4. La ‘guerra di Modena’
Per quanto fulminante fosse stata la carriera percorsa con l’appoggio di Cicerone
(l’assunzione del rango di propretore e la legalizzazione del suo esercito privato),
Ottaviano ha dovuto comunque sottomettersi ai consoli per poter prendere parte alle
operazioni contro Antonio in Cisalpina. Operazioni che – non dimentichiamolo – miravano
a ‘salvare’ Decimo Bruto, cioè il più odioso e il più odiato dei cesaricidi.
Ha dovuto mettere le sue truppe agli ordini di Irzio e Pansa. Un passaggio obbligato
che quasi vanificava la conquista illegale e spericolata di quelle legioni. E scrivendo
a Cicerone glielo fa pesare. Abbiamo, presso il grammatico Nonio, un frammento di
lettera di Ottaviano a Cicerone (= fr. 2 Watt): «Roga ipsum quem ad modum eum ego
Arimini acceperim», «Chiedi a lui come (sottinteso: lealmente) io lo abbia accolto a Rimini». A Rimini, località di passaggio dall’Italia
alla Cisalpina, Ottaviano ha dovuto sottomettersi a Irzio, in quanto console tenuto
a dirigere le operazioni militari. E poco dopo (19 marzo), anche Pansa – l’altro console
– si è messo in moto da Roma alla volta della Cisalpina, per condividere il comando
delle operazioni con Irzio. Due capi ‘sulla testa’ di Ottaviano, ridimensionato sul
campo e prevedibilmente, alla fine delle operazioni, destinato a perdere tutto, giacché le ‘sue’ truppe difficilmente avrebbero potuto piantare i consoli (eventualmente
vincitori) e tornare con Ottaviano. È da questo momento che gli si è profilata, necessariamente,
la convinzione che i due consoli fossero, e sempre più stavano per essere, il principale
ostacolo alla sua futura carriera. Il gioco a schierarsi col Senato poteva definitivamente
fallirgli tra le mani.
Intanto, anche Antonio giocava la sua partita politica, per evitare, se possibile,
l’esito militare che avrebbe visto soldati e capi cesariani massacrarsi reciprocamente
a tutto vantaggio della parte ‘pompeiana’ ormai dominante in Senato.
È conservato, a questo proposito, un documento straordinario. È la lettera che Antonio
ha inviato dal suo accampamento ad Irzio e ad Ottaviano, poco prima del 20 marzo (forse
il 15 marzo del 43: data scelta, non a caso, nell’anniversario della uccisione proditoria
di Cesare). La lettera fu inviata in copia da Irzio a Cicerone, il quale l’ha letta
e commentata in Senato, nel corso della cosiddetta XIII Filippica, pronunciata appunto il 20 marzo1. Cicerone legge e via via sarcasticamente commenta la lettera di Antonio. E dedica
ampia parte del discorso a questa lettura perché vuole rassicurare innanzi tutto la
sua parte su di un punto: che non ci sarà mai riconciliazione tra cesariani (cosa
che sarebbe stata mortale per la parte pompeiana ora all’offensiva). Il fenomeno davvero
straordinario è che così noi abbiamo una importante lettera intera di Antonio con il commento di Cicerone. Un unicum nella letteratura antica.
Per la sua notevole intelligenza politica, oltre che per la sua efficace asprezza,
il testo di questa lettera merita di essere qui trascritto interamente. Abbiamo omesso,
di norma, i commenti di Cicerone ed immesso qua e là delle chiose illustrative.
Antonio a Irzio e a Cesare
Quando ho saputo della morte di Gaio Trebonio, la mia gioia non è stata maggiore del
dolore. Che un delinquente abbia pagato il fio alle ceneri e ai resti di quel grande
[= Cesare] e che, prima ancora che l’anno finisca, la volontà degli dèi si sia manifestata
con la punizione del parricidio – e ben presto accadrà anche agli altri complici –
è cosa che non può che rallegrare2. Che (invece) il Senato abbia dichiarato Dolabella nemico del popolo romano perché
ha ucciso un sicario, e che il popolo sembri avere più caro il figlio di un buffone
[= Trebonio] anziché Gaio Giulio Cesare, il padre della patria, è cosa che deve far
piangere. La cosa poi che più dispiace è che tu, Aulo Irzio, che pure da Cesare sei
stato onorato, che da lui sei stato lasciato in una posizione di cui tu stesso ti
meravigli, e che anche tu, ragazzo [= Ottaviano], tu che di tutto sei debitore al
nome che porti, vi comportate in modo che la condanna di Dolabella sembri legale e
che questa velenosa strega [= Decimo Bruto] sia liberata dall’assedio, e che Bruto e Cassio si rafforzino al
massimo. È chiaro che voi guardate al presente con lo stesso occhio del passato. Chiamate Senato quello che in realtà non è che l’accampamento di Pompeo. Avete come
capo Cicerone, un vinto. Avete posto delle guarnigioni a difesa della Macedonia. Avete affidato l’Africa
a Varo3. Avete permesso a Casca di esercitare le funzioni di tribuno. Avete tolto al Collegio dei Luperci le rendite istituite da Giulio Cesare. Con un Senatoconsulto avete soppresso le colonie di veterani. Avete promesso di restituire a Marsiglia quanto le è stato portato via per diritto
di guerra. Sostenete che nessun pompeiano superstite sarebbe tenuto all’osservanza
della legge Irzia4. Avete rifornito Bruto col denaro di Apuleio. Avete approvato la decapitazione di Petreo e di Menedemo che erano stati ospiti
di Cesare e da lui fatti cittadini romani. Non vi ha per nulla preoccupati il fatto
che Teopompo, spogliato di ogni cosa e cacciato da Trebonio abbia dovuto fuggire ad
Alessandria. Avete sotto i vostri occhi, nel vostro campo, quel Servio Galba che reca addosso ancora
quello stesso pugnale! [= con cui colpì Cesare]. Avete attirato [contraxistis] i soldati, miei e veterani, facendogli credere che si andava a punire gli uccisori
di Cesare, e invece – contro ogni loro aspettativa – li fate marciare contro di me, il loro questore, il loro generale, contro i loro commilitoni. Cosa non avete fatto
o approvato che non farebbe Pompeo se tornasse a vivere!! O che farebbe suo figlio
se solo lo potesse!
Finalmente, voi dite che non ci può essere pace se non lascerò libero Decimo Bruto e non lo
rifornirò di viveri. Ma vi chiedo: la pensano così anche i veterani che sono con voi, almeno quelli cui è ancora consentito
di decidere liberamente? Quei veterani che voi siete venuti a corrompere con le vostre adulazioni e le vostre
velenose ricompense? Voi rispondete di voler prestare aiuto ai soldati assediati.
Non mi oppongo a che si salvino e vadano dove loro aggrada a condizione che si rassegnino
alla morte di colui [= Decimo Bruto] che l’ha meritata. Voi scrivete5che in Senato si è parlato di concordia e che si sono scelti come delegati cinque
ex-consoli. Rispondo che è difficile che proprio coloro che hanno cercato di rovinarmi mentre
offrivo condizioni più che giuste ed anzi ero pronto ad ulteriori concessioni siano
disposti a benevola moderazione. Ed è poco verosimile che coloro i quali hanno dichiarato Dolabella nemico pubblico, per un atto6 più che giusto, siano disposti a transigere con noi che la pensiamo esattamente come Dolabella.
E allora vi chiedo di valutare: è più utile per la nostra parte politica [partibus] vendicare la morte di Trebonio o quella di Cesare? È più utile che noi ci combattiamo
a vicenda e agevoliamo la rinascita della causa pompeiana già tante volte annientata, o che ci mettiamo d’accordo per non fare il gioco degli
avversari?7 I quali avversari avranno tutto da guadagnare, quale che sia, tra noi, il soccombente.
Un tale spettacolo finora la fortuna ha voluto risparmiarcelo: due schiere dello stesso
esercito che si combattono tra loro per istigazione di quell’allenatore di gladiatori
che è Cicerone, cui finora le cose sono andate così bene che è riuscito a ingannare
voi con le stesse arti con cui si è vantato di aver ingannato Cesare8. Quanto a me, sono ben deciso a non tollerare ingiurie rivolte a me o ai miei, a non abbandonare il partito che Pompeo ebbe in odio, a non permettere che i veterani
siano rimossi dalle terre loro assegnate e che siano portati uno per volta al patibolo; sono ben deciso a non venir meno alla
parola data a Dolabella, a non violare l’alleanza stretta con Lepido, uomo religiosissimo,
a non tradire Planco il quale condivide le mie idee.
Se, come spero, gli dèi vorranno aiutarmi mentre proseguo per la mia strada con questi
retti propositi, sarò felice di vivere. Se invece mi attende un fato diverso, già
prevedo con qualche compiacimento le punizioni che vi attendono. Se infatti i pompeiani,
pur sconfitti, sono così aggressivi, di che cosa siano capaci ove vincitori lo sperimenterete
a vostre spese.
Concludo e sintetizzo il mio pensiero. Io sono disposto a dimenticare le offese fattemi da chi appartiene alla mia stessa
parte politica a patto che essi, per parte loro, dimentichino di avermele fatte e che siano sul serio pronti a vendicare, insieme a noi, la morte di Cesare9. Non credo che gli ambasciatori del Senato verranno davvero. Io vorrei che venissero.
Se e quando verranno ascolterò le loro proposte.