6.
Viva la Russia!
Abbasso la Russia!
Viva la Russia!
L’oscillazione mussoliniana fra fiducia e sfiducia nei confronti della Russia rivoluzionaria
si rifletteva sull’orientamento complessivo del suo giornale. Influirono sull’oscillazione
gli avvenimenti russi fra la metà di maggio e la metà di giugno del 1917: le dimissioni
del ministro degli Esteri Miljukov e la formazione di un nuovo governo provvisorio,
il 18 maggio, con la nomina di sei ministri socialisti rappresentanti del Soviet,
fra i quali, oltre Kerenskij nominato ministro della Guerra, vi erano il socialista
rivoluzionario ernov e il socialdemocratico Cereteli. Inoltre, il giornale mussoliniano diffidava
dell’iniziativa del Soviet per una conferenza a Stoccolma dei socialisti europei al
fine di promuovere una pace “senza indennità e senza annessioni”1.
Fra Kerenskij e Lenin
La formazione del nuovo governo provvisorio, contrario alla pace separata, era stata
salutata favorevolmente dai mussoliniani2. Tuttavia, citando i progetti di offensiva del generale Brusilov, comandante del
fronte occidentale, Polverelli precisava che “noi non siamo tanto ottimisti da sperare
ch’egli possa, senz’altro marciare”, perché l’esercito russo aveva bisogno di “riorganizzazione
disciplinare, riorganizzati devono essere anche i servizi logistici”. E se queste
difficoltà non erano insormontabili, gli ostacoli “più gravi possono per contro derivare
dall’opposizione dei fanatici di Pietrogrado, dai pacifondai, dai disfattisti, dagli
agenti tedeschi che a migliaia infestano la Russia e avvelenano il sentimento del
popolo ingenuo”3.
Il giornale mussoliniano iniziò a parlare di una prossima offensiva russa riferendo,
dalla stampa tedesca e austriaca, che c’era una “improvvisa ripresa di attività sul
fronte russo”, mentre da Pietrogrado giungeva la notizia che, nella visita al fronte,
Kerenskij era rimasto stupito “per la preparazione, la disciplina e lo spirito marziale
riscontratovi”4. Tuttavia, a smentire lo stupore del ministro della Guerra, avvenne il pronunciamento
del Soviet dei soldati e degli operai, che aveva preso il potere nella base navale
di Kronštadt, pretendendo di avere il pieno controllo dell’isola e di trattare alla
pari con il governo di Pietrogrado5. Il giornale mussoliniano compensava questa cattiva notizia con una gradita pubblicata
il 4 giugno: l’insuccesso di Lenin al congresso dei contadini, che avevano eletto
nel Comitato esecutivo ernov con 810 voti, mentre Lenin ne aveva avuti solo 206.
La sconfitta clamorosa di Lenin confermava che i bolscevichi rimanevano una minoranza.
Ma erano una minoranza che lanciava messaggi seducenti per i soldati russi, reclamando
la pace immediata e la terra ai contadini, e incitando all’insurrezione contro il
governo provvisorio per trasferire tutto il potere ai Soviet. Il 7 giugno “Il Popolo
d’Italia” accusava il capo bolscevico di favorire la vittoria dell’imperialismo germanico:
Lenin per imporre la pace predica la guerra civile. Si uccidano pure i russi fra di
loro, ma si faccia la pace coi tedeschi; corra il sangue per le vie di Pietrogrado,
e cada la Russia nel caos d’una guerra intestina, ma si salvino la Germania e il Kaiser
e il suo militarismo feudale. [...]
Lenin non è un apostolo immacolato. Lo dimostra il fatto ch’egli non ha sentito l’onta
derivante dall’accettare un treno speciale da quello stesso Kaiser che ha condannato
al carcere Liebknecht. Anche Liebknecht era pacifista, ma ha avuto il coraggio di
schierarsi pubblicamente contro il kaiserismo. A Pietrogrado non si è visto il contrasto
stridente fra il pacifista tedesco che condannava il suo kaiser, e il pacifista russo
che accettava un treno di lusso dal Kaiser straniero, amico dello czar e nemico della
nazione russa?7
Nei giorni successivi, tuttavia, ci fu nel giornale mussoliniano una ripresa di ottimismo
per le notizie delle acclamazioni tributate a Kerenskij dai soldati al fronte, e la
fine della rivolta del Soviet di Kronštadt, che riconobbe l’autorità del governo provvisorio8.
Il più grande avvenimento della guerra
In coincidenza con la notizia dell’accoglienza entusiastica a Kerenskij, “Il Popolo
d’Italia” pubblicò il 10 giugno un articolo del sindacalista rivoluzionario Ottavio
Dinale (Jean Jacques) sui motivi psicologici e storici della rivoluzione russa. Era
il primo tentativo di una valutazione complessiva degli avvenimenti in Russia fatto
dal giornale mussoliniano. Dinale esordiva con un’affermazione perentoria: “La rivoluzione
russa è e resterà il più grande avvenimento della guerra mondiale. E sarà l’inizio
di una nuova storia, forse per tutto il mondo capitalistico”9. Egli si soffermava soprattutto sulla mentalità dei rivoluzionari russi e sul loro
modo di agire. L’ingrediente originario del rivoluzionarismo russo era il misticismo:
I rivoluzionari russi sono dei dottrinari o degli ideologi. E quando per una fatale
concorrenza di cause palesi o nascoste si trovarono innanzi il vecchio regime abbattuto,
mancò la visione della realtà e delle necessità storiche dell’ora, e ciascun caposcuola,
in seno al suo Comitato, tenta di far prevalere la sua pregiudiziale dottrinaria od
ideologica.
Ecco perché, in questo momento, i rivoluzionari russi né san procedere alla ricostruzione
d’un regime, né sanno continuare la guerra, da cui la rivoluzione è nata.
L’estremismo, cioè l’irreale, è il fenomeno di tutte le rivoluzioni, ma in Russia
è più pericoloso che mai, per le condizioni di fatto da cui è nato e cresciuto. [...]
Quando i dottrinari e gli esaltati dei diversi comitati si convinceranno di questa
fatale ed ineluttabile verità – e il momento non è lontano – allora comprenderanno
anche che per salvare la rivoluzione bisogna vincere la guerra, allora si troveranno
in un terreno pratico per offrire un nuovo ideale all’esercito, senza del quale non
può avere lo spirito combattivo necessario all’azione e al sacrificio. [...]
Tutto si lega, nel caotico problema della rivoluzione russa. Ed io ho fede che la
soluzione della crisi non sia lontana. Ma bisogna aver pazienza ed essere cauti nei
giudizi. Ché, se non si deve sacrificare la vittoria alla rivoluzione, non si può
nemmeno affermare che si debba sacrificare la rivoluzione alla vittoria.
I responsabili non tarderanno a capire che rivoluzione e vittoria sono intimamente
collegate.
L’articolo di Dinale rimase un caso isolato nel giornale mussoliniano, che seguiva
quanto accadeva in Russia, nel subitaneo variare di situazioni e di eventi, mantenendo
l’attenzione principalmente sul rischio di una pace separata, che condizionava l’atteggiamento
del giornale, e soprattutto del suo direttore, facendolo oscillare fra fiducia e sfiducia
secondo le incerte e contraddittorie notizie che provenivano dalla Russia.
Basta con la Russia!
A dichiarare nuovamente una sfiducia totale nella Russia fu Mussolini il 17 giugno10. Dopo aver escluso una fine della guerra mondiale entro il 1917, Mussolini era comunque
convinto che la guerra era “entrata nella sua fase decisiva e conclusiva”, volgendo
a favore dell’Intesa, perché l’“efficienza militare degli Imperi nemici è in decadenza
continua”, mentre la “nostra superiorità numerica e di mezzi sul nemico, non è in
questione, malgrado l’inazione russa. La nostra certezza di vittoria, permane immutata”.
Ma nessun contributo alla guerra dell’Intesa Mussolini si aspettava dalla Russia.
Dava infatti per scontato il successo della propaganda pacifista di Lenin, che lui
stesso aveva liquidato poche settimane prima definendolo una irrilevante “parentesi”:
Certo, se la Rivoluzione russa non fosse diventata sotto l’influenza vicina dei Lenin
e lontana dei Tolstoi, un monopolio del Soviet pacifondaio di Pietrogrado, gli eventi guerreschi avrebbero avuto un corso più veloce
e fortunato, ma noi dobbiamo disincantarci dal miraggio russo [...] Comunque bisogna
che gli occidentali non facciano più assegnamento sulla Russia che disonora se stessa
e la causa della Rivoluzione. Guardiamo altrove.
E altrove voleva dire, per Mussolini, guardare a “un’altra repubblica che prende volontariamente
il posto disertato dalla Russia”, e, nello stesso tempo, si lanciava in una irritata
filippica contro la Russia, governanti e popolo:
Basta di Russia, di Pietrogrado, di Lenin, di Soviet, di Tseretelli, di Balabanoff; basta degli operai che lavorano nelle fabbriche di
munizioni sei ore al giorno mentre gli operai delle Trades-Unions rinunciano alle vacanze; basta cogli eterni comizi dei delegati della fronte, diventata
una parola priva di significato. Gli Stati Uniti hanno già varcato l’Oceano. Pershing,
il generalissimo nord-americano, è arrivato a Parigi. Valgono più mezzo milione di
americani che sanno perché si battono di cinque milioni di mugik, la cui forza è esclusivamente data dal loro numero, fattore primo – ma non unico
– di vittoria.
Una simile sfuriata può sorprendere, non solo perché era in netto contrasto con la
fiducia espressa da Mussolini un mese prima, ma perché smentiva l’atteggiamento tenuto
fino ad allora dal suo giornale. La sfuriata mussoliniana è ancor più sorprendente,
perché era in contrasto con le notizie dalla Russia che “Il Popolo d’Italia” pubblicava
in quel periodo, dalle quali si traeva un’immagine tutt’altro che pessimista. Infatti,
la maggior parte di esse segnalava la decisione del governo provvisorio di lanciare
un’offensiva contro i tedeschi, pur ribadendo con il Soviet il proposito di pervenire
al più presto a una pace “senza indennità e senza annessioni”.
È però probabile che la sfiducia mussoliniana nella Russia fosse una manifestazione
del suo stato d’animo, molto inquieto in quel periodo. Il giornale, nel momento in
cui Mussolini era tornato alla direzione, era in cattive acque finanziarie11. Inoltre, egli era inquieto per la situazione italiana, che gli appariva allarmante
sia per la politica interna sia per la condotta della guerra.
Nel primo articolo pubblicato sul giornale dopo la lunga degenza, il 15 giugno, Mussolini
aveva “aperto le ostilità contro il Ministero cosiddetto nazionale”, presieduto da
Paolo Boselli, “che è troppo vecchio e troppo facilmente rimorchiabile”, mentre la
politica estera era dettata ancora da Sonnino, “ministro degli esteri ancien régime”, inflessibile custode della segretezza dei “tabernacoli della diplomazia”, che “è
un non senso in questa che non è guerra di dinastie, ma guerra di popoli”: “Noi vogliamo
una politica estera meno chiusa, meno sospettosa, più conforme allo spirito di democrazia
che grandeggia nelle masse degli uomini”. Inoltre, Mussolini accusava il ministro
dell’Interno Orlando di arrendevolezza con i socialisti pacifisti, perciò ne chiedeva
le dimissioni, mettendolo negativamente a confronto con il primo ministro inglese
Lloyd George, “spirito spregiudicato, pieno di intuizioni geniali, connubio felice
della tenacia britannica coll’impeto latino, energico, dinamico, che va allo scopo
per la via più breve”, capace di compiere il miracolo trasformando l’Inghilterra “d’ieri
che ingrassava e viveva di rendita”, in una nazione che “è oggi un fascio di nervi,
una fucina di energie, il più grande vivaio della volontà umana”. Nulla di paragonabile
c’era in Italia e negli uomini al governo: “Non si vedono che dei ruderi, degli elementi
statici, dei politicanti invischiati nei metodi di ieri; delle mentalità incapaci
di muoversi in questa terribile tempesta di sangue che sconvolge il mondo”12.
Il giorno successivo, Mussolini scriveva addirittura che si era “a uno svolto critico
e pericoloso della storia d’Italia. Non siamo qui a gridare che Annibale è alle porte,
né che la Patria è in pericolo, perché Cadorna fa buona guardia ai confini, ma è certo
che da alcune settimane il Paese intero attraversa una crisi profonda”. Lo dimostravano
i moti popolari per il rincaro dei viveri, che pur senza avere “carattere di eccessiva
gravità”, avevano un indubbio colore “politico”, perché erano fomentati dagli “emissari
austriaci e i loro amici”, mentre “l’opinione pubblica – sottoposta a un regime di
censura grottesco e bestiale – è alla mercé di tutte le voci, è oggetto di tutte le
manovre sabotatrici della guerra”. Mussolini incitava gli interventisti a mobilitarsi
contro il governo inetto e contro la ripresa delle iniziative pacifiste dei neutralisti,
facendo “ancora assegnamento sulle piazze”13.
Convinto che la guerra era entrata nella sua fase decisiva e conclusiva, il 17 giugno
Mussolini chiedeva una dittatura militare, anche se, precisava, la dittatura militare
“esula dalle nostre concezioni politiche libertarie”: “noi siamo per un Comitato di
guerra che concentri in sé tutte le forze, che affini e valorizzi tutte le competenze,
che non abbia scrupoli di portarsi al di là di tutto quanto costituisce in tempi normali
l’inviolabilità di leggi, di istituzioni, di pregiudizi, di uomini”14. Inoltre, come scriveva il 19 giugno, il direttore de “Il Popolo d’Italia” esigeva
dal governo una più decisa caratterizzazione antitedesca della guerra italiana: “Noi
vogliamo un Governo che accentui, acutizzi, esasperi il significato, la portata, il
valore antitedesco della nostra guerra”15.
Rivoluzionari alla guerra
Intanto, Mussolini continuava a non aver fiducia nella Russia. Il 20 giugno, commentando
la risposta del ministro degli Esteri italiano alla nota del 20 aprile e del 30 maggio,
inviata dal governo provvisorio per comunicare il manifesto in cui aveva esposto le
vedute della Russia sugli scopi della guerra, affermò che la nota “non è affatto soddisfacente.
Anzi, è preoccupante, perché rivela un indirizzo politico che non si può sapere dove
conduca”16.
Tuttavia, nei giorni successivi, Mussolini mutò atteggiamento per le nuove notizie
dalla Russia, apprendendo che la Duma, come si leggeva nel suo giornale il 18 giugno,
aveva votato una mozione per dichiarare che “la pace separata colla Germania e l’inattività
prolungata sul fronte sarebbero un ignobile tradimento verso gli alleati tale che
le future generazioni non lo perdonerebbero mai alla Russia attuale”; pertanto, la
Duma affermava che solo un’offensiva “immediata in stretta unione con gli Alleati”
avrebbe garantito “la salvezza della Russia ed il mantenimento della libertà conquistata”17. Inoltre, il governo provvisorio riteneva necessario adottare misure energiche contro
i disertori; ed essendo stata abolita la pena di morte, proponeva di privare i disertori
del diritto di partecipare alle elezioni per la Costituente, e di escluderli dalla
ripartizione delle terre18.
Seguivano, fra il 20 e il 30 giugno, altre notizie incoraggianti: la mozione per un’immediata
offensiva russa, votata dalla grande maggioranza del Soviet di Pietrogrado; la riorganizzazione
dell’esercito attuata da Kerenskij; l’espulsione dalla Russia del socialista svizzero
Robert Grimm, l’organizzatore dei convegni dei socialisti pacifisti di Zimmerwald
(1915) e di Kienthal (1916), accusato di essere un agente tedesco che operava per
“sospingere la Russia verso la pace separata, tradendo, così, gli alleati occidentali”19. Inoltre, il 26 giugno, il giornale pubblicava un articolo da Pietrogrado di Ivan
Demidoff sul congresso panrusso dei Soviet, che aveva approvato una mozione di fiducia
nel governo provvisorio20. Poi, finalmente, il 3 luglio, il giornale pubblicava la notizia che i mussoliniani
attendevano da mesi: L’esercito rivoluzionario russo all’offensiva! Trincee nemiche conquistate sino alla
terza linea. Kerenski comunica l’inizio dell’offensiva russa. Nella stessa pagina riappariva il nome di Lenin: “Lenine e gli altri agenti tedeschi
tentano di persuadere il popolo che un’offensiva non sarebbe che la continuazione
del massacro, la responsabilità del quale incombe sulla politica imperiale, e che
sarebbe nefasta alla causa della rivoluzione”. Ma contro la propaganda leninista,
aggiungeva il giornale, erano in azione i “Battaglioni della Morte”, formati da donne
che facevano “una propaganda di patriottismo, lanciando un appello appassionato alle
donne russe, ai soldati, agli uomini politici. Chiamano tutti al dovere”21.
E allora: viva la Russia!
Il 5 luglio “Il Popolo d’Italia” titolava la prima pagina Gli eserciti della Russia rivoluzionaria procedono vittoriosi. Nell’articolo di spalla, siglato I.D., datato giugno da Pietrogrado, si leggeva che
la “grande maggioranza dell’esercito è per la guerra e per l’offensiva”, mentre Lenin
e i bolscevichi cercavano di ostacolarla:
I leninisti han ricorso ai mezzi più ignobili per pugnalare alle spalle la democrazia
russa. Essi in questi ultimi giorni avevano organizzato un colpo di mano per rovesciare
il Governo provvisorio e il Soviet, giudicato non troppo ossequiente ai principi della
social-democrazia tedesca. Questo complotto era stato organizzato d’accordo con i
tedeschi, perché, come oggi telegrafano da Stoccolma, i giornali di Germania e Austria-Ungheria
avevano accennato ad esso prima che gli incidenti scoppiassero. [...] Ma il movimento
per fortuna poté essere circoscritto e composto, grazie all’energia di Kerenski e
anche del Soviet, il quale non vuole essere spodestato dai massimalisti di Lenin22.
L’editoriale di Mussolini, nello stesso giorno, intitolato Bandiere rosse, era tutto un panegirico dell’esercito e del popolo russi, e specialmente di Kerenskij23. Smentendo il suo scetticismo di poche settimane prima, egli salutava ora “con ammirazione
devota e commossa le bandiere vermiglie che dopo aver sventolato una prima volta nelle
strade e nelle piazze di Pietrogrado in un pallido nevoso mattino di primavera, sono
diventate oggi l’insegna dei reggimenti che il 1° luglio sono andati all’assalto delle
linee austro-tedesche in Galizia e le hanno espugnate”:
Io m’inchino davanti a questa duplice consacrazione vittoriosa, contro lo czar prima,
contro il Kaiser oggi. Non soluzione di continuità fra le barricate e le trincee;
fra il sacrificio cruento per abbattere la tirannia interna ieri e lo sforzo ancora
sanguinoso per infrangere la tirannia esterna di uno Stato di predoni e di assassini.
L’antitesi, non necessaria, anzi artificiosa fra la rivoluzione e la guerra è composta.
Io non ho mai disperato, definitivamente. Non ho mai creduto che la Russia repubblicana
volesse perdersi. Le vicende tempestose di questi mesi possono aver prodotto delle
oscillazioni sulla valutazione della situazione russa. Se l’imperversare di Lénine
e dei suoi gregari, spinse l’opinione pubblica occidentale al pessimismo, una voce
profonda, un senso d’intuizione, ritornava la mente all’ottimismo ed io chiedevo ai
miei amici che volessero “accordare un po’ di credito morale e politico” alla giovane
repubblica slava. C’è dell’impazienza nel mondo: ecco spiegata la ragione di molti
giudizi ostili sulla nuova Russia.
Un così repentino mutamento d’opinione era probabilmente dovuto all’euforia per i
primi successi dell’offensiva russa, che indussero Mussolini a paragonare i soldati
russi con sanculotti della guerra rivoluzionaria:
Lungi dall’averne diminuita l’efficienza morale, la Rivoluzione ha esaltato le energie
e la combattività dell’esercito russo. Non c’è forse nel proclama di Kerensky un’eco,
non attenuata dalla distanza, di quegli ordini del giorno travolgenti che spingevano
alle battaglie “l’esercito scalzo cittadino” di Francia e lo lanciavano alle calcagna
dei re congiurati contro la Rivoluzione? E nelle “ondate” che si sono avvicendate
il 1° luglio sulle trincee nemiche di Galizia, non trovate, voi, quello stesso impeto
eroico, quello spirito di abnegazione sino alla morte, che infiammava i sanculotti
a Valmy?
Il “risveglio moscovita”, proseguiva Mussolini, vanificava il tentativo di Lenin e
dei bolscevichi di sabotare con le dimostrazioni di piazza contro la guerra l’offensiva
voluta dal governo provvisorio:
Lénine ha chiamato il popolo di Pietrogrado a raccolta, proprio alla vigilia dell’offensiva,
ma non ha potuto impedire l’evento. Il tentativo è stato fatto, in forme più modeste
e superficiali, anche in altri paesi, ma con identico risultato.
Il contadino russo, che aveva abbandonato le trincee per andare alla terra, per prendere
possesso una volta per sempre della terra, ha compreso coll’orientazione profonda
delle anime non inquinate dalle teologie terrestri e divine, che la pace separata
sarebbe stata un tradimento e che la pace universale non era possibile senza la disfatta
della Germania.
Una voce misteriosa, ma suaditrice, pareva dire al mugìc russo: se tu non allontani la minaccia tedesca, le terre non saranno tue. Domani,
i nuovi padroni, ridaranno il potere agli antichi, e la tua schiavitù sarà saldata
con un nuovo anello più pesante di quello che hai spezzato.
Mussolini attribuiva il risveglio guerriero dell’esercito russo a Kerenskij, che aveva
ridato “un’anima a un organismo che non si disfaceva – come pensavate voi reazionari
di tutte le scuole! – ma presentava soltanto gli inevitabili disordini, le esuberanze
e – perché no! – le follie della giovinezza ritrovata; e questo organismo – oggi –
è in grado di compiere lo sforzo vittorioso segnalato dalle cronache militari”. E
lo sforzo vittorioso dei soldati russi confermava la validità dell’interventismo rivoluzionario:
Le bandiere rosse piantate sulle trincee galiziane hanno il valore estremo di simbolo.
È la Rivoluzione che non teme la guerra; è la guerra che salva la Rivoluzione. [...]
È la Russia che torna all’Occidente e all’Europa. Le bandiere colle aquile imperiali
non resisteranno alle bandiere rosse della Rivoluzione.
Bandiera rossa la s’innalzerà anche sul castello di Postdam quando gli eserciti della Rivoluzione e delle democrazie
occidentali avranno schiacciato la Germania degli Hohenzollern e di Scheidemann. Nessun’altra
via è aperta. Non v’è altro mezzo. Quel giorno, correranno pel mondo gli entusiasmi
che salutarono la caduta della Bastiglia. Bisogna serrare i denti, irrigidire i muscoli,
cementare le anime, non vedere, non volere, non tendere ad altro scopo. Vincere.
Per la libertà delle Nazioni, delle moltitudini.
Fu detto che questa è una guerra rivoluzionaria: ecco, infatti, le bandiere rosse
alla testa degli eserciti. Presentiamo le armi ai soldati della Rivoluzione. A quella
che ha trionfato in Russia e riceve oggi sui campi di Galizia il crisma sacro della
vittoria.
L’entusiasmo mussoliniano per la Russia rivoluzionaria e guerriera rimase vivo nei
giorni successivi, alimentato dalle notizie che giungevano dal fronte orientale. Nei
primi due giorni dell’offensiva, i russi avrebbero catturato 18.300 prigionieri e
3000 ufficiali, 29 cannoni e 33 mitragliatrici24. I titoli delle cronache dal fronte russo suonavano come un bollettino di vittoria25. Fra le notizie di vittoria, tuttavia, si era insinuata il 13 luglio una brevissima
notizia che pareva incrinare l’euforia: “Il ministro della guerra Kerensky visita
tutto il fronte della Galizia, animando le truppe, stigmatizzando i malcontenti e
guadagnando parecchi reggimenti alla causa dell’offensiva”26.
Kerenskij era un grande oratore, molto più efficace di Lenin. I suoi discorsi suscitavano
grande entusiasmo: ma sarebbero bastati i discorsi a sedare tutti i malcontenti, a
guadagnare alla causa dell’offensiva tutti i reggimenti? Mussolini e il suo giornale
non si posero la domanda. E continuarono a sperare nel successo dell’offensiva.