XI. Truppe limitanee e impiego di barbari a difesa delle frontiere
Quando descrivono le condizioni offerte da Teodosio ai Goti le fonti coeve utilizzano,
come si è visto, un linguaggio estremamente generico: i barbari ricevettero terra,
e prestarono servizio militare. Se ci sforziamo di riempire queste indicazioni di
contenuti più precisi, dal punto di vista giuridico e amministrativo, siamo costretti
ad accontentarci di ipotesi, rafforzate, nel migliore dei casi, dal confronto con
i precedenti cui l’amministrazione romana può aver fatto riferimento. In un contesto
così incerto, è opportuno esplorare tutti gli ambiti che in qualche modo possono aver
interferito con gli accordi degli anni successivi al 378, suggerendo a Teodosio e
ai suoi consiglieri le misure da adottare nell’emergenza. Per prima cosa, faremo il
punto di quel che sappiamo sull’organizzazione delle truppe limitanee, a cui, in condizioni
normali, era demandata la difesa delle frontiere, e che in talune aree dell’impero,
come vedremo, erano già a questa data integrate da gruppi barbarici.
1. Una discussione da riaprire?
Nel descrivere le misure di accoglienza adottate da Teodosio sul fronte del Danubio,
e prima di lui da Giuliano sul fronte del Reno, le nostre fonti affermano a più riprese
che l’intenzione del governo era di impiegare i barbari nella difesa della frontiera;
è a questo scopo che venivano assegnate loro terre nelle province di confine, oppure
non meglio definiti sussidi e vettovaglie. Ma quale rapporto si istituiva fra le procedure
eccezionali così genericamente descritte dagli storici greci e latini, e l’organizzazione
dei reparti militari stanziati nelle province di frontiera, i cosiddetti limitanei? In passato si è creduto che quei reparti fossero regolarmente mantenuti appunto
per mezzo di assegnazioni fondiarie, e che in questa prospettiva la costituzione di
un numerus regolare o lo stanziamento di una banda barbarica non rappresentassero poi procedure
così diverse: in un caso come nell’altro l’insediamento di armati a protezione della
frontiera richiedeva l’assegnazione di terre pubbliche e comportava di fatto la sistemazione
nella zona non soltanto dei militari, ma di un intero nucleo di popolazione. Col diffondersi
di questa procedura i limitanei si sarebbero trasformati in una milizia paesana, occupata più a coltivare i campi
assegnati dallo stato che a lucidare le armi, e continuamente ingrossata non con reclute
regolari, ma con l’immigrazione di barbari, attirati appunto dalla speranza di quelle
assegnazioni.
Il fascino di questa immagine di lenta decadenza e barbarizzazione delle guarnigioni
di frontiera è innegabile, e si comprende facilmente che essa abbia generato pagine
fortemente evocative. «Le truppe di confine, addette in modo combinato al combattimento
e all’agricoltura, erano tratte dai reparti ausiliari, dai veterani, e in misura crescente
dall’insediamento di tribù amiche su terra pubblica», scriveva Ramsay MacMullen; ed
evocava così il loro modo di vita: «I limitanei trascorrevano la maggior parte del
loro tempo sulle loro piccole proprietà, e poiché per quanto ne sappiamo non erano
mai addestrati, portati alle manovre o assoggettati a una disciplina regolare, combattevano
come ci si può aspettare, da dilettanti. Questo non vuol dire che fossero tutti coltivatori.
Se possiamo giudicare dalle tracce che hanno lasciato, soprattutto in Africa, essi
formavano un meschino notabilato nelle zone di frontiera, mezzo barbari, mezzo soldati,
in forti che assomigliavano a case»1.
Se le misure di accoglienza intraprese da Giuliano a favore dei Salii e poi, più ampiamente,
da Teodosio a favore dei Goti dovessero essere interpretate in questa prospettiva,
risulterebbe evidentemente superata l’alternativa fra l’assegnazione di terre in proprietà
o in usufrutto ai capi, con successiva ridistribuzione alle loro clientele, oppure
lo stanziamento degli immigrati come coloni fiscali soggetti alla coscrizione; ed
egualmente irrilevante apparirebbe l’alternativa fra la costituzione, coi loro coscritti,
di unità regolari oppure l’assunzione di bande mercenarie autonome: in tutti i casi
le assegnazioni fondiarie sarebbero state collettive, facendo venir meno qualunque
distinzione tra la formazione militare e il più ampio nucleo di popolazione barbarica
che la supportava. Senonché oggi non si crede più che l’intero organico dei reparti
limitanei abbia subito una trasformazione di questa natura: si è verificato, infatti,
che assegnazioni di terra alle truppe di frontiera non sono documentate con certezza
prima del V secolo, e che in generale i limitanei costituivano un organico molto più regolare e professionale di quanto non si sia
creduto.
Rimane tuttavia qualche problema, che induce a non escludere del tutto la possibilità
d’un intreccio fra l’accoglienza di barbari nelle zone di frontiera e l’amministrazione
delle truppe limitanee. Un primo dubbio nasce dal fatto che se quelle truppe, fino
all’epoca di Teodosio, non ricevevano assegnazioni fondiarie, riscuotevano però regolarmente
l’annona, il che può aver offerto una procedura amministrativa già collaudata, utilizzabile
anche per l’insediamento di barbari: i quali si sarebbero così affiancati ai reparti
limitanei, o li avrebbero in parte sostituiti, gravando in modo analogo sui provinciali.
Un secondo interrogativo è sollevato dalle condizioni di un’area molto particolare
della frontiera imperiale, e cioè l’Africa: dove le assegnazioni di terra ai limitanei parrebbero in realtà più precoci, e dove, al tempo stesso, proprio il coinvolgimento
di capi e nuclei barbarici nella sorveglianza delle frontiere sembra essere diventato
una prassi regolare già nel corso del IV secolo. Ce n’è abbastanza per indurci a riaprire
il dossier dei limitanei, così da approfondire la conoscenza delle procedure che erano familiari all’amministrazione
nelle zone di confine, e verificare le possibili analogie rispetto ai grandi stanziamenti
di barbari intrapresi sulle frontiere settentrionali.
2. Dalla fornitura di annona alle assegnazioni di terra
Nel IV secolo, nessuna fonte permette di affermare che le truppe limitanee stanziate
nelle province di frontiera asiatiche ed europee ricevessero assegnazioni di terre
da coltivare, su cui stanziarsi con le loro famiglie. Al contrario, è dimostrato che
godevano di assegnazioni governative di annona, esattamente come tutti gli altri reparti
militari acquartierati sul territorio dell’immenso impero. Lungo tutto il corso del
secolo si susseguono le disposizioni che suddividono fra le province la fornitura
di frumento, carne, olio e sale per il limes; a volte si cerca di venire incontro alle proteste dei contribuenti stabilendo che
dopo l’ammasso le guarnigioni delle fortezze più lontane debbono provvedere esse stesse
a trasportare le scorte fino ai propri magazzini, ma in generale è chiaro che i comodi
dei provinciali passano in secondo piano rispetto alla necessità inderogabile di consegnare
regolarmente, ogni mese, la limitaneorum annona2.
Le tensioni che questo sistema di mantenimento delle truppe di frontiera poteva suscitare
sono vividamente evocate da Temistio, nell’orazione del 369 in cui elogia Valente
per aver rafforzato il confine del Danubio. Per troppo tempo, osserva il retore, non
si erano più fatti investimenti in quel settore, le fortificazioni si erano degradate,
la truppa era sotto organico e il vettovagliamento insufficiente, così che i soldati
finivano per rivalersi sui contadini, a forza di requisizioni non autorizzate; ora
l’intervento dell’imperatore ha raddrizzato la situazione, si sono intrapresi lavori
per rimettere in efficienza le fortificazioni, costruiti acquedotti e depositi di
viveri, migliorato il sistema di vettovagliamento e colmati gli organici dei reparti.
In conseguenza, si compiace Temistio, i rapporti fra la truppa e gli abitanti sono
tornati normali, i soldati rispettano la disciplina e i contadini non hanno più paura
di loro, anzi qualsiasi abuso è prontamente punito. Il quadro in sé non è edificante,
e anzi avvalora l’idea che in mancanza di controlli l’efficienza e la disciplina dei
limitanei non ci mettessero molto a declinare; ma quello che colpisce è che non c’è
alcun cenno ad assegnazioni di terra per il mantenimento delle truppe, interamente
affidato all’annona pubblica o comunque a forniture da parte della popolazione civile3.
Le uniche modifiche intervenute nel corso del secolo riguardano la possibilità per
i contribuenti di versare una parte dell’annona in denaro anziché in natura, una questione
su cui evidentemente esistevano forti contrasti di interesse, e che richiedeva una
regolamentazione minuziosa per evitare le frodi. In quest’ambito emerge a un certo
punto una distinzione fra i reparti dell’esercito di manovra, i comitatenses, cui Graziano prevede di distribuire i rifornimenti in natura prelevandoli dai magazzini,
e i reparti di frontiera, limitanei/riparienses, a cui invece, per la maggior difficoltà di trasporto, i provinciali possono pagare
l’imposta in denaro. Rimane comunque il fatto che tutto questo complesso di editti
esclude che le truppe stanziate sui confini fossero in grado di mantenersi da sole
coltivando la terra4.
Alla fine del IV o all’inizio del V secolo risale la prima fonte narrativa in cui
si parla di terre assegnate ai reparti stanziati sui confini, e cioè l’Historia Augusta5. Nelle biografie, più o meno romanzate, degli imperatori antichi l’anonimo autore
adombra spesso questioni del suo tempo; e infatti il passo della Vita di Probo in cui si afferma che quell’imperatore «collocò accampamenti sul suolo barbarico»,
cioè sulla sponda orientale del Reno, e «organizzò poi campi, granai, case e annona
per tutti i Transrenani, cioè quelli che aveva posto a guardia dei confini», testimonia
una familiarità con l’idea che il governo assegnasse terre per il mantenimento delle
truppe di frontiera, anche se il riferimento all’annona attenua la novità. Ancor più
esplicito è un intervento attribuito a Severo Alessandro, il quale «donò ai duchi
e ai soldati dei limites le terre conquistate al nemico, col patto che se i loro eredi si fossero arruolati
non sarebbero mai finite in mani private, dicendo che avrebbero combattuto con più
zelo se avessero dovuto difendere anche le loro proprietà». L’imperatore avrebbe fornito
loro bestiame e schiavi, per evitare che s’impoverissero e abbandonassero il paese;
giacché, conclude l’autore, era molto attento a evitare lo spopolamento delle province
di confine. È possibile che con questo racconto, anacronistico tanto nella terminologia
quanto nelle preoccupazioni, l’autore abbia tentato di spiegare l’origine storica
di una prassi contemporanea; ma il passo è stato anche interpretato come un velato
suggerimento al governo, anziché come la semplice trasposizione al passato di una
realtà già in atto. Restiamo, insomma, in dubbio se le assegnazioni di terre alle
truppe limitanee fossero già prassi corrente quando scriveva l’anonimo, o non piuttosto
semplicemente una innovazione a cui si stava cominciando a pensare, e che sarebbe
stata sperimentata su larga scala soltanto negli anni successivi6.
È infatti nel corso del V secolo che la legislazione comincia a documentare assegnazioni
generalizzate di fondi agricoli alle guarnigioni di frontiera, anche se a questo punto,
a dire il vero, se ne parla come di una prassi già collaudata e non più di una novità.
Nel 423 un editto imperiale denuncia la privatizzazione abusiva di terre che erano
state distribuite, molto tempo prima, alle truppe; da esso si deduce chiaramente che
ciascun posto di guardia fortificato dispone di terre che almeno in teoria dovrebbero
essere assegnate soltanto ai soldati in servizio sul posto. Con l’inutile severità
che caratterizza in quest’epoca gli interventi governativi, l’editto commina la pena
di morte per tutti i privati che saranno trovati in possesso di questi appezzamenti;
e tuttavia vent’anni dopo, nel 443, un’altra grida torna a denunciare il medesimo
abuso, imponendo che tutte le terre assegnate in passato ai limitanei e che ora risultano in mani private siano immediatamente confiscate e riassegnate
alle truppe. In questo secondo editto si afferma chiaramente che i soldati «gestiscono
e arano queste terre per il proprio profitto», o almeno che dovrebbero farlo, anche
se in realtà è chiaro che molto spesso i fondi finiscono in altre mani7.
Anche sulla base di questi editti, si può comunque dubitare che l’assegnazione di
terra ai limitanei li abbia trasformati in contadini, nel senso più umile del termine. La posizione
sociale ed economica del soldato era sufficientemente garantita, in una società locale
impoverita, da permetterci di immaginarlo come un possidente che non lavora con le
sue mani, e che all’occasione può trafficare vantaggiosamente con i possedimenti demaniali
che gli sono stati assegnati. È improbabile che nel V secolo le ali e le coorti stanziate
lungo la frontiera abbiano lasciato il posto a una milizia contadina, vincolata ereditariamente
alla terra e al servizio; l’unica cosa certa è che il meccanismo di fornitura dell’annona
ai reparti venne integrato o in parte sostituito da assegnazioni dirette di appezzamenti.
Sembra dunque difficile supporre che quando le fonti del IV secolo parlano di terre
distribuite ai barbari nell’area renana e danubiana, gli autori abbiano in mente un
arruolamento collettivo nei reparti limitanei; mentre non si può escludere che proprio
la costituzione di reparti del genere sia adombrata in quei passi che accennano alla
concessione di vettovaglie agli immigrati, e al loro stanziamento nelle province di
confine coll’incarico di difenderle.
3. I «limitanei»: un organico regolare
Quando si prospetta la costituzione di reparti limitanei mediante l’arruolamento in
massa di coscritti barbarici, dev’essere comunque chiaro che ci si riferisce a reparti
regolari, inquadrati in un organico ufficiale di cui ci rimane una limpida rappresentazione
nella Notitia Dignitatum. Questo documento ha una cattiva fama per le numerose ripetizioni e incongruenze
che rivela a un esame approfondito; come se non bastasse, la parte relativa all’impero
d’Occidente è posteriore alle grandi invasioni dei primi anni del V secolo e al collasso
delle difese sul Reno, per cui il quadro delle forze limitanee stanziate in quell’area
è imparentato solo alla lontana con quello esistente appena qualche anno prima. Anche
così, però, è subito evidente che nella maggior parte delle province di frontiera
le truppe al comando dei governatori militari sono composte da unità perfettamente
regolari, assegnate perseguendo una precisa simmetria: ciascuno di loro ha a disposizione
una o due legioni, per lo più suddivise in distaccamenti, un certo numero di ali e
coorti ausiliarie, e una buona quantità di cunei di cavalleria, di formazione più recente, ma non per questo meno regolari.
Il quadro appena delineato è quello che la Notitia presenta per l’Oriente, dove tutti i governatori militari preposti alle frontiere,
ovvero il comes d’Egitto e i duces di Tebaide, Fenicia, Palestina, Osroene, Mesopotamia, Arabia, Armenia, Scizia, Mesia
Prima, Mesia Seconda e Dacia Ripense, hanno comandi rigidamente organizzati secondo
questo schema. In Occidente ritroviamo lo stesso principio in tutte le province europee
che non hanno ancora subito l’impatto delle invasioni: tanto i duces delle province danubiane di Pannonia Prima, Pannonia Seconda, Valeria e Rezia, quanto
il dux di Britannia e il comes della costa britannica hanno ai loro ordini un apparato militare regolare strutturato
secondo il modello standardizzato che abbiamo descritto, e che evidentemente era quello
ovunque consueto fino a qualche anno prima.
Soltanto i comandi delle province renane appaiono completamente destrutturati, segno
evidente che le invasioni li hanno travolti. Delle tre province di confine vere e
proprie, corrispondenti al corso del Reno dalla sorgente fino al delta, la Sequanica
è ridotta a un’unica guarnigione, mentre delle due Germanie, I e II, ne sopravvive
una sola, di cui non conosciamo l’organigramma per la perdita di un foglio; fra le
province che costituivano un tempo il retroterra del limes, è sparita la Belgica I, mentre la Belgica II è ridotta a due sole guarnigioni, entrambe
portuali. Il corso nord-occidentale del Reno è stato interamente abbandonato; l’unica
forza ancora operante sul fiume è stanziata a sud-est, ed è chiaramente organizzata
in modo provvisorio, al comando d’un duca di nuova creazione insediato a Magonza,
mentre tutto il resto della Gallia ancora non invasa è affidato a un altro comando
d’emergenza, anch’esso appena creato, quello del dux tractus Armoricani. Questi duchi hanno ai propri ordini un numero abbastanza ridotto di reparti, ma
il fatto più impressionante è che non sono mai reggimenti regolari a piena forza,
ad eccezione d’una coorte di nuova formazione appena reclutata in Armorica; ma soltanto
relitti di legioni, ali, coorti e cunei precedenti, designati col termine generico
di milites. Rimane peraltro intatta l’impressione che prima della catastrofe anche l’apparato
militare dislocato sul limes renano fosse costituito da reparti perfettamente regolari, il cui organigramma emerge
ancora in trasparenza dai nomi attribuiti ai diversi drappelli di milites8.
La piena regolarità dei reparti limitanei trova conferma nella vasta legislazione
sul reclutamento prodotta dagli uffici di Valentiniano e Valente, che non lascia intravedere
alcuna distinzione fra le reclute da assegnare ai vari tipi di reparto: i coscritti,
compresi i figli dei veterani, potevano essere smistati indifferentemente nei comitatenses o nei limitanei9. Questo non esclude, ovviamente, che la natura del servizio fosse percepita come
diversa, soprattutto perché arruolarsi in un reparto limitaneo garantiva, salvo trasferimenti
imprevisti, di prestare servizio vicino a casa propria. Fra il 342 e il 351 un prete
cristiano, apa Miòs, scrisse a Flavio Abinneo, prefetto di un’ala di guarnigione a Dionisia nel
Fayyum, per raccomandargli il fratello della propria moglie: in quanto figlio di soldato
era stato arruolato, e se Abinneo avesse potuto farlo esonerare avrebbe compiuto un’opera
buona; ma se non poteva, ottenesse almeno «che non debba andare fuori insieme a quelli
scelti per l’esercito comitatense (tòn eglegoménon eis komidàton)». Che i raccomandati riuscissero in genere a prestare il loro servizio nei reparti
limitanei parrebbe confermato da una legge del 363 relativa ai figli dei curiali,
di quei possidenti locali, cioè, che erano costretti per legge a organizzare e a garantire
sui loro patrimoni la riscossione delle imposte: la legge stabilisce che se si arruolano
nell’esercito, dopo dieci anni di servizio possono essere esentati da quell’obbligo
ereditario, e sembra dare per scontato che persone di questa origine sociale tenderanno
ad arruolarsi nella militia limitanea10. Lungi dall’attirare soprattutto immigrati e sradicati, insomma, i reparti limitanei
erano semmai quelli in cui prestavano abitualmente servizio i provinciali che non
erano riusciti a sfuggire alla coscrizione; e fra loro non i più poveri, ma piuttosto
quelli che disponevano comunque di relazioni sufficienti per ottenere una destinazione
di favore.
4. L’eccezione africana
Assegnazioni di terra e reclutamento di barbari C’è tuttavia una zona dell’impero, l’Africa, in cui sono precocemente documentate
sia l’assegnazione di terre pubbliche ai reparti limitanei, sia la loro parziale sostituzione
con bande autonome di barbari, precariamente inquadrate negli organici amministrativi,
e anch’esse ricompensate per mezzo di concessioni fondiarie. Il quadro che ne esce
è così diverso da quello fin qui ricostruito, da suggerire che si sia trattato di
uno sviluppo proprio dell’area africana, e finché non emergeranno concreti riscontri
non è prudente supporne l’estensione ad altre aree di frontiera, come quella renana
o danubiana. Esso è tuttavia fortemente suggestivo di come, quando la situazione lo
richiedeva, l’amministrazione imperiale fosse capace di gestire con estrema flessibilità
le risorse offerte dalla presenza dei barbari, per assicurare in un modo o nell’altro
la difesa delle frontiere.
Assegnazioni di terra al personale dei reparti di stanza nella provincia, e privatizzazioni
abusive che inevitabilmente ne conseguono, sono menzionate per la prima volta da Sinesio,
grande proprietario terriero e futuro vescovo di Tolemaide, impegnato a combattere
le scorrerie dei predoni del deserto che creavano il panico fra la popolazione romana
della Cirenaica. A più riprese Sinesio ricorda la presenza di unità militari di guarnigione
nel paese, come un reparto di Traci e uno di Marcomanni; tuttavia li caratterizza
come truppe scadenti, capaci solo di barricarsi nei loro forti all’avvicinarsi dei
razziatori. Ma accanto a questi reparti regolari che definisce ripetutamente «stranieri»
(xénoi) e di cui propone senz’altro lo scioglimento, denunciando i traffici e le estorsioni
cui danno luogo gli obblighi di acquartieramento e la riscossione dell’annona, Sinesio
menziona più volte anche truppe «del paese» (enkhórioi o epikhórioi). In una lettera del 405 denuncia il duca di Libia, Cerealio, per aver messo le mani
illegalmente sulle terre assegnate a questi soldati indigeni, confiscandole e distribuendo
in cambio esenzioni dal servizio, senza preoccuparsi di come tutta questa gente, espulsa
dagli organici, avrebbe potuto campare. Appare dunque evidente che in Africa, a quest’epoca,
l’assegnazione di terre pubbliche ai soldati era pratica corrente; e che queste assegnazioni
non spettavano, genericamente, ai reparti limitanei che il comando dell’esercito assegnava
alla provincia, ancor sempre mantenuti innanzitutto coll’annona, ma specificamente
ai contingenti reclutati sul posto11.
È difficile resistere alla tentazione di mettere in rapporto la lettera di Sinesio
con un editto di Onorio del 409, che sembra proprio una risposta a questa e forse
altre analoghe denunce. La disposizione, indirizzata al vicario d’Africa, parla delle
«terre che nello spirito umanitario di una volta erano state assegnate ai barbari
(gentiles) in cambio della manutenzione e difesa del limes e del fossato»; dove quest’ultimo termine indica la principale struttura difensiva
del confine africano verso il deserto, oggi ben nota grazie agli scavi archeologici,
il fossatum Africae. L’imperatore rileva che in molti casi queste terre sono state privatizzate illegalmente,
e decreta che chiunque le detenga dovrà provvedere a sue spese al servizio; altrimenti
si procederà a confiscarle e distribuirle ai barbari, se si troverà qualcuno disposto
a farsene carico, oppure ai veterani congedati, sempre e comunque con l’impegno di
prestare servizio nei posti di confine12.
Almeno in apparenza c’è, naturalmente, un certo scarto fra il linguaggio dell’editto,
che parla di gentiles, e la terminologia di Sinesio, la quale di per sé non implica che gli assegnatari
fossero barbari: «reclutati nel paese» è un termine che non si riferisce alla composizione
etnica dei reparti, ma piuttosto serve a definire le truppe limitanee arruolate sul
posto, rispetto agli «stranieri», regolari o mercenari, che il comando dell’esercito
può in qualsiasi momento trasferire in Libia dagli angoli più diversi dell’impero.
Lo scarto, tuttavia, dipende soprattutto dal diverso punto di vista della cancelleria
imperiale e del grande proprietario provinciale: i barbari che vivono presso la frontiera
africana appaiono molto più stranieri al lontano governo imperiale che non a Sinesio,
abituato da sempre a trattare con loro. Almeno uno dei reparti da lui menzionati,
quello dei Balagriti, che prendono nome da una località presso Cirene, è certamente
reclutato fra nomadi locali, come suggerisce anche il titolo di filarca con cui è
designato il loro comandante. Sinesio osserva causticamente che si trattava in origine
di arcieri a cavallo, ma ora il duca ha venduto i loro cavalli, sicché sono rimasti
arcieri e basta; in loro riconosciamo dunque uno di quei reggimenti di equites sagittarii indigenae che si reclutavano largamente sui confini asiatici e africani dell’impero13.
Anche altre fonti relative all’Africa tendono a sottolineare la natura locale, indigena
di almeno una parte delle truppe provinciali. Già Ammiano Marcellino, rievocando la
spedizione africana di Teodosio il Vecchio del 372, contrapponeva i reparti comitatenses sbarcati col generale e i «soldati indigeni» che egli unì alle sue forze14; e quando il conte d’Africa, Gildone, si ribella nel 398 contro il governo imperiale,
oltre ai reparti dell’esercito regolare stanziati nella provincia lo segue una «barbarorum
magna multitudo», in cui sono stati riconosciuti dei contingenti irregolari forniti
dalle tribù locali15. Sembra possibile interpretare questa convergenza delle fonti nel senso che in Africa
l’esercito praticava con una certa ampiezza l’assunzione di ausiliari barbari, provenienti
da aree tribali; e si può allora ipotizzare che proprio per fissare queste bande lungo
il confine che dovevano difendere si sia cominciato più presto che altrove ad assegnare
loro l’usufrutto di terre demaniali.
Inquadrato, in qualche caso, in numeri sostanzialmente regolari, questo personale barbaro poteva anche essere reclutato
in forme più flessibili, benché sempre sotto il controllo degli ufficiali preposti
al limes; e anche in questo caso si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un fenomeno tipico
dell’Africa, che non ha riscontri altrove. Nel 398 un latifondista italico, venuto
a visitare i suoi possedimenti in Tripolitania, rimane sorpreso da questa usanza,
e scrive ad Agostino per manifestare i suoi scrupoli religiosi; giacché i decurioni
e i tribuni «che comandano sul limes» fanno giurare i barbari sui loro demoni, quando li assumono per la guida delle carovane
o la custodia dei raccolti. Agostino risponde che in casi del genere conviene non
essere troppo rigidi, perché da quei giuramenti dipende la sicurezza non solo del
confine, ma di tutte le province; il che ci lascia intravvedere l’ampiezza assunta
da questi impieghi di personale barbaro, di cui anche i privati si servivano largamente,
ma solo dietro autorizzazione scritta delle autorità militari16.
È possibile che l’assunzione di irregolari locali abbia in parte sostituito, sul limes africano, lo stanziamento di truppe limitanee regolari. Potrebbe essere interpretata
in questo senso una vistosa anomalia della Notitia Dignitatum, concernente proprio le province africane. Qui uno solo dei quattro governatori di
cui conosciamo l’organico militare, il conte di Tingitania, ha ai suoi ordini un certo
numero di ali e coorti precisamente individuate; i suoi colleghi, il conte d’Africa
e i duchi di Tripolitania e di Mauritania, hanno sotto di sé, genericamente, trentasei
praepositi limitis, ognuno incaricato d’uno specifico settore, senza alcuna precisazione sulle truppe
al comando di ciascuno17. L’assenza di un ordinato elenco di distaccamenti legionari e reggimenti ausiliari,
come si ritrova in tutte le altre province dell’impero, non implica di per sé che
reparti di questo genere fossero assenti dall’Africa; ma può accordarsi con l’ipotesi
che la loro presenza fosse più intermittente, o che a un certo punto siano stati trasferiti
tra i comitatenses, così che in molti settori la difesa del limes rimase affidata principalmente ad elementi indigeni. I decurioni e i tribuni di cui
parla il corrispondente di sant’Agostino, che esercitano funzioni di comando sul limes e provvedono ad assumere personale barbaro, sono del resto da identificare molto
probabilmente proprio con i praepositi limitis18.
La collaborazione dei capi indigeni I loro interlocutori, per il reclutamento delle milizie irregolari, erano verosimilmente
quei praefecti cui il governo imperiale delegava il controllo delle diverse tribù, e che a quest’epoca
erano comunemente reclutati fra gli stessi notabili indigeni. Ammiano Marcellino,
riferendo di avvenimenti africani, accenna più volte a praefecti che capeggiano questa o quella gens; e fra l’altro racconta come uno di costoro venne messo a morte da Teodosio il Vecchio,
per essersi unito alla ribellione della tribù che gli era affidata. Anche un editto
imperiale del 405, che impartisce disposizioni al proconsole d’Africa circa le cause
civili eventualmente sollecitate «dai gentiles o dai loro prefetti», sembra confermare che agli occhi degli amministratori e dei
comandanti militari inviati dalla capitale questi personaggi apparivano più come mediatori
locali che non come colleghi, membri della stessa burocrazia centralizzata. Che i
prefetti, soprattutto fra le tribù di recente sottomissione, fossero scelti fra i
capi indigeni, è infine confermato da una lettera di Agostino del 419, in cui si parla
di tribù barbare che da qualche anno, «pacificate, rientrano ormai nelle frontiere
romane, tanto che non hanno propri re, ma su di loro vengono nominati dei prefetti
dall’impero romano, ed essi e questi loro prefetti hanno cominciato a farsi cristiani»19.
Anche l’archeologia ci fa conoscere dei capi locali romanizzati che in base ai titoli
loro attribuiti sono probabilmente da identificare con gli ufficiali preposti alla
milizia indigena: come quei notabili, Giulio Masthalul, Giulio Ibituathif, Flavio
Saicham, Flavio Isicuari, sepolti nella necropoli libica di Bir ed-Dreder, che nelle
epigrafi sono indicati col grado militare di tribuni, ma la cui lingua quotidiana
era certamente il punico. Le masserie fortificate in cui questi uomini abitavano insieme
ai loro dipendenti sono molto simili ai fortini che ospitavano i distaccamenti militari,
tanto che sono spesso stati confusi con questi ultimi; l’epigrafia, tuttavia, dimostra
che spesso erano i capi stessi a edificarli a proprie spese. Non per questo possono
essere considerate come residenze puramente private, giacché erano espressamente destinate
a rafforzare la difesa locale nelle aree in cui le maglie delle guarnigioni militari
erano troppo allentate: uno di questi possidenti, Flavio Dasama, e suo figlio Macrino
affermano espressamente, in un’iscrizione redatta in lingua punica, «di aver costruito
questo forte per difendere e proteggere l’intero paese»20.
Anche nella vicina Mauritania le epigrafi documentano un gran numero di «dinasti locali
che avevano assunto titoli militari romani, in un contesto paramilitare», come quel
Marco Aurelio Masaisilen che nel 328 fece erigere la propria epigrafe commemorativa
nella Grande Cabilia, presso un insediamento fortificato munito d’una cappella cristiana,
o quel Marco Aurelio Vasefan, vir perfectissimus, che nel 339 celebrò la costruzione d’un forte a sue spese21. Fra questi grossi notabili indigeni, forse il più conosciuto è quel Flavio Nubel
che collocò un’epigrafe per ricordare le sue benemerenze di Romano e di cristiano:
aveva comandato un reggimento di cavalleria dell’esercito regolare, gli Equites armigeri iuniores, e aveva fondato una chiesa donandole una reliquia della Vera Croce. Eppure lo stesso
uomo era il re di una o più tribù locali, e ancora i suoi figli, che portano una mescolanza
bizzarra di nomi grecoromani e africani e possiedono sontuose ville di campagna all’uso
romano, sono in grado di mobilitare milizie tribali, talvolta per combattere al servizio
del governo imperiale, talvolta per ribellarsi; uno di loro è proprio quel Gildone
che aveva l’ufficio di comes per Africam, un incarico che ovviamente prevedeva appunto il comando dei limitanei22.
Questo arrangiamento, per cui capi locali più o meno romanizzati erano largamente
impiegati dall’impero con funzioni di comando, e la truppa in servizio era almeno
in parte reclutata fra le tribù indigene, appare connesso con la natura più aperta
che la frontiera dell’impero assumeva in direzione dei deserti africani, dove nessun
fiume permetteva di fissarla in maniera lineare, e con la natura nomade delle popolazioni
locali, la cui sottomissione all’impero passava più attraverso l’attribuzione ai loro
capi del titolo di praefecti, e il reclutamento dei loro uomini per il servizio del limes, che non attraverso considerazioni di natura territoriale. Una situazione che può
forse essere in qualche modo paragonata a ciò che accadeva sul limes Arabicus, dove egualmente la frontiera passava attraverso un’area popolata da nomadi, e dove
tutto suggerisce che i capi indigeni fossero assunti dal governo per garantire con
i loro uomini la sicurezza delle carovane; anche se in quest’area la convergenza delle
fonti non è certo così fitta e suggestiva come avviene in Africa23.
Colpisce, invece, il totale contrasto fra le procedure in uso nell’area africana e
la politica praticata sul confine del Reno. Anche lì non mancavano capi alamanni quasi
completamente romanizzati, che vivevano in ville edificate in stile romano; ma finché
esercitavano un’autorità sulla loro gente, ci si guardava bene dall’attribuire loro
incarichi sulla frontiera, e quando disertavano per passare al servizio dell’impero,
li si spediva altrove. Uno di loro, Vadomario, che un governatore sospettoso attirò
al di qua del confine col pretesto di un invito a cena e fece arrestare a scopo preventivo,
comandò poi reparti regolari nella guerra contro l’usurpatore Procopio in Bitinia,
e finì a comandare i limitanei sui confini orientali col titolo di duca di Fenicia;
un altro, Fraomario, fu mandato a comandare un reggimento in Britannia; nessuno si
guadagnò mai la fiducia dei governatori locali al punto di vedersi affidare la difesa
di un tratto di frontiera. Ma si trattava, appunto, di capi la cui gente, pur subendo
in diversi modi l’influenza delle autorità romane, risiedeva inequivocabilmente al
di là della frontiera stessa, tangibilmente rappresentata dal grande fiume; una situazione
del tutto diversa da quella prevalente in Africa24.
Tutto suggerisce, insomma, che l’assunzione di una milizia indigena per la difesa
contro i predoni, inquadrata da ufficiali locali più o meno romanizzati, abbia rappresentato
una soluzione innanzitutto africana; e che l’abitudine, precocemente documentata in
questa zona, di assegnare terre ai militari dislocati lungo la frontiera rispondesse
proprio alla necessità di ricompensare, e magari in prospettiva fissare a una residenza
stabile, questo personale indigeno, che a differenza dei reparti regolari non era
trasferibile d’ufficio in qualsiasi altra provincia dell’impero. Entrato in uso già
da tempo, tanto che Onorio nel 409 può parlarne come di un ordinamento antico, questo
arrangiamento rimane comunque assai suggestivo della flessibilità con cui le autorità
romane sapevano utilizzare in corrispondenza alle condizioni locali le risorse umane
rappresentate dalle popolazioni barbariche.