Valerio Eletti - Manuale di editoria multimediale
Appendice 8: La produzione industriale di CdRom e Dvd di Arianna Palluzzi

2. Il «packaging»

Per comprendere il ruolo del packaging nella commercializzazione dei Cd dobbiamo fare un passo indietro per capire innanzitutto come nasce e si sviluppa il rapporto tra editori (clienti) e stampatori (fornitori).

Tutto inizia dal rapporto tra cliente e agente: quest’ultimo conosce i prodotti cartotecnici e deve saper armonizzare la capacità di offerta dell’azienda con le specifiche esigenze di ogni cliente, aiutandolo a trovare le soluzioni che più lo soddisfano. Raccolte le richieste, l’agente le trasmette all’ufficio tecnico, che prepara vari campioni di prodotti da presentare come proposte al cliente: proposte che sono sempre più di una, per dare al cliente la possibilità di scelta e non farlo sentire vincolato (è anche possibile che il cliente chieda all’azienda di approntare una soluzione libera, di pura creazione, oltre a quelle da catalogo). Per ogni campione viene realizzato un preventivo in cui vengono specificate le caratteristiche del progetto, i materiali da utilizzare, le caratteristiche della lavorazione, con i relativi prezzi. I campioni vengono approntati nel reparto detto «Cad»11, dove c’è un plotter12 collegato a un computer con software per il disegno tecnico, che permette di realizzare i prototipi delle confezioni.

A questo punto il cliente effettua la sua scelta, con la possibilità di chiedere opportune modifiche alle proposte.

Gli impianti

L’ufficio tecnico prepara quindi le dime del prototipo scelto: la dima è il tracciato perimetrale, con relative misure e ingombri, di un prodotto grafico non lineare (un prodotto sagomato, detto in gergo «cartotecnico») e costituisce la base che permetterà al fotolitista di realizzare le pellicole (gli impianti) da utilizzare per la stampa13.

Per quanto riguarda la realizzazione degli impianti vi sono due possibilità: quella tradizionale, in cui il cliente, con un proprio reparto di fotolitografia o appoggiandosi a laboratori esterni, crea le pellicole in base alle dime e le spedisce allo stampatore; e quella di avanguardia, in cui il cliente non spedisce atomi (le pellicole) ma bit (i file), che poi l’azienda provvede a plottare (trasformare in supporti fisici) con il vantaggio di correggere velocemente gli eventuali errori di impostazione (cosa che non può essere fatta con le pellicole già sviluppate) ed evitare i danni da trasporto che talvolta rendono le pellicole inservibili.

La realizzazione industriale del «packaging»

La realizzazione del packaging passa attraverso due fasi ben distinte: la formatura lastre e la stampa propriamente detta. Vediamole in sintesi.

La formatura lastre è la fase intermedia che permette di passare dal progetto alla realizzazione del prodotto: le pellicole (impianti) del cliente vengono trasferite su lastre in un apposito reparto. Se per esempio la stampa da effettuare è di tipo offset in quadricromia, per ogni prodotto vengono create 4 lastre, una per ognuno dei tre colori primari (rosso magenta, blu ciano e giallo) più una per il nero. Anche qui, come per gli impianti, è possibile seguire un sistema tradizionale e uno tecnologicamente più avanzato. Nel sistema tradizionale lo stampatore riceve dal cliente pellicole in pagina singola, che vengono montate in una sequenza che rappresenti lo svolgimento reale, in superficie piana, del prodotto finito (montato) che si ottiene dopo la stampa; nel sistema d’avanguardia l’intero processo viene automatizzato attraverso computer sulla base dei file spediti dal cliente al posto delle pellicole.

Tutto ciò per quanto riguarda sia i booklet per jewel box sia le confezioni speciali di tipo cartotecnico14.

Alla stampa vera e propria si procede dopo la preparazione e il montaggio delle lastre. Ci sono macchine che «leggono» direttamente la lastra e predispongono i macchinari per la stampa con la giusta quantità di inchiostro. Tutto ciò permette di ridurre i tempi di avviamento delle macchine e di diminuire drasticamente il numero di copie fuori registro della testa della tiratura (che vanno buttate al macero).

Conclude il processo l’allestimento (ovvero l’impacchettamento del Cd e delle parti a stampa del jewel box), che viene fatto attraverso apposite macchine allestitrici.

I diversi tipi di «packaging»

Negli ultimi anni si è avuta una consistente evoluzione nel packaging per Cd: questi cambiamenti sono avvenuti in corrispondenza di alcune importanti trasformazioni nelle regole del mercato come, ad esempio, l’evoluzione dei canali di vendita, dovuta alla diffusione dei Cd in ipermercati, aeroporti, librerie, edicole, in cui il prodotto viene visivamente accostato ad altri innumerevoli oggetti vistosi e colorati. Tutto ciò, dal punto di vista del packaging, ha generato l’esigenza di una maggiore differenziazione dei prodotti, che è avvenuta in due diversi modi.

Primo. Nella fase di sviluppo, quando è iniziata la diffusione di massa del Cd, si è voluto differenziare il prodotto dagli altri oggetti, puntando sulla sua immediata riconoscibilità: nel packaging ciò ha portato alla creazione di uno standard industriale con massima omogeneità e razionalità nelle forme, diffuso a livello internazionale. La risposta è stata il cosiddetto jewel case (o jewel box).

Secondo. Nella fase matura del mercato è sorta l’esigenza di creare valore aggiunto, per aumentare l’interesse e l’accettabilità dei prodotti. Ciò, dal punto di vista del packaging, ha significato andare oltre l’oggetto standardizzato, forzando forma e strutture in direzioni molteplici. Il contenitore viene così progettato ad hoc per conferire identità; la visibilità prevale sulla razionalità, gli accostamenti tra forme e materiali diversi si fanno sempre più audaci e personalizzati, con attenzione anche a valori apparentemente estranei come l’ecologia e il riciclaggio.

Riassumendo, oggi si producono confezioni di due tipologie distinte: quelle standard (jewel case, multipack, multibox in plastica e buste in cartone); e quelle speciali (invenzioni cartotecniche, brevetti ecologici, con processi produttivi comunque compatibili con le linee di produzione già esistenti, oppure prodotti «artigianali», con processi produttivi non industrializzabili).

Il «jewel box»

Il jewel case, più noto come jewel box, nel 1990 arriva a sostituire completamente il long box, il primo packaging che servì per commercializzare i Cd in Usa. Il long box, in plastica e carta, privo di grafica, con una finestra trasparente da cui si vedeva il Cd, era l’ideale per i dettaglianti perché era, dimensionalmente, la metà esatta della custodia di un LP (l’allora ancora diffuso disco in vinile a 33 giri), per cui accostando due long box si otteneva lo stesso ingombro di un LP, senza dover cambiare le strutture espositive.

Il jewel box, rispetto al long box, offre diversi vantaggi: l’inserimento di due o tre Cd nella stessa scatola; la ricchezza delle soluzioni grafiche; il grande potenziale di standardizzazione; la facile reperibilità del materiale di base (plastica); l’economicità del materiale e della produzione; la facilità di immagazzinamento (la cosiddetta impilabilità).

Accanto a questi pregi vi sono però innegabili difetti che spingono alla ricerca di soluzioni alternative: un’apertura e un’estrazione del contenuto poco agevoli, che richiedono l’impiego di entrambe le mani; una frequente rottura in varie zone ricorrenti, fra le quali la più soggetta è proprio la cerniera; il grande scarto di prodotto che questi difetti comportano, che è antitetico al concetto di custodia come protezione e, trattandosi di plastica, dannoso per l’ambiente. Senza dimenticare che, per forma e dimensione, il jewel box si presta a essere facilmente rubato nei negozi.

Tutto ciò, oltre alla necessità di colpire la fantasia dell’utente, ha portato alla ricerca e allo sviluppo di confezioni speciali, inizialmente legate a eventi particolari ma poi sempre più concepite come superamento del jewel box.

Le confezioni speciali

La domanda per packaging speciale è in costante crescita sia per il suo valore di impatto, a livello di immagine, sia per la capacità di costituire un’alternativa vincente allo standard mondiale, sul piano della funzionalità. Questo nonostante le numerose resistenze dei dettaglianti, principalmente per problemi espositivi.

Le confezioni speciali possono essere concepite nelle più disparate forme, materiali e dimensioni, sia sfruttando le linee produttive già esistenti, dunque creando prodotti con lavorazione industrializzabile, sia creando dei prodotti artigianali, con particolari lavorazioni non industrializzabili (in quest’ultimo caso il costo della lavorazione, e quindi del prodotto finito, necessariamente aumenta, e non di poco, per cui tale lavorazione non è adatta per produzioni molto ampie, e/o con budget e timing15 limitati).

In ogni caso diverse ricerche di mercato segnalano che il costo da sostenere per il packaging speciale è spesso più contenuto rispetto al valore aggiunto di cui si carica l’oggetto e quindi al relativo aumento di prezzo all’utente o di numero di copie vendute. Se prima, dunque, il mercato delle confezioni speciali era concentrato su riedizioni o edizioni a tiratura limitata, ora la richiesta è sempre più ampia e rinnovata. Vediamo in sintesi i principali tipi di packaging speciale.

Prodotti cartotecnici-grafici per vestire il cd. Possono avere varie declinazioni: multi-panelled, con una superficie molto ampia per la grafica; con tasca per il booklet; con booklet rilegato al centro della costola della confezione (che, in tal modo, diviene simile a un libro); ha la caratteristica costante del tray di plastica che alloggia il Cd16.

Eco-packaging. Mette in risalto le capacità creative dell’azienda stampatrice, coniugate con il valore ecologico molto sentito negli ultimi tempi e, per questo, fonte di ulteriore valore aggiunto. Si tratta di confezioni costruite completamente in cartone, senza impiegare neanche un grammo di plastica: ciò è possibile perché il tray è sostituito da una o più tasche in cui alloggiare i Cd e il booklet, che può essere anche montato sulla costola.

Scatole. Possono essere: fondo più coperchio; o automontanti, come quelle ecologiche, unite in coste e completamente in cartone. Le scatole, infatti, possono essere in diversi materiali: plastica, cartone, legno, ecc.

Custodie. Sono composte da un box, che fa da sede a un’altra confezione o parte grafica (es: libro). Possono essere in cartone o in materiali flessibili come il polipropilene.

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3. Il Dvd