Valerio Eletti - Manuale di editoria multimediale
Appendice 1: L’introduzione della dimensione tempo nella bidimensionalità della scrittura
di Tiziana Dedola

Dal tempo allo spazio. La scrittura e l’immagine

La storia della scrittura e dell’immagine mostra come l’introduzione del tempo nei prodotti ipertestuali sia, per certi versi, una conseguenza delle svolte maturate nelle tecniche espressive nel corso del Novecento. Addirittura risalendo ancora più indietro nel tempo vediamo come il movimento ripristini, inaspettatamente, alcune proprietà della forma di espressione umana più antica: la comunicazione orale.

L’oralità affida esclusivamente al supporto sonoro l’espressione del significante linguistico: le parole «sono soltanto suoni che si possono ’richiamare’»4, sono eventi che attestano la presenza immanente di un individuo e coinvolgono gli astanti in uno scambio dialogico.

Nelle culture a oralità primaria si pensava che attraverso le parole «dette» si potesse esercitare un potere sul mondo circostante, che queste, cioè, non fossero delle mere etichette, come invece vengono percepite nelle società permeate dalla scrittura e dalla stampa.

La scrittura e l’immagine, invece, «fissano il pensiero in simboli materiali»5, sottraendolo alla fugacità propria del linguaggio parlato. Entrambe estromettono la dimensione del tempo propria dell’oralità per farsi portatrici di significato, servendosi esclusivamente dello spazio, ma qualificandolo, ciascuna in maniera differente.

La scrittura alfabetica, sottomettendosi all’andamento progressivo della fonazione verbale, dispone i grafemi linearmente attraverso catene regolari di lettere. L’invenzione della stampa a caratteri mobili a partire dal XV secolo porterà a compimento il processo di omogeneizzazione e stilizzazione dei segni6 avviato dalla chirografia: la notazione alfabetica si affermerà come lo strumento più affidabile e preciso per esternare contenuti sempre più indipendenti dal contesto circostante, stabili ed eterni come le pagine dei libri in cui verranno conservate le parole7.

A differenza della tecnica chirografica, l’immagine utilizza la reticolarità dello spazio planare per esprimersi: si serve della topologia delle posizioni (i rapporti oppositivi e relazionali tra le zone di sinistra e destra, alto e basso, centro e periferia) per rendere manifesti i rapporti tra gli oggetti rappresentati, e affida parte del suo messaggio agli equilibri cromatici e plastici tra le sue porzioni8. L’interpretazione di un’immagine risulta senza dubbio più ambigua e indefinita di quella discendente da una pagina scritta, tanto più che la visione segue un andamento itinerante, potendo scivolare tra le zone della rappresentazione senza seguire alcun ordine prestabilito9.

L’immagine, soprattutto a seguito del diffondersi della stampa, svolgerà una funzione principalmente didascalica, dovendo più che altro sopperire alle carenze esplicative del linguaggio verbale, perdendo parte del valore «esegetico» che possedeva nel passato10.

Da quanto detto finora emerge l’opposizione di due modelli di composizione e lettura:

– la scrittura alfabetica, in accordo all’andamento del parlato, dispone i suoi materiali espressivi sequenzialmente, presupponendo quindi una fruizione lineare;

– l’immagine sfrutta l’intera bidimensionalità della superficie spaziale, permettendo una lettura di tipo reticolare11.

Tuttavia la polarizzazione che abbiamo appena esposto non è pienamente esaustiva del corollario di declinazioni che l’espressione scritta e figurativa hanno subito nel corso del tempo.

La stampa, pur accentuando il processo di livellamento del significante scritto, ha infatti di pari passo comportato una diversa attenzione alla forma materiale della parola: dalla poesia di Mallarmé Un coup de dés jamais n’abolira le hasard, alle tavole «parolibere» futuriste12, ai manifesti pubblicitari ispirati alle opere dei suprematisti negli anni Trenta, fino a giungere alle più comuni riviste illustrate dei giorni nostri, vengono fuori numerosi esempi di uno studio mirato dell’estetica della scrittura in funzione del contenuto veicolato, un diverso trattamento dello spazio della pagina che diventa anch’esso materiale significante, tanto da avvicinare talvolta l’espressione alfabetica alle scritture «iconiche» orientali.

Nel Novecento, in particolare, la scrittura perde via via di precisione acquistando in densità informativa, mentre sul versante dell’immagine pittorica si moltiplicano i tentativi di ritrarre, anche se in forma stilizzata, il movimento dei corpi, così come le potenziali forze cinetiche insite nelle forme, nei colori e nei contrasti13. L’immagine viene spogliata del suo ruolo di referente mimetico e si indagano le possibilità espressive connesse al suo linguaggio plastico e cromatico.

L’integrazione di parole e immagini, insieme alle sperimentazioni provocatorie di dadaisti e cubisti, si diffonde nella stampa pubblicitaria e nelle riviste, grazie anche allo sviluppo di nuove tecniche di stampa come l’offset, che consente la compresenza di parole e immagini sulla medesima matrice di stampa. L’ausilio del computer porterà poi a compimento il processo di mescolamento di scrittura e immagine, che diventeranno così forme estemporanee della medesima sostanza: il linguaggio digitale.

L’ipertesto multimediale è dunque l’ultimo traguardo del processo di ibridazione dei due formati espressivi: ciascuna schermata ospita testi scritti e immagini, veicolando al suo interno sia un orientamento di lettura lineare necessario alla fruizione dei testi scritti, che un andamento iterativo e reticolare proprio dei testi iconici.

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