuni aspetti sia tecnici che teorici dell’editoria multimediale, aspetti che non potevano trovare spazio – per la loro specificità – tra gli argomenti di base della prima e della seconda parte del libro.

I temi proposti in questa «terza parte» del manuale vengono dati in forma digitale per poter essere facilmente e velocemente aggiornati, visti gli argomenti trattati, che sono gli stessi dei seminari – scelti fra quelli più preziosi e interessanti – tenuti negli ultimi anni a completamento delle lezioni di Editoria multimediale all’università, sia nei corsi di laurea che nei master e nei corsi speciali. Gli autori dei saggi sono o sono stati collaboratori dell’autore, o esperti che hanno portato ai corsi il proprio contributo sugli argomenti che affrontano per iscritto nelle pagine che seguono.

Come si può facilmente capire dai titoli, i saggi di approfondimento sono suddivisi in diverse aree di interesse.

Agli aspetti tecnici della produzione multimediale sono dedicati gli approfondimenti sul software di sviluppo (App. 7), la produzione industriale dei CdRom (App. 8), la usability (App. 4) e il diritto d’autore per le opere digitali (App. 5).

Sul fronte opposto, puramente teorico, si colloca invece l’interessante riflessione sulle conseguenze dell’introduzione della dimensione tempo nella pagina scritta (App. 1).

L’analisi degli sviluppi in corso o a breve-medio termine è affidata ai saggi su print on demand (App. 2), e-book (App. 3) e sul mercato dell’editoria ipermediale (App. 6).

Naturalmente, per loro stessa natura, questi saggi non richiedono una lettura sequenziale, ma possono essere utilizzati come luoghi di approfondimento degli argomenti trattati nel corpo del manuale (nel corso del quale vengono esplicitamente richiamati) oppure possono essere selezionati secondo i propri specifici interessi. Esattamente come avviene per i seminari in un qualunque corso universitario.

La superficie degli ipertesti è da qualche anno percorsa da immagini, parole, forme in movimento. La quarta dimensione della rappresentazione, il tempo, entra a far parte della pagina web. L’affermazione di nuovi software di editing quali Macromedia Flash e Director2 ha reso, oltretutto, più semplice e frequente l’introduzione di elementi animati.

Il layout dell’ipertesto cessa d’ispirarsi solo alla metafora della «messa in pagina», ereditata dalla stampa cartacea, per assomigliare sempre più a una «messa in scena» audiovisiva, «teatrale», il prodotto di una programmazione «registica» degli eventi multimediali.

Il testo scritto e l’immagine continuano, comunque, a essere i principali strumenti espressivi presenti nell’ipertesto e sono, quindi, proprio queste due tecniche discorsive ad andare incontro alle più considerevoli rivoluzioni estetiche e funzionali.

La fruizione su schermo subisce di conseguenza importanti alterazioni, poiché si modifica lo stesso modo di concepire la lettura.

È necessario dunque fare il punto della situazione tentando una descrizione della nuova configurazione assunta dall’espressione su schermo, e osservare più in generale che ripercussioni abbia l’introduzione del tempo nella comunicazione digitale.

Una riflessione del genere è necessaria per capire se l’introduzione del movimento rappresenti effettivamente una svolta fruttuosa nelle tecnologie espressive e comprendere, quindi, se stiamo assistendo alla nascita di un nuovo linguaggio.

L’esigenza di descrivere la nuova realtà della grafica ipertestuale giustifica di per sé questo tentativo di porre un ordine nella babele di opinioni riguardanti l’uso dei programmi per l’animazione multimediale, attraverso un punto di vista alternativo, nato dalla miscela di molteplici approcci3 e focalizzato essenzialmente sul rapporto tra l’estetica e la funzione del testo, tra sensibile e intelligibile.

Le linee guida di questo cambiamento si snodano, a nostro avviso, su due versanti principali:

– lo statuto della scrittura e dell’immagine si modifica, così come varia il rapporto instauratosi tra le due forme testuali nei mezzi di comunicazione precedenti;

– l’espressione ipertestuale stessa subisce delle importanti modifiche sul piano espressivo e concettuale.

Per affrontare con cognizione di causa un argomento così nuovo, vediamo prima una breve storia della scrittura e dell’immagine, mettendo in luce le peculiarità di ciascun formato, le trasformazioni che hanno subito nei mezzi del passato, per mostrare infine come le innovazioni che le contrassegnano siano frutto di un curioso equilibrio tra tradizioni e novità, tra passato e futuro.

Allargando lo sguardo dalle componenti minime della schermata all’ipertesto nella sua interezza, studieremo le funzioni del movimento rispetto alle strategie di comunicazione dei suoi artefici, osservando come questo contribuisca alla manifestazione della struttura concettuale del testo e come agevoli l’orientamento del suo fruitore.

Dal tempo allo spazio. La scrittura e l’immagine

Estetica della scrittura e dell’immagine in movimento

La funzionalità del movimento nelle pagine web

Il nuovo tempo dell’ipertesto

Il print on demand, o stampa digitale a richiesta (spesso riportato con lo pseudoacronimo PonD), è una tecnica di produzione e distribuzione libraria che consente la digitalizzazione e la stampa di un testo dove necessario, nell’esatta quantità, e nella qualità richiesta: ciò rappresenta una vera e propria rivoluzione rispetto alle tecniche tradizionali.

La razionalizzazione produttiva

Le applicazioni potenziali del print on demand

L’utilizzo del PonD nell’editoria accademica

L’espressione «libro elettronico» (o il più diffuso anglismo «e-book») ad oggi non ha ancora assunto un significato univoco. In alcuni casi l’accento è posto sul contenuto in forma digitale2, in altri sulla possibile sperimentazione di nuove forme di testualità, grazie alle peculiari caratteristiche di multimedialità3 e di interattività4 associabili ai testi in formato elettronico; talvolta si sottolinea l’importanza del web come canale privilegiato di distribuzione, talvolta invece l’idea di e-book sembra presupporre la disponibilità del testo anche in forma cartacea5. Nel documento A framework for the Epublishing Ecology, redatto dall’Open eBook Forum, si afferma che il libro elettronico è «un’opera letteraria sotto forma di oggetto digitale, costituito da uno o più identificatori dello standard utilizzato, i relativi metadati e un corpo monografico di contenuti, da pubblicare e da fruire con dispositivi elettronici»6. Tale definizione sottolinea così l’importanza di un’organizzazione monografica del testo e della presenza di metadati descrittivi7.

L’evidente difficoltà che emerge quando si cerca di esplicitare il significato dell’espressione «libro elettronico» è segno della novità del fenomeno, fenomeno che sfugge a griglie logiche e strumenti concettuali tradizionali. Fino a tutto il 1998, in Italia l’espressione «e-book» non era di uso frequente, in quanto l’editoria elettronica veniva identificata tout court con l’editoria off line e i CdRom. Le cose iniziano a cambiare solo a partire dal 2000, quando gli operatori del settore si trovano a riabilitare formule di produzione e di distribuzione dei contenuti precedentemente scartate per la mancanza di alcuni presupposti tecnologici necessari alla loro implementazione e di un potenziale di utenti Internet sufficientemente ampio8.

La novità dell’e-book è testimoniata anche dalle oscillazioni ortografiche nell’articolazione del suffisso «e» con il sostantivo «book»: a volte si legge e-book, altre ebook, oppure eBook, o ancora Ebook; in questo contesto scegliamo di adottare la variante «e-book» e lo intendiamo come «un’opera letteraria monografica pubblicata in forma digitale e consultabile mediante appositi dispositivi informatici»9. Le espressioni e-publication (pubblicazione elettronica) ed e-text (testo elettronico) si usano invece rispettivamente con riferimento a opere di qualsiasi genere pubblicate in versione digitale e alle prime forme di testi di pubblico dominio, in formato Ascii10 o Html11, memorizzate e contenute all’interno di biblioteche e archivi on-line12, consultabili da qualsiasi utente attraverso un normale programma di browsing.

In realtà, come abbiamo sottolineato in apertura, l’utilizzo della parola e-book, nella vasta pubblicistica a esso dedicata, si allarga spesso fino a identificare il libro elettronico con il supporto hardware che veicola il testo (l’e-book reader device), o con il dispositivo di lettura software che consente l’accesso e la visualizzazione dell’opera in formato elettronico (l’e-book reader). Altre volte ancora invece il termine è stato utilizzato con riferimento al contenuto che viene conservato nella memoria del lettore hardware e visualizzato sul suo schermo grazie a un apposito software, oppure per indicare una pubblicazione su supporto digitale di qualsiasi genere e in qualunque formato, inclusi i normali file Word, Html, Ascii, Pdf.

D’altra parte questa polivalenza semantica caratterizza anche il termine «libro», che nel linguaggio comune può essere impiegato sia per indicare il contenuto, sia per indicare l’oggetto fisico che lo veicola. La medesima ambiguità si riscontra d’altra parte anche nell’uso del termine «testo». Ma, quale che sia la causa di questa indeterminazione del linguaggio (dovuta forse al fatto che da svariati secoli, nella cultura occidentale, il contatto con un testo avviene sempre tramite il supporto materiale mediante cui vi accediamo e sul quale viene visualizzato), riteniamo opportuno far notare che forse il contenuto e il dispositivo che lo veicola, pur avendo due significati distinti, non sono così indipendenti come potrebbe sembrare a una prima considerazione. Spesso il testo è strettamente legato alle caratteristiche fisiche del supporto su cui verrà rappresentato visivamente e alle sue procedure di produzione materiale.

Perché si possa parlare propriamente di e-book, bisogna associare il contenuto digitale alla dimensione pragmatica dell’interfaccia e della modalità di lettura13. I dispositivi hardware per la visualizzazione dei testi dovrebbero essere il più possibile simili al libro a stampa per peso, dimensioni, portabilità, maneggevolezza, praticità, facilità d’uso e qualità visiva dello schermo.

Tenendo conto di questa premessa, possiamo complessivamente definire l’e-book come «un testo elettronico unitario, ragionevolmente esteso e compiuto (monografia), opportunamente codificato e accompagnato da meta-informazioni descrittive, accessibile mediante appositi dispositivi hardware e software che consentano un’esperienza di lettura comoda e agevole e diano accesso a tutte le capacità di organizzazione testuale proprie della cultura del libro». Al tempo stesso, l’e-book andrebbe a integrare tali proprietà con quelle offerte dalla versione digitale di un testo, in termini di eventuale14 arricchimento del contenuto con elementi multimediali e ipertestuali, di possibilità di reperimento nonché di aggiornamento on line qualora sia necessario, di ricerca rapida, e così via. Per questo motivo sono da escludere dalla categoria degli e-book sia i testi elettronici che possono essere letti solo sul computer da scrivania, interfaccia di lettura scomoda e poco ergonomica, sia quelli destinati alla stampa su carta, come nel print on demand. In quest’ultimo caso, infatti, i testi elettronici fungono da supporto di trasferimento dell’informazione, ma l’interfaccia di lettura dell’utente finale è pur sempre il libro a stampa15.

La nascita dell’«e-book» e lo sviluppo dei dispositivi di lettura

I formati di codifica: alla ricerca di uno standard

L’Open eBook Forum: il formato Oeb

Pdf: il Portable Document Format di Adobe

«E-paper» ed «e-ink»: il futuro?

Cosa vuol dire creare un prodotto usabile? Vuol dire creare un prodotto il cui utilizzo risulti efficace, soddisfacente e piacevole per l’utente.

Per creare un prodotto con queste caratteristiche si dovrà tenere conto delle specificità degli utenti che andranno a utilizzarlo, dei loro bisogni, capacità, desideri e del contesto d’uso. Si dovranno cioè prevedere e svolgere una serie di attività durante il ciclo di progettazione e implementazione di un titolo di editoria multimediale che coinvolgano in ogni fase l’utente: dal concept del prodotto fino alla validazione dell’interfaccia e dell’architettura informativa.

Ciò permetterà di costruire un’esperienza di fruizione positiva e soddisfacente; fattore chiave per il successo di un titolo ipermediale.

Un prodotto che permette all’utente di soddisfare i propri bisogni e i propri desideri senza stress aumenta la soddisfazione, la qualità percepita dall’utilizzatore e la fiducia nel brand, dato che diminuisce il tempo di apprendimento, di esecuzione delle attività e di richiesta di assistenza; un prodotto percepito come affidabile e di qualità aumenterà la propria credibilità e le proprie vendite, diminuendo conseguentemente i costi di assistenza post-vendita. L’attenzione all’usabilità non è dunque un costo per un editore ma un investimento.

1. Cos’è l’usabilità

2. I tre settori dell’usabilità

3. Principi del buon design10

4. I cinque aspetti della «usability»11

5. I principi di usabilità12

6. Il processo «user centered»

7. Valutazione di usabilità: metodi sperimentali e metriche14

 

Introduzione: un po’ di storia

Diritto d’autore e copyright: dall’editoria su carta a quella multimediale

Il diritto morale

I diritti connessi

Le libere utilizzazioni

Termini di protezione del diritto d’autore

La legge di riconoscimento del software e delle banche dati

La cosiddetta «opera multimediale» e i suoi diritti di sfruttamento

Opera multimediale in quanto tale

Opera multimediale quale opera collettiva

Opera multimediale quale «composizione»

Opera multimediale quale «opera derivata»

Il contratto: rimedio a una lacuna normativa

La sempre maggiore concentrazione delle ricerche, e degli istituti internazionali che le promuovono2, sul mercato dell’e-learning e dell’on line rende difficile reperire dati aggiornati sul mercato dell’editoria elettronica off line.

Tale mercato è ormai assestato e stabile e a partire dal 2000 non ha presentato grandi variazioni, sia in Italia che all’estero. Per un’analisi del mercato italiano dell’editoria multimediale ci siamo quindi riferiti ai dati ufficiali del 2002 (che facevano riferimento agli anni precedenti), tenendo conto dei piccoli aggiustamenti che si possono dedurre da ricerche di mercato private o comunque parziali e non ufficiali, in un ambiente che è entrato in una fase di decisa stabilizzazione.

L’Anee e il suo Osservatorio

Il mercato dell’editoria digitale professionale

Il mercato «consumer»

I canali distributivi

I principali editori

I generi editoriali

Gli strumenti di sviluppo per l’editoria elettronica rappresentano un settore molto ampio e in rapida evoluzione, che vede affermarsi in modo continuo paradigmi dominanti capaci spesso di resistere a una concorrenza nuova e agguerrita, salvo poi essere sostituiti.

Dovendo fare una disamina degli strumenti che hanno consentito di realizzare nel tempo i primi CdRom, i primi Wbt, e ora moderni corsi multimediali sia off che on line, è doveroso fare una prima macro divisione tra gli strumenti atti alla realizzazione dell’intero prodotto e quelli per la gestione di media specifici.

1. Software per la gestione del prodotto multimediale

2. Software per il trattamento di media specifici

Parlando di CdRom ci si scontra, innanzitutto, con un’anomalia linguistica. Nell’uso quotidiano, infatti, con lo stesso termine si è soliti indicare tre diversi oggetti: il lettore CdRom, ovvero il dispositivo hardware che permette di leggere il supporto; il supporto stesso, un disco del diametro di circa 12 cm, fatto di alluminio e materiale plastico, con una superficie decorata nei modi più diversi; infine il contenuto di quel supporto, ovvero l’insieme di dati e informazioni in esso memorizzati.

In questo manuale si è centrata l’attenzione sul CdRom inteso come contenuto: combinazione di materiali ipertestuali (dati in formato audio, video e testo) che vanno a creare le applicazioni multimediali, i cosiddetti «prodotti» dell’editoria elettronica. Anche in questa sede ci occuperemo quindi dell’hardware (il lettore) e del supporto (il disco fisico) solo in maniera incidentale, per il rapporto funzionale che necessariamente ha con il contenuto.

Ciò non significa che il «CdRom-supporto» non sia importante: esso ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo delle applicazioni informatiche, sia sul fronte della memorizzazione e scambio dei dati (affermandosi come efficace standard contro la molteplicità dei supporti esistenti), sia come fattore determinante nella diffusione del multimedia presso il grande pubblico. In particolare, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del 2000, il CdRom si è rivelato un contenitore ottimale per i prodotti multimediali, che avevano bisogno di molto spazio per proporre dati in diversi formati: la sua disponibilità è stata determinante nella creazione e nello sviluppo di un mercato del multimedia off line.

Proprio per questo, se è vero che non è il supporto che qualifica il contenuto2, nello stesso tempo è importante capire – almeno per grandi linee – come nasce e si sviluppa tutto ciò che ruota intorno al supporto, dalla produzione industriale del Cd al packaging.

Senza tralasciare di dare uno sguardo anche al Dvd, nuovo standard di memorizzazione, sempre più diffuso per il playback video e non solo.

1. Le fasi della produzione industriale

2. Il «packaging»

3. Il Dvd