Valerio Eletti - Manuale di editoria multimediale
Appendice 4: L’usabilità dei prodotti di editoria multimediale di Marco Sentinelli

1. Cos’è l’usabilità

Lo standard Iso/Iec 9126 definisce l’usabilità come «la capacità del software di essere compreso, appreso, usato e gradito dall’utente quando usato in determinate condizioni»2.

Lo standard Iso 9241-11, invece, definisce l’usabilità come «il grado in cui un prodotto può essere usato da classi di utenti per raggiungere specifici obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in un contesto d’uso determinato»3.

In sintesi possiamo dire che, per essere usabile, un prodotto deve:

– essere adeguato ai bisogni e alle aspettative degli specifici utenti finali che lo usano in diverse, determinate condizioni;

– risultare facile da capire, da imparare, da usare, ed essere gradevole;

– consentire di eseguire le specifiche attività lavorative in modo corretto, veloce e con soddisfazione;

– generare pochi errori non critici.

L’usabilità va ricercata seguendo due principi fondamentali4:

– compatibilità cognitiva uomo-computer: un’interfaccia deve essere non solo fisicamente compatibile con le caratteristiche della percezione e dell’azione umana, ma deve essere anche cognitivamente compatibile con le caratteristiche della comunicazione, della memoria e della soluzione di problemi umani;

– contestualità del compito: l’azione degli esseri umani non può essere presa in considerazione senza fare riferimento al contesto generale in cui essa si svolge, poiché l’agire nasce, appunto, dall’incontro dell’attore umano con l’ambiente.

Obiettivo finale dell’usabilità è quello di rendere la tecnologia sottostante invisibile, trasparente all’utilizzatore, il quale deve potersi concentrare esclusivamente sul compito, anziché sul mezzo.

L’evoluzione del concetto di usabilità

L’evoluzione del concetto di usabilità è parallela a quella dei prodotti software e del tipo di utenti dei sistemi5.

Prima del 1980, l’usabilità non è necessaria

Fino agli anni Ottanta, il software veniva prodotto ma anche utilizzato quasi esclusivamente dagli ingegneri informatici. Se l’utente di un sistema è la stessa persona che lo ha sviluppato, ovviamente l’usabilità è un problema che non esiste, dato che modello del progettista e modello dell’utente coincidono.

La maggiore diffusione di computer, anche se solo fra addetti ai lavori, dà comunque l’avvio alla riflessione sull’interazione uomo-macchina.

In quegli stessi anni nasceva infatti la Human Computer Interaction (Hci), una scienza che cercava di capire e aiutare le persone a interagire con e per mezzo della tecnologia. La serie di studi che costituiscono la pietra miliare dell’Hci venne allora definita «Psicologia del software». Obiettivo di questa disciplina era quello di provare l’utilità di un approccio comportamentale alla comprensione del design del software, della programmazione e dell’uso dei sistemi interattivi, producendo una descrizione generale dell’interazione uomo-macchina che fosse riassumibile in linee guida per gli sviluppatori.

Anni Ottanta, i laboratori di usabilità

Nel 1983 la Apple realizza il primo personal computer con interfaccia grafica e mouse destinato alla diffusione su larga scala; l’introduzione sempre crescente del computer fa sorgere contemporaneamente i primi problemi di usabilità: gli utenti non appartengono infatti più alla stessa classe degli informatici e non hanno competenze comuni con i progettisti.

Con l’insorgere delle prime difficoltà di utilizzo si verificano i primi episodi di rifiuto della nuova tecnologia: del resto, gli alti costi per la formazione, e i mancati successi di molte esperienze di automazione di uffici non accelerano il processo di familiarizzazione. Per ovviare a questi inconvenienti e a questi rifiuti, vengono allestiti i primi laboratori di usabilità: obiettivo principale era quello di testare i prodotti con utenti potenziali prima del lancio commerciale.

Lo studio dell’usabilità assunse subito un carattere prettamente empirico: il metodo utilizzato veniva definito «design iterativo» e consisteva nella realizzazione di prototipi sui quali venivano condotti test di usabilità, che a loro volta indicavano le modifiche da effettuare per migliorare il progetto. Questi studi diedero l’impulso alla creazione di linee guida sulla base delle quali la progettazione di un’interfaccia poteva garantire al prodotto finale i requisiti di usabilità.

Questo nuovo approccio venne ben presto largamente accettato e in molti si convinsero della necessità di progettare mediante l’utilizzo di prototipi. Ne consegue che la partecipazione degli utenti alla progettazione aumentò e il metodo della prototipazione rapida divenne, di fatto, uno standard. In considerazione di questo approccio pratico alla soluzione dei problemi, si cominciò a parlare di «ingegneria dell’usabilità».

Fine anni Ottanta-inizio anni Novanta, design iterativo

L’ingegneria dell’usabilità introdusse tre nozioni chiave:

– venne proposto che la progettazione iterativa venisse condotta inseguendo obiettivi pratici definiti e misurabili, detti «specifiche di usabilità»;

– si cercò di ampliare il campo d’azione degli studi empirici e delle tecniche di design cooperativo, per arrivare a definire un nuovo approccio, detto anche «design contestuale», che tenesse conto sempre più dei bisogni dell’utente e del contesto reale in cui il prodotto veniva utilizzato, data la sterilità dei risultati ottenuti in laboratorio in condizioni decontestualizzate;

– la terza nozione chiave dell’ingegneria dell’usabilità divenne il rapporto costo/ricavo; infatti, uno dei problemi maggiori dei metodi di progettazione iterativa consisteva appunto negli alti costi che i vari cicli di riprogettazione richiedevano.

Nel 1986 viene pubblicato il libro di Norman e Draper User Centered System Design: New Perspectives on Human-Computer Interaction6: vi si nota che l’utente non può essere preso come individuo isolato, ma come soggetto che appartiene a una cultura e a una organizzazione specifica: la fruizione della tecnologia è influenzata dal contesto all’interno del quale avviene il suo utilizzo. Per questi motivi l’introduzione di linee-guida sul fattore umano o la definizione di specifiche generiche non poteva portare a una effettiva usabilità dei prodotti.

Con il modello user centered7, che inizia ad affermarsi su larga scala tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, si riconosce l’importanza non solo delle capacità e dei vincoli fisici e cognitivi dei singoli utenti, ma anche delle relazioni culturali, sociali e organizzative, nonché degli artefatti cognitivi distribuiti nell’ambiente che influenzano il modo di lavorare dell’uomo.

Anni Novanta, design partecipativo

La consapevolezza dei costi e degli sforzi di formazione, nonché l’alto numero di errori generati dall’interazione, costringe sempre di più gli sviluppatori a mettere l’utente e le sue esigenze al centro della progettazione.

Dal diretto coinvolgimento degli specialisti si passa al diretto coinvolgimento degli utenti. L’utente partecipa a tutte le fasi definitorie del processo, assumendo in qualche modo il ruolo di corresponsabile, insieme con il progettista, del prodotto finito. La produzione del software non è più un processo lineare, ma tende sempre più a essere un processo iterativo, attraverso cui si perviene al risultato finale grazie agli aggiustamenti successivi guidati dalla continua verifica delle reazioni e delle esigenze dell’utente finale.

Il concetto di usabilità oggi

Attualmente il concetto di usabilità subisce delle ulteriori trasformazioni dovute all’ingresso nella discussione sull’Hci di figure nuove, provenienti dall’antropologia e dalle scienze sociologiche, che dirigono l’attenzione verso orizzonti più ampi.

Sono emersi problemi nuovi, legati non più all’aspetto tecnico ma alle implicazioni di carattere sociale, alle relazioni di potere tra utilizzatori di status diverso e al pericolo che l’esasperazione dell’usabilità possa portare a un impoverimento dei compiti e delle qualifiche richieste ai lavoratori.

Ciò implica un mutamento della definizione di utente da «fattore umano» (tradizionalmente inteso come agente passivo e spersonalizzato) ad «attore umano»: un individuo attivo, capace di controllo e scelta. L’esigenza diventa, perciò, quella di abbandonare la ricerca di tecniche e linee guida valide per tutti, in qualsiasi occasione, e di accettare di confrontarsi con la complessità che deriva dalla progettazione di strumenti dedicati a persone diverse tra loro, ognuna impegnata sui propri obiettivi e immersa nel proprio ambiente.

how to cheat with a married woman link click
husband cheated how many men have affairs go
why do men cheat on their wife how to know if wife has cheated click
go wife cheaters website
click why men cheat women who cheat
how much does abortion cost best abortion pill click here
generic name for bystolic bystolic bystolic savings card
abortion pill abortion pill abortion pill

2. I tre settori dell’usabilità

3. Principi del buon design10

4. I cinque aspetti della «usability»11

5. I principi di usabilità12

6. Il processo «user centered»

7. Valutazione di usabilità: metodi sperimentali e metriche14