Valerio Eletti - Manuale di editoria multimediale
Appendice 8: La produzione industriale di CdRom e Dvd di Arianna Palluzzi

1. Le fasi della produzione industriale

Le fasi di produzione industriale del supporto si possono schematizzare come in Tabella, che prendiamo a riferimento per i commenti che seguono, tenendo conto del fatto che sono indicate in maiuscolo le fasi principali della produzione.

Vediamo fase per fase.

Rappresentazione schematica delle fasi di produzione del supporto

INPUT

Supporto del Cliente

FASE 1

PRE-MASTERIZZAZIONE

Prodotto della Fase 1

Gold disc inciso

FASE 2

MASTERIZZAZIONE

Prodotto della Fase 2

Master di nichel

FASE 3

REPLICAZIONE

Prodotto della Fase 3

Compact disc metallizzato

FASE 4

STAMPA ETICHETTA

Prodotto della Fase 4

Compact disc stampato

FASE 5

CONFEZIONE

OUTPUT

Prodotto finito da immettere sul mercato

La fase di pre-masterizzazione3

Si tratta della fase iniziale della lavorazione del Cd. La base di partenza è il supporto fornito dal cliente, detto gold disc, un Cd-R (Cd Registrabile). Nella sala di pre-master viene fatto un controllo preliminare di:

– audio: si controlla il tempo totale di durata dell’audio, il numero dei brani e il loro ordinamento, la qualità;

– rom: vengono effettuati le prove di installazione e navigazione e il controllo antivirus. Qui di regola non si svolge alcuna funzione di editing su ciò che è stato fornito dal cliente ma, quando è richiesto, si può procedere a una fase di authoring in collaborazione con il cliente stesso. Questa fase è utile a definire il sistema di navigazione del prodotto, i collegamenti ipertestuali, gli eventuali materiali aggiuntivi, con l’obiettivo di offrire all’utente finale un prodotto ricco ma fruibile in modo agevole.

Successivamente, dopo la realizzazione della replica, nella sala di pre-master avviene il confronto «bit to bit» tra campioni dei dischi replicati e il gold disc originale: un controllo molto approfondito per rilevare eventuali errori e permetterne la tempestiva correzione. Questo è il controllo più completo ma, nel corso della lavorazione, ne vengono effettuati anche altri: uno nella clean room, dove avviene il processo galvanico, e un altro nel reparto di replica (che vedremo nelle pagine che seguono), dove c’è un macchinario detto Koch che controlla, nei Cd replicati, il rispetto dei parametri Sony-Philips contenuti nei vari Red book, Yellow book, ecc.4.

Il processo di masterizzazione

Il processo è diviso in due fasi principali.

La prima fase è la realizzazione del cosiddetto glass master. Vediamo molto sinteticamente la sequenza che caratterizza questa prima parte del processo. Il glass master prende forma dal cosiddetto cristallo pulito: il processo si appoggia infatti su di un disco di cristallo di estrema purezza; sul cristallo perfettamente pulito viene quindi depositato un sottile strato (170 micron5) di lacca fotosensibile. Quindi un raggio laser va a colpire la lacca fotosensibile seguendo una traccia a spirale che parte dal centro del disco e si dirige verso il bordo esterno (fotoesposizione della lacca al laser, ovvero registrazione). La parte esposta viene asportata con una soluzione sviluppatrice (lo sviluppo) creando dei microfori (pit) di dimensione dell’ordine del micron (la superficie non forata viene detta invece land). Si passa infine alla metallizzazione: la deposizione di uno strato di argento dello spessore di circa 1200 Å6.

La seconda fase del processo è la cosiddetta galvanica7: si tratta della formazione del master in nichel, quello che costituirà la «matrice» su cui verranno fisicamente replicate le copie finali, che andranno poi distribuite sul mercato. Vediamone la sequenza. Per prima cosa, sul disco precedentemente metallizzato viene fatto accrescere uno strato di nichel di circa 300 micron (la formazione del master detto «padre»); quindi si procede alla separazione del master padre, ovvero del master di nichel, da tutto il resto (disco in vetro, lacca incisa, argento). Si passa poi alla formazione della «madre»: sopra il master in nichel precedentemente formato («padre») si fa accrescere un altro strato di nichel, creando la sua immagine complementare, appunto la cosiddetta «madre». L’ultima azione di questo processo è la separazione tra madre e padre; il «padre», separato meccanicamente dalla «madre», viene passato al reparto replicazione per la successiva produzione vera e propria dei Cd, mentre la «madre» viene archiviata per eventuali rifacimenti o ristampe.

Il processo di replicazione

La replicazione viene fatta attraverso un’apposita pressa che presenta da una parte (in un apposito alloggiamento) il master, ovvero il «padre», e dall’altra un pre-essiccatore contenente policarbonato8 in granuli, il materiale plastico che ricoprirà il Cd una volta replicato. Questo materiale viene scaldato in un apposito cilindro fino ad arrivare a una temperatura superiore al punto di fusione (320°C). Nella fase della replica vera e propria, la pressa si chiude e i dati del master vengono stampigliati (registrati) sul disco in policarbonato: all’uscita dalla pressa si ha così il disco trasparente, dove è già stata creata l’incisione. Sopra il disco di policarbonato trasparente viene quindi depositato uno strato sottile di alluminio (metallizzazione) al fine di permettere la futura riflessione del raggio laser del lettore di Cd. E, per proteggere l’incisione, sopra lo strato di alluminio viene distribuito un velo di lacca cosiddetta U.V.9: è la fase finale di questo processo, appunto la laccatura.

La stampa dell’etichetta

L’ultimo passo che porta al Cd finito è il printing dell’etichetta tramite processi di stampa che possono essere serigrafici, offset o tampografici. I Cd possono essere stampati in linea (tampografia e serigrafia) o fuori linea (offset, serigrafia e flexo)10.

La confezione del prodotto

Per ogni prodotto il packaging è il primo elemento con il quale l’acquirente viene a contatto: esso ha dunque un’importanza fondamentale nell’attrarre, affascinare, comunicare valori, stimolare all’acquisto. Per far questo, il packaging, oltre che bello, deve essere anche adatto al prodotto, alle sue caratteristiche e al canale distributivo.

Nel caso del Cd, un packaging funzionale deve essere leggero, solido, economico da produrre, facilmente immagazzinabile, non ingombrante. La forma più diffusa di packaging per Cd (il cosiddetto jewel box, di cui avremo modo di parlare nelle pagine che seguono) è una scatolina piatta e trasparente con un’apertura a cerniera in grado di ospitare sul davanti il booklet (il libricino d’accompagnamento, con testo e foto o disegni, che fa anche da copertina), e sul retro la inlay card (il foglio che raccoglie di solito le informazioni di legge) posta sotto il tray, il vassoietto in plastica (di norma nera) che ospita il Cd con il suo caratteristico aggancio circolare al centro.

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2. Il «packaging»

Per comprendere il ruolo del packaging nella commercializzazione dei Cd dobbiamo fare un passo indietro per capire innanzitutto come nasce e si sviluppa il rapporto tra editori (clienti) e stampatori (fornitori).

Tutto inizia dal rapporto tra cliente e agente: quest’ultimo conosce i prodotti cartotecnici e deve saper armonizzare la capacità di offerta dell’azienda con le specifiche esigenze di ogni cliente, aiutandolo a trovare le soluzioni che più lo soddisfano. Raccolte le richieste, l’agente le trasmette all’ufficio tecnico, che prepara vari campioni di prodotti da presentare come proposte al cliente: proposte che sono sempre più di una, per dare al cliente la possibilità di scelta e non farlo sentire vincolato (è anche possibile che il cliente chieda all’azienda di approntare una soluzione libera, di pura creazione, oltre a quelle da catalogo). Per ogni campione viene realizzato un preventivo in cui vengono specificate le caratteristiche del progetto, i materiali da utilizzare, le caratteristiche della lavorazione, con i relativi prezzi. I campioni vengono approntati nel reparto detto «Cad»11, dove c’è un plotter12 collegato a un computer con software per il disegno tecnico, che permette di realizzare i prototipi delle confezioni.

A questo punto il cliente effettua la sua scelta, con la possibilità di chiedere opportune modifiche alle proposte.

Gli impianti

L’ufficio tecnico prepara quindi le dime del prototipo scelto: la dima è il tracciato perimetrale, con relative misure e ingombri, di un prodotto grafico non lineare (un prodotto sagomato, detto in gergo «cartotecnico») e costituisce la base che permetterà al fotolitista di realizzare le pellicole (gli impianti) da utilizzare per la stampa13.

Per quanto riguarda la realizzazione degli impianti vi sono due possibilità: quella tradizionale, in cui il cliente, con un proprio reparto di fotolitografia o appoggiandosi a laboratori esterni, crea le pellicole in base alle dime e le spedisce allo stampatore; e quella di avanguardia, in cui il cliente non spedisce atomi (le pellicole) ma bit (i file), che poi l’azienda provvede a plottare (trasformare in supporti fisici) con il vantaggio di correggere velocemente gli eventuali errori di impostazione (cosa che non può essere fatta con le pellicole già sviluppate) ed evitare i danni da trasporto che talvolta rendono le pellicole inservibili.

La realizzazione industriale del «packaging»

La realizzazione del packaging passa attraverso due fasi ben distinte: la formatura lastre e la stampa propriamente detta. Vediamole in sintesi.

La formatura lastre è la fase intermedia che permette di passare dal progetto alla realizzazione del prodotto: le pellicole (impianti) del cliente vengono trasferite su lastre in un apposito reparto. Se per esempio la stampa da effettuare è di tipo offset in quadricromia, per ogni prodotto vengono create 4 lastre, una per ognuno dei tre colori primari (rosso magenta, blu ciano e giallo) più una per il nero. Anche qui, come per gli impianti, è possibile seguire un sistema tradizionale e uno tecnologicamente più avanzato. Nel sistema tradizionale lo stampatore riceve dal cliente pellicole in pagina singola, che vengono montate in una sequenza che rappresenti lo svolgimento reale, in superficie piana, del prodotto finito (montato) che si ottiene dopo la stampa; nel sistema d’avanguardia l’intero processo viene automatizzato attraverso computer sulla base dei file spediti dal cliente al posto delle pellicole.

Tutto ciò per quanto riguarda sia i booklet per jewel box sia le confezioni speciali di tipo cartotecnico14.

Alla stampa vera e propria si procede dopo la preparazione e il montaggio delle lastre. Ci sono macchine che «leggono» direttamente la lastra e predispongono i macchinari per la stampa con la giusta quantità di inchiostro. Tutto ciò permette di ridurre i tempi di avviamento delle macchine e di diminuire drasticamente il numero di copie fuori registro della testa della tiratura (che vanno buttate al macero).

Conclude il processo l’allestimento (ovvero l’impacchettamento del Cd e delle parti a stampa del jewel box), che viene fatto attraverso apposite macchine allestitrici.

I diversi tipi di «packaging»

Negli ultimi anni si è avuta una consistente evoluzione nel packaging per Cd: questi cambiamenti sono avvenuti in corrispondenza di alcune importanti trasformazioni nelle regole del mercato come, ad esempio, l’evoluzione dei canali di vendita, dovuta alla diffusione dei Cd in ipermercati, aeroporti, librerie, edicole, in cui il prodotto viene visivamente accostato ad altri innumerevoli oggetti vistosi e colorati. Tutto ciò, dal punto di vista del packaging, ha generato l’esigenza di una maggiore differenziazione dei prodotti, che è avvenuta in due diversi modi.

Primo. Nella fase di sviluppo, quando è iniziata la diffusione di massa del Cd, si è voluto differenziare il prodotto dagli altri oggetti, puntando sulla sua immediata riconoscibilità: nel packaging ciò ha portato alla creazione di uno standard industriale con massima omogeneità e razionalità nelle forme, diffuso a livello internazionale. La risposta è stata il cosiddetto jewel case (o jewel box).

Secondo. Nella fase matura del mercato è sorta l’esigenza di creare valore aggiunto, per aumentare l’interesse e l’accettabilità dei prodotti. Ciò, dal punto di vista del packaging, ha significato andare oltre l’oggetto standardizzato, forzando forma e strutture in direzioni molteplici. Il contenitore viene così progettato ad hoc per conferire identità; la visibilità prevale sulla razionalità, gli accostamenti tra forme e materiali diversi si fanno sempre più audaci e personalizzati, con attenzione anche a valori apparentemente estranei come l’ecologia e il riciclaggio.

Riassumendo, oggi si producono confezioni di due tipologie distinte: quelle standard (jewel case, multipack, multibox in plastica e buste in cartone); e quelle speciali (invenzioni cartotecniche, brevetti ecologici, con processi produttivi comunque compatibili con le linee di produzione già esistenti, oppure prodotti «artigianali», con processi produttivi non industrializzabili).

Il «jewel box»

Il jewel case, più noto come jewel box, nel 1990 arriva a sostituire completamente il long box, il primo packaging che servì per commercializzare i Cd in Usa. Il long box, in plastica e carta, privo di grafica, con una finestra trasparente da cui si vedeva il Cd, era l’ideale per i dettaglianti perché era, dimensionalmente, la metà esatta della custodia di un LP (l’allora ancora diffuso disco in vinile a 33 giri), per cui accostando due long box si otteneva lo stesso ingombro di un LP, senza dover cambiare le strutture espositive.

Il jewel box, rispetto al long box, offre diversi vantaggi: l’inserimento di due o tre Cd nella stessa scatola; la ricchezza delle soluzioni grafiche; il grande potenziale di standardizzazione; la facile reperibilità del materiale di base (plastica); l’economicità del materiale e della produzione; la facilità di immagazzinamento (la cosiddetta impilabilità).

Accanto a questi pregi vi sono però innegabili difetti che spingono alla ricerca di soluzioni alternative: un’apertura e un’estrazione del contenuto poco agevoli, che richiedono l’impiego di entrambe le mani; una frequente rottura in varie zone ricorrenti, fra le quali la più soggetta è proprio la cerniera; il grande scarto di prodotto che questi difetti comportano, che è antitetico al concetto di custodia come protezione e, trattandosi di plastica, dannoso per l’ambiente. Senza dimenticare che, per forma e dimensione, il jewel box si presta a essere facilmente rubato nei negozi.

Tutto ciò, oltre alla necessità di colpire la fantasia dell’utente, ha portato alla ricerca e allo sviluppo di confezioni speciali, inizialmente legate a eventi particolari ma poi sempre più concepite come superamento del jewel box.

Le confezioni speciali

La domanda per packaging speciale è in costante crescita sia per il suo valore di impatto, a livello di immagine, sia per la capacità di costituire un’alternativa vincente allo standard mondiale, sul piano della funzionalità. Questo nonostante le numerose resistenze dei dettaglianti, principalmente per problemi espositivi.

Le confezioni speciali possono essere concepite nelle più disparate forme, materiali e dimensioni, sia sfruttando le linee produttive già esistenti, dunque creando prodotti con lavorazione industrializzabile, sia creando dei prodotti artigianali, con particolari lavorazioni non industrializzabili (in quest’ultimo caso il costo della lavorazione, e quindi del prodotto finito, necessariamente aumenta, e non di poco, per cui tale lavorazione non è adatta per produzioni molto ampie, e/o con budget e timing15 limitati).

In ogni caso diverse ricerche di mercato segnalano che il costo da sostenere per il packaging speciale è spesso più contenuto rispetto al valore aggiunto di cui si carica l’oggetto e quindi al relativo aumento di prezzo all’utente o di numero di copie vendute. Se prima, dunque, il mercato delle confezioni speciali era concentrato su riedizioni o edizioni a tiratura limitata, ora la richiesta è sempre più ampia e rinnovata. Vediamo in sintesi i principali tipi di packaging speciale.

Prodotti cartotecnici-grafici per vestire il cd. Possono avere varie declinazioni: multi-panelled, con una superficie molto ampia per la grafica; con tasca per il booklet; con booklet rilegato al centro della costola della confezione (che, in tal modo, diviene simile a un libro); ha la caratteristica costante del tray di plastica che alloggia il Cd16.

Eco-packaging. Mette in risalto le capacità creative dell’azienda stampatrice, coniugate con il valore ecologico molto sentito negli ultimi tempi e, per questo, fonte di ulteriore valore aggiunto. Si tratta di confezioni costruite completamente in cartone, senza impiegare neanche un grammo di plastica: ciò è possibile perché il tray è sostituito da una o più tasche in cui alloggiare i Cd e il booklet, che può essere anche montato sulla costola.

Scatole. Possono essere: fondo più coperchio; o automontanti, come quelle ecologiche, unite in coste e completamente in cartone. Le scatole, infatti, possono essere in diversi materiali: plastica, cartone, legno, ecc.

Custodie. Sono composte da un box, che fa da sede a un’altra confezione o parte grafica (es: libro). Possono essere in cartone o in materiali flessibili come il polipropilene.

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3. Il Dvd

Il Dvd è lo standard di memorizzazione ottica dei dati successivo al CdRom; l’acronimo Dvd può essere sciolto in digital video disc, perché inizialmente pensato esclusivamente per la riproduzione video, o digital versatile disc, poiché utilizzato come supporto dei più diversi tipi di dati, con la possibilità di integrare i diversi formati (video, audio e software).

Il nuovo standard è nato nel 1995 dall’accordo tra Time Warner e Toshiba, da un lato, e Sony e Philips dall’altro, in seguito al quale è sorto un consorzio di licensing a cui hanno aderito le maggiori aziende in ambito tecnologico. È possibile distinguere17: Dvd Audio, che rappresenta l’evoluzione del Cd Audio; Dvd Video, che contiene video in digitale, con audio in multilingua e altre informazioni (ad esempio, backstage della lavorazione di un film, interviste ai protagonisti, possibilità di cambio camera nelle inquadrature, ecc.); e Dvd Rom, il formato fisico di base per la memorizzazione dei dati, considerato il «fratello maggiore» del CdRom. Se ne possono individuare diversi tipi, tra cui: il Dvd R (Dvd Recordable, ovvero scrivibile, per indicare il supporto vergine su cui si può registrare una sola volta); il Dvd Rw (Dvd Rewritable) e il Dvd Ram, supporti cancellabili e riscrivibili (in teoria infinite volte).

Dal punto di vista tecnico, il sistema di lettura del Dvd (come per il Cd Audio e Rom) è basato sulla riflessione di un raggio laser. Il disco ha la stessa dimensione (Ø 12 cm) di un normale Cd ma, sulla superficie incisa, i pit18 sono molto più piccoli e danno vita a un layer (superficie) di dati molto più denso rispetto al Cd.

I diversi standard del Dvd

A parità di superficie, dunque, la quantità di dati registrabili passa da 650 MB del Cd a 4,7 GB del Dvd, nel caso in cui quest’ultimo sia scritto solo da un lato come i normali Cd (questo formato è detto «Dvd 5»). In realtà, nel Dvd, a un primo strato (riflettente) di pit, è possibile sovrapporne un altro (Dvd «doppio layer» o «Dvd 9») più vicino alla superficie, meno opaco (semiriflettente), per far leggere lo strato di dati sottostante: in tal modo in fase di lettura il laser legge entrambi gli strati e la capacità di memorizzazione passa a 8,5 GB. Esistono inoltre Dvd «a doppia faccia» (detti anche «Dvd 10»), che possono cioè essere incisi su entrambi i lati (capacità 9,4 GB), e Dvd «doppio layer, doppia faccia» con capacità di 17 GB: la capienza massima del nuovo standard, pari a circa 25 volte quella di un CdRom.

La maggiore capienza del Dvd, oltre che a un migliore utilizzo dello spazio fisico e alla dimensione dei pit, è dovuta anche al miglioramento dei sistemi di controllo degli errori sul supporto. Viene così guadagnato spazio attraverso l’eliminazione della ridondanza dei dati, necessaria nel CdRom a garantire la qualità della riproduzione.

La produzione industriale del Dvd

Il processo di produzione industriale del Dvd è fondamentalmente simile a quello utilizzato per il Cd, con alcune peculiarità relative in particolare al Dvd Video, che vediamo qui di seguito.

La fase di pre-masterizzazione del Dvd Video, soprattutto nel processo di authoring, è resa più complessa dalla necessità di definire una struttura di navigazione abbastanza articolata, a causa dell’inserimento di diversi materiali aggiuntivi, compresi i sottotitoli e i dialoghi in multilingua. La fase di pre-masterizzazione porta così alla scrittura di un nastro che viene testato e consegnato al reparto per la realizzazione del glass master per la scrittura definitiva del supporto.

A seguito delle consuete fasi di lavorazione, caratterizzate da controlli approfonditi, vengono prodotti i master, uno per il Dvd 5, due per gli altri formati (Dvd 9 e 10), a loro volta analizzati prima di procedere alla replica.

Quest’ultima è la fase che porta alla vera e propria produzione e assemblaggio del Dvd: anche qui vengono impiegati sistemi avanzati di controllo qualità e tecnologie all’avanguardia, per garantire un prodotto di alta affidabilità.

La stampa dell’etichetta si differenzia da quella del Cd solo nel caso del Dvd 10, in cui l’informazione è presente su entrambi i lati del supporto e quindi risulta stampabile solo sulla corona interna.

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In appendice e a complemento del corpo del manuale, presentiamo una raccolta di saggi e contributi specialistici dedicati ad alcuni aspetti sia tecnici che teorici dell’editoria multimediale, aspetti che non potevano trovare spazio – per la loro specificità – tra gli argomenti di base della prima e della seconda parte del libro.

I temi proposti in questa «terza parte» del manuale vengono dati in forma digitale per poter essere facilmente e velocemente aggiornati, visti gli argomenti trattati, che sono gli stessi dei seminari – scelti fra quelli più preziosi e interessanti – tenuti negli ultimi anni a completamento delle lezioni di Editoria multimediale all’università, sia nei corsi di laurea che nei master e nei corsi speciali. Gli autori dei saggi sono o sono stati collaboratori dell’autore, o esperti che hanno portato ai corsi il proprio contributo sugli argomenti che affrontano per iscritto nelle pagine che seguono.

Come si può facilmente capire dai titoli, i saggi di approfondimento sono suddivisi in diverse aree di interesse.

Agli aspetti tecnici della produzione multimediale sono dedicati gli approfondimenti sul software di sviluppo (App. 7), la produzione industriale dei CdRom (App. 8), la usability (App. 4) e il diritto d’autore per le opere digitali (App. 5).

Sul fronte opposto, puramente teorico, si colloca invece l’interessante riflessione sulle conseguenze dell’introduzione della dimensione tempo nella pagina scritta (App. 1).

L’analisi degli sviluppi in corso o a breve-medio termine è affidata ai saggi su print on demand (App. 2), e-book (App. 3) e sul mercato dell’editoria ipermediale (App. 6).

Naturalmente, per loro stessa natura, questi saggi non richiedono una lettura sequenziale, ma possono essere utilizzati come luoghi di approfondimento degli argomenti trattati nel corpo del manuale (nel corso del quale vengono esplicitamente richiamati) oppure possono essere selezionati secondo i propri specifici interessi. Esattamente come avviene per i seminari in un qualunque corso universitario.

La superficie degli ipertesti è da qualche anno percorsa da immagini, parole, forme in movimento. La quarta dimensione della rappresentazione, il tempo, entra a far parte della pagina web. L’affermazione di nuovi software di editing quali Macromedia Flash e Director2 ha reso, oltretutto, più semplice e frequente l’introduzione di elementi animati.

Il layout dell’ipertesto cessa d’ispirarsi solo alla metafora della «messa in pagina», ereditata dalla stampa cartacea, per assomigliare sempre più a una «messa in scena» audiovisiva, «teatrale», il prodotto di una programmazione «registica» degli eventi multimediali.

Il testo scritto e l’immagine continuano, comunque, a essere i principali strumenti espressivi presenti nell’ipertesto e sono, quindi, proprio queste due tecniche discorsive ad andare incontro alle più considerevoli rivoluzioni estetiche e funzionali.

La fruizione su schermo subisce di conseguenza importanti alterazioni, poiché si modifica lo stesso modo di concepire la lettura.

È necessario dunque fare il punto della situazione tentando una descrizione della nuova configurazione assunta dall’espressione su schermo, e osservare più in generale che ripercussioni abbia l’introduzione del tempo nella comunicazione digitale.

Una riflessione del genere è necessaria per capire se l’introduzione del movimento rappresenti effettivamente una svolta fruttuosa nelle tecnologie espressive e comprendere, quindi, se stiamo assistendo alla nascita di un nuovo linguaggio.

L’esigenza di descrivere la nuova realtà della grafica ipertestuale giustifica di per sé questo tentativo di porre un ordine nella babele di opinioni riguardanti l’uso dei programmi per l’animazione multimediale, attraverso un punto di vista alternativo, nato dalla miscela di molteplici approcci3 e focalizzato essenzialmente sul rapporto tra l’estetica e la funzione del testo, tra sensibile e intelligibile.

Le linee guida di questo cambiamento si snodano, a nostro avviso, su due versanti principali:

– lo statuto della scrittura e dell’immagine si modifica, così come varia il rapporto instauratosi tra le due forme testuali nei mezzi di comunicazione precedenti;

– l’espressione ipertestuale stessa subisce delle importanti modifiche sul piano espressivo e concettuale.

Per affrontare con cognizione di causa un argomento così nuovo, vediamo prima una breve storia della scrittura e dell’immagine, mettendo in luce le peculiarità di ciascun formato, le trasformazioni che hanno subito nei mezzi del passato, per mostrare infine come le innovazioni che le contrassegnano siano frutto di un curioso equilibrio tra tradizioni e novità, tra passato e futuro.

Allargando lo sguardo dalle componenti minime della schermata all’ipertesto nella sua interezza, studieremo le funzioni del movimento rispetto alle strategie di comunicazione dei suoi artefici, osservando come questo contribuisca alla manifestazione della struttura concettuale del testo e come agevoli l’orientamento del suo fruitore.

Dal tempo allo spazio. La scrittura e l’immagine

Estetica della scrittura e dell’immagine in movimento

La funzionalità del movimento nelle pagine web

Il nuovo tempo dell’ipertesto

Il print on demand, o stampa digitale a richiesta (spesso riportato con lo pseudoacronimo PonD), è una tecnica di produzione e distribuzione libraria che consente la digitalizzazione e la stampa di un testo dove necessario, nell’esatta quantità, e nella qualità richiesta: ciò rappresenta una vera e propria rivoluzione rispetto alle tecniche tradizionali.

La razionalizzazione produttiva

Le applicazioni potenziali del print on demand

L’utilizzo del PonD nell’editoria accademica

L’espressione «libro elettronico» (o il più diffuso anglismo «e-book») ad oggi non ha ancora assunto un significato univoco. In alcuni casi l’accento è posto sul contenuto in forma digitale2, in altri sulla possibile sperimentazione di nuove forme di testualità, grazie alle peculiari caratteristiche di multimedialità3 e di interattività4 associabili ai testi in formato elettronico; talvolta si sottolinea l’importanza del web come canale privilegiato di distribuzione, talvolta invece l’idea di e-book sembra presupporre la disponibilità del testo anche in forma cartacea5. Nel documento A framework for the Epublishing Ecology, redatto dall’Open eBook Forum, si afferma che il libro elettronico è «un’opera letteraria sotto forma di oggetto digitale, costituito da uno o più identificatori dello standard utilizzato, i relativi metadati e un corpo monografico di contenuti, da pubblicare e da fruire con dispositivi elettronici»6. Tale definizione sottolinea così l’importanza di un’organizzazione monografica del testo e della presenza di metadati descrittivi7.

L’evidente difficoltà che emerge quando si cerca di esplicitare il significato dell’espressione «libro elettronico» è segno della novità del fenomeno, fenomeno che sfugge a griglie logiche e strumenti concettuali tradizionali. Fino a tutto il 1998, in Italia l’espressione «e-book» non era di uso frequente, in quanto l’editoria elettronica veniva identificata tout court con l’editoria off line e i CdRom. Le cose iniziano a cambiare solo a partire dal 2000, quando gli operatori del settore si trovano a riabilitare formule di produzione e di distribuzione dei contenuti precedentemente scartate per la mancanza di alcuni presupposti tecnologici necessari alla loro implementazione e di un potenziale di utenti Internet sufficientemente ampio8.

La novità dell’e-book è testimoniata anche dalle oscillazioni ortografiche nell’articolazione del suffisso «e» con il sostantivo «book»: a volte si legge e-book, altre ebook, oppure eBook, o ancora Ebook; in questo contesto scegliamo di adottare la variante «e-book» e lo intendiamo come «un’opera letteraria monografica pubblicata in forma digitale e consultabile mediante appositi dispositivi informatici»9. Le espressioni e-publication (pubblicazione elettronica) ed e-text (testo elettronico) si usano invece rispettivamente con riferimento a opere di qualsiasi genere pubblicate in versione digitale e alle prime forme di testi di pubblico dominio, in formato Ascii10 o Html11, memorizzate e contenute all’interno di biblioteche e archivi on-line12, consultabili da qualsiasi utente attraverso un normale programma di browsing.

In realtà, come abbiamo sottolineato in apertura, l’utilizzo della parola e-book, nella vasta pubblicistica a esso dedicata, si allarga spesso fino a identificare il libro elettronico con il supporto hardware che veicola il testo (l’e-book reader device), o con il dispositivo di lettura software che consente l’accesso e la visualizzazione dell’opera in formato elettronico (l’e-book reader). Altre volte ancora invece il termine è stato utilizzato con riferimento al contenuto che viene conservato nella memoria del lettore hardware e visualizzato sul suo schermo grazie a un apposito software, oppure per indicare una pubblicazione su supporto digitale di qualsiasi genere e in qualunque formato, inclusi i normali file Word, Html, Ascii, Pdf.

D’altra parte questa polivalenza semantica caratterizza anche il termine «libro», che nel linguaggio comune può essere impiegato sia per indicare il contenuto, sia per indicare l’oggetto fisico che lo veicola. La medesima ambiguità si riscontra d’altra parte anche nell’uso del termine «testo». Ma, quale che sia la causa di questa indeterminazione del linguaggio (dovuta forse al fatto che da svariati secoli, nella cultura occidentale, il contatto con un testo avviene sempre tramite il supporto materiale mediante cui vi accediamo e sul quale viene visualizzato), riteniamo opportuno far notare che forse il contenuto e il dispositivo che lo veicola, pur avendo due significati distinti, non sono così indipendenti come potrebbe sembrare a una prima considerazione. Spesso il testo è strettamente legato alle caratteristiche fisiche del supporto su cui verrà rappresentato visivamente e alle sue procedure di produzione materiale.

Perché si possa parlare propriamente di e-book, bisogna associare il contenuto digitale alla dimensione pragmatica dell’interfaccia e della modalità di lettura13. I dispositivi hardware per la visualizzazione dei testi dovrebbero essere il più possibile simili al libro a stampa per peso, dimensioni, portabilità, maneggevolezza, praticità, facilità d’uso e qualità visiva dello schermo.

Tenendo conto di questa premessa, possiamo complessivamente definire l’e-book come «un testo elettronico unitario, ragionevolmente esteso e compiuto (monografia), opportunamente codificato e accompagnato da meta-informazioni descrittive, accessibile mediante appositi dispositivi hardware e software che consentano un’esperienza di lettura comoda e agevole e diano accesso a tutte le capacità di organizzazione testuale proprie della cultura del libro». Al tempo stesso, l’e-book andrebbe a integrare tali proprietà con quelle offerte dalla versione digitale di un testo, in termini di eventuale14 arricchimento del contenuto con elementi multimediali e ipertestuali, di possibilità di reperimento nonché di aggiornamento on line qualora sia necessario, di ricerca rapida, e così via. Per questo motivo sono da escludere dalla categoria degli e-book sia i testi elettronici che possono essere letti solo sul computer da scrivania, interfaccia di lettura scomoda e poco ergonomica, sia quelli destinati alla stampa su carta, come nel print on demand. In quest’ultimo caso, infatti, i testi elettronici fungono da supporto di trasferimento dell’informazione, ma l’interfaccia di lettura dell’utente finale è pur sempre il libro a stampa15.

La nascita dell’«e-book» e lo sviluppo dei dispositivi di lettura

I formati di codifica: alla ricerca di uno standard

L’Open eBook Forum: il formato Oeb

Pdf: il Portable Document Format di Adobe

«E-paper» ed «e-ink»: il futuro?

Cosa vuol dire creare un prodotto usabile? Vuol dire creare un prodotto il cui utilizzo risulti efficace, soddisfacente e piacevole per l’utente.

Per creare un prodotto con queste caratteristiche si dovrà tenere conto delle specificità degli utenti che andranno a utilizzarlo, dei loro bisogni, capacità, desideri e del contesto d’uso. Si dovranno cioè prevedere e svolgere una serie di attività durante il ciclo di progettazione e implementazione di un titolo di editoria multimediale che coinvolgano in ogni fase l’utente: dal concept del prodotto fino alla validazione dell’interfaccia e dell’architettura informativa.

Ciò permetterà di costruire un’esperienza di fruizione positiva e soddisfacente; fattore chiave per il successo di un titolo ipermediale.

Un prodotto che permette all’utente di soddisfare i propri bisogni e i propri desideri senza stress aumenta la soddisfazione, la qualità percepita dall’utilizzatore e la fiducia nel brand, dato che diminuisce il tempo di apprendimento, di esecuzione delle attività e di richiesta di assistenza; un prodotto percepito come affidabile e di qualità aumenterà la propria credibilità e le proprie vendite, diminuendo conseguentemente i costi di assistenza post-vendita. L’attenzione all’usabilità non è dunque un costo per un editore ma un investimento.

1. Cos’è l’usabilità

2. I tre settori dell’usabilità

3. Principi del buon design10

4. I cinque aspetti della «usability»11

5. I principi di usabilità12

6. Il processo «user centered»

7. Valutazione di usabilità: metodi sperimentali e metriche14

 

Introduzione: un po’ di storia

Diritto d’autore e copyright: dall’editoria su carta a quella multimediale

Il diritto morale

I diritti connessi

Le libere utilizzazioni

Termini di protezione del diritto d’autore

La legge di riconoscimento del software e delle banche dati

La cosiddetta «opera multimediale» e i suoi diritti di sfruttamento

Opera multimediale in quanto tale

Opera multimediale quale opera collettiva

Opera multimediale quale «composizione»

Opera multimediale quale «opera derivata»

Il contratto: rimedio a una lacuna normativa

La sempre maggiore concentrazione delle ricerche, e degli istituti internazionali che le promuovono2, sul mercato dell’e-learning e dell’on line rende difficile reperire dati aggiornati sul mercato dell’editoria elettronica off line.

Tale mercato è ormai assestato e stabile e a partire dal 2000 non ha presentato grandi variazioni, sia in Italia che all’estero. Per un’analisi del mercato italiano dell’editoria multimediale ci siamo quindi riferiti ai dati ufficiali del 2002 (che facevano riferimento agli anni precedenti), tenendo conto dei piccoli aggiustamenti che si possono dedurre da ricerche di mercato private o comunque parziali e non ufficiali, in un ambiente che è entrato in una fase di decisa stabilizzazione.

L’Anee e il suo Osservatorio

Il mercato dell’editoria digitale professionale

Il mercato «consumer»

I canali distributivi

I principali editori

I generi editoriali

Gli strumenti di sviluppo per l’editoria elettronica rappresentano un settore molto ampio e in rapida evoluzione, che vede affermarsi in modo continuo paradigmi dominanti capaci spesso di resistere a una concorrenza nuova e agguerrita, salvo poi essere sostituiti.

Dovendo fare una disamina degli strumenti che hanno consentito di realizzare nel tempo i primi CdRom, i primi Wbt, e ora moderni corsi multimediali sia off che on line, è doveroso fare una prima macro divisione tra gli strumenti atti alla realizzazione dell’intero prodotto e quelli per la gestione di media specifici.

1. Software per la gestione del prodotto multimediale

2. Software per il trattamento di media specifici

Parlando di CdRom ci si scontra, innanzitutto, con un’anomalia linguistica. Nell’uso quotidiano, infatti, con lo stesso termine si è soliti indicare tre diversi oggetti: il lettore CdRom, ovvero il dispositivo hardware che permette di leggere il supporto; il supporto stesso, un disco del diametro di circa 12 cm, fatto di alluminio e materiale plastico, con una superficie decorata nei modi più diversi; infine il contenuto di quel supporto, ovvero l’insieme di dati e informazioni in esso memorizzati.

In questo manuale si è centrata l’attenzione sul CdRom inteso come contenuto: combinazione di materiali ipertestuali (dati in formato audio, video e testo) che vanno a creare le applicazioni multimediali, i cosiddetti «prodotti» dell’editoria elettronica. Anche in questa sede ci occuperemo quindi dell’hardware (il lettore) e del supporto (il disco fisico) solo in maniera incidentale, per il rapporto funzionale che necessariamente ha con il contenuto.

Ciò non significa che il «CdRom-supporto» non sia importante: esso ha avuto un ruolo decisivo nello sviluppo delle applicazioni informatiche, sia sul fronte della memorizzazione e scambio dei dati (affermandosi come efficace standard contro la molteplicità dei supporti esistenti), sia come fattore determinante nella diffusione del multimedia presso il grande pubblico. In particolare, tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del 2000, il CdRom si è rivelato un contenitore ottimale per i prodotti multimediali, che avevano bisogno di molto spazio per proporre dati in diversi formati: la sua disponibilità è stata determinante nella creazione e nello sviluppo di un mercato del multimedia off line.

Proprio per questo, se è vero che non è il supporto che qualifica il contenuto2, nello stesso tempo è importante capire – almeno per grandi linee – come nasce e si sviluppa tutto ciò che ruota intorno al supporto, dalla produzione industriale del Cd al packaging.

Senza tralasciare di dare uno sguardo anche al Dvd, nuovo standard di memorizzazione, sempre più diffuso per il playback video e non solo.

1. Le fasi della produzione industriale

2. Il «packaging»

3. Il Dvd