I pugni di papa Francesco
Il 15 gennaio 2015, una settimana dopo la strage nella sede di «Charlie Hebdo» a Parigi,
papa Francesco rilasciò ai microfoni dei giornalisti una dichiarazione che molti giudicarono
sconcertante: «È vero che non si può reagire violentamente, ma se il dottor Gasbarri,
grande amico [organizzatore dei viaggi papali, ndA], mi dice una parolaccia contro la mia mamma, ma gli aspetta un pugno! Ma è normale!».
L’esternazione papale fu criticata perché in sostanza era, o poteva sembrare, una
giustificazione degli assassini; ma più o meno consapevolmente molti erano anche sconcertati
da un papa che si esprimeva così.
In realtà papa Francesco è abituato a un linguaggio irrituale, soprattutto quando
parla nella sua lingua natia, lo spagnolo d’Argentina. Quando si rivolge ai giovani
usa spesso un’espressione argentina, hacer lío, che in italiano si traduce comunemente «fare casino». Qualcuno preferisce pudicamente
tradurre «fare chiasso», anche perché c’è un precedente, che il papa può ben aver
tenuto in considerazione: nel 2000, a Roma, durante la Giornata mondiale della gioventù
papa Wojtya parlò del chiasso che facevano i giovani in sala, e aggiunse: «Questo
‘chiasso’ ha colpito Roma e Roma non lo dimenticherà mai!». Ma in realtà l’espressione
hacerlío, pur non avendo alcun riferimento osceno, corrisponde abbastanza precisamente al
senso attuale del nostro «fare casino», perché non implica solo il rumore, ma il disordine
e la confusione.
Nel linguaggio del papa, però, il lío è un disordine intenzionale e carico di significato: hacenlío gli studenti che si scatenano durante una festa, ma anche nelle manifestazioni di
protesta nelle strade di Buenos Aires. Nel 2013, incontrando i giovani argentini –
e si trattava, anche in questo caso, della Giornata mondiale della gioventù – nella
cattedrale di Rio de Janeiro, Francesco prima ha scherzato sulle misure di sicurezza
(«Mi sembra di essere in gabbia... Mi piacerebbe essere più vicino a voi, ma per ragione
di ordine non posso») e poi ha detto, e ripetuto più volte, che quello che si aspetta
dai giovani è che facciano casino.
Cos’è che mi aspetto come conseguenza della Giornata della gioventù? Mi aspetto del
casino. Che qui dentro ci sarà casino, ci sarà, che a Rio ci sarà casino, ci sarà,
però voglio casino nelle diocesi, voglio che si esca fuori, voglio che la Chiesa esca
in strada, voglio che ci difendiamo da tutto ciò che è adattamento al mondo, da ciò
che è sistemazione, che è comodità, che è clericalismo, che è restare chiusi in noi
stessi, le parrocchie, i collegi, le istituzioni sono fatte per uscire, se non escono
diventano una ONG e la Chiesa non può essere una ONG! Mi perdonino i vescovi e i parroci,
se poi qualcuno fa casino contro di loro, ma questo è il mio consiglio... E allora,
fate casino!
Verrebbe voglia di citare il presidente Mao: «Grande è il disordine sotto il cielo:
la situazione è eccellente». Come il Grande Timoniere, così papa Francesco si esprime
in modo volutamente paradossale, conferendo significato positivo a un termine che
normalmente ne è privo. Basta scorrere le possibili traduzioni in inglese, in effetti,
per rendersi conto che il campo semantico di lío è fondamentalmente negativo: «to make a mess», «to make a fuss», «to get into a muddle»,
«to get in trouble». Rispetto a quest’uso più frequente di lío, che implica imbarazzo e fastidio, il papa ha letteralmente reinventato l’espressione,
trasformandola in senso positivo. Lo rileva il giornalista argentino Jorge Milia,
allievo e amico di Bergoglio, in un articolo pubblicato dall’«Osservatore Romano»:
Perciò l’espressione sta cambiando di senso. Di più: lo ha già fatto. Più che cambiarla,
possiamo dire che il papa Francesco l’ha trasfigurata. È evidente che non si tratta
solo di un tema per filologi o semiologi. No. Come qualsiasi trasfigurazione che si
verifica fa vedere le cose sotto una nuova luce, ha ri-creato ciò che già esisteva.
E lo ha messo in movimento.
Dunque le parole usate dai papi sono importanti; tanto più in quanto il loro modo
di parlare non è sempre lo stesso. Ovviamente varia a seconda del contesto: nell’enciclica
Laudato si’ che Francesco ha pubblicato nel maggio 2015 sarebbe inutile cercare tanto i pugni
quanto il casino (anche se c’è «piove sul bagnato»). Ma soprattutto varia, in modo
molto istruttivo, da un’epoca all’altra. Nei secoli le parole dei pontefici sono cambiate
così profondamente che se un papa utilizzasse oggi le stesse espressioni che erano
normali non dico nel Medioevo, ma anche soltanto nell’Ottocento provocherebbe molto
più sconcerto dei pugni di papa Bergoglio. Il linguaggio con cui il pastore della
Chiesa di Roma si rivolge all’umanità nei momenti difficili è sempre stato espressione
non solo della sua personalità individuale, ma del posto che la parola della Chiesa
occupava nel mondo in quella data epoca; ed è un indizio estremamente rivelatore delle
diverse modalità, e della diversa autorevolezza con cui di volta in volta i papi si
sono proposti come leader mondiali.
In queste pagine faremo un viaggio attraverso le parole usate dai papi nei secoli.
Ovviamente la Chiesa esiste da duemila anni e nel corso di questi due millenni ha
prodotto innumerevoli parole; non si tratta di renderne conto in modo esaustivo o
anche solo sistematico, ma piuttosto di proporre uno dei tanti viaggi possibili, cominciando
dal Medioevo per arrivare fino alla soglia della nostra epoca.