Paolo Naso racconta “Martin Luther King”

«La compassione autentica non consiste nel gettare una moneta a un mendicante: ciò non è che superficialità. Essa nasce dall’evidenza che una struttura sociale che produce la povertà ha bisogno di essere riorganizzata da cima a fondo.»
Martin Luther King

Famoso e celebrato per aver dato un’eccezionale forma retorica al ‘sogno americano’ dell’uguaglianza e della giustizia nelle relazioni sociali, King denunciò con grande forza l’incubo del razzismo, diventando portavoce del più ampio movimento nonviolento della storia americana. In contrasto non solo con la Casa Bianca ma anche con alcuni settori della comunità afroamericana, si schierò contro la guerra in Vietnam muovendo, con il passare degli anni, una critica sempre più radicale al sistema sociale ed economico degli USA.

In Martin Luther King. Una storia americana, Paolo Naso ricostruisce l’azione di King come parte integrante della storia americana senza nascondere il travaglio interiore, le debolezze e il progressivo isolamento di un leader che, denunciando la connessione tra razzismo, ingiustizia sociale e militarismo, firmò la sua condanna a morte.

 

 

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Enrico Giovannini, “L’utopia sostenibile”

Per costruire un futuro migliore ci serve un’utopia. Un’utopia sostenibile. È la via maestra che Enrico Giovannini indica per il raggiungimento entro il 2030 degli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU. Fame, salute, acqua, povertà, energia, infrastrutture, occupazione, disuguaglianze, clima, pace, istruzione sono questioni che si affrontano solo con un pensiero integrato e il concorso di forze politiche, economiche e sociali. Continuare a pensare e ad agire come nel passato vuol dire far precipitare il nostro mondo in una profonda crisi ambientale, economica, sociale. È richiesto l’impegno di tutti e un profondo cambiamento del modo in cui leggiamo e affrontiamo i problemi che ci circondano.
Per la serie di conversazioni Liberi di Parola, a cura di Cosmopolismedia, il Dirigente dell’Istituto Comprensivo Francesco Severi di Crispiano, la Dottoressa Sabrina Lepraro, parla del libro di Enrico Giovannini, L’utopia sostenibile.

 

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“Vitti un aciddazzu che sbatteva l’ali”

La Sicilia meno nota, quella lontana dalle coste più affollate e dalle celebri città barocche, è l’imprevisto palcoscenico di una vera e propria epopea. Protagonista: la gara automobilistica più antica al mondo. Ecco un estratto di Targa Florio. Le Madonie e la gara più bella, il nuovo libro di Francesco Terracina, accompagnato dalle splendide immagini d’archivio per le quali ringraziamo Targapedia.com.

 

Tutto era cominciato il 6 maggio 1906.

La corsa voluta da Vincenzo Florio fu disputata tra il mare e le montagne, tra l’azzurro del Tirreno e il bianco candido dell’alta quota, dove col primo caldo si spalava la neve per farne commercio del refrigerio. Neve portata dai carretti, dentro sacchi isolanti di iuta e paglia, e consegnata nei palazzi dei signori. Quel battesimo dei motori diede ai muli un giorno di respiro e le strade accolsero cavalli vapore nascosti sotto i cofani delle dieci automobili arrivate in Sicilia dopo aver attraversato mari e monti. […] Nel racconto Morte di Giufà, pubblicato nel 1986, Gesualdo Bufalino dà un’idea di cos’era la Targa Florio delle origini:

La Corsa Grande, quella di cui chi sa leggere ha letto notizia su ogni intonaco, da Termini a Buonfornello. […] Giufà ne ha sentito parlare, di questi carri di ferro che corrono soli su quattro ruote, senza un mulo o cavallo che li tiri; e fanno rumore, e mandano lampi […] Allora corre incontro al nemico e non sa perché, corre incontro al diavolo a braccia aperte (Giufà, fermati, dove vai? Quell’ingegno di ferro non t’appartiene, l’hanno inventato gli altri contro di te, contro la tua felicità rusticana…), corre incontro al diavolo senza segnarsi, sente con ira e stupore le quattro zampe impennarglisi sopra e ricadergli sul petto, schiantargli le ossa, sbriciolargli insieme alle costole, nascosto fra pelle e camicia, il bottino d’una gallina… Era il 6 maggio 1906, giorno della prima Targa Florio, ma Giufà che ne sapeva?

Già, che ne sapeva il giullare della tradizione mediterranea? E che ne sapeva nel 1906 la popolazione contadina di quei luoghi? Sessant’anni dopo, la dimensione onirica, il senso d’irrealtà prodotto dalla kermesse sportiva, prevaleva ancora negli abitanti di quelle contrade.

Un episodio del ’66 rivela come il personaggio letterario Giufà avesse libero accesso al mondo reale.

 

 

In quell’anno Ignazio Capuano era in gara con una Carrera 6 della scuderia Pegaso, quando un guasto alla leva dell’acceleratore impedì al pilota di rallentare e con il motore al massimo dei giri finì fuoristrada inoltrandosi per quattrocento metri nella campagna. L’auto sparì tra le spighe di grano e si temette il peggio. Cominciò la ricerca, a cui prese parte anche il direttore della scuderia, Francesco Dessì, che si diede un gran da fare per individuare eventuali testimoni dell’incidente, qualcuno che avesse assistito a quel naufragio nel mare giallo oro dove il bolide bianco e piatto era sparito.

Dessì incappò in un contadino che gli disse d’aver visto qualcosa di strano passargli sulla testa, ma non era certo che si trattasse di un’automobile: “Vitti un aciddazzu che sbatteva l’ali” (Ho visto un uccellaccio che sbatteva le ali), raccontò. La Carrera 6 aveva gli sportelli ad ali di gabbiano, incardinati sul tettuccio.

 

 

[…] Se nelle campagne la Targa stentava ad attecchire, nelle città la manifestazione raccoglieva sempre più successo. Non va sottovalutato che nella cultura contadina il divertimento è un’invenzione del diavolo: sottrarre tempo ed energie al lavoro per vedere quattro macchine inseguirsi era un capriccio da cittadini, sempre propensi a dedicarsi all’ozio. E poi c’era da vigilare sui campi, scoraggiare l’orda di spettatori a intrufolarsi nei terreni per rubare la frutta. Vedere un agricoltore con la roncola in mano, mentre con lentezza si china a tagliare un ciuffo d’erba e con la stessa lentezza si rialza per osservare il punto da dove poteva arrivare il pericolo, era una scena consueta.

Ma anche i braccianti al lavoro vivevano la corsa, c’è da starne certi, purché non fosse esplicita la loro partecipazione emotiva, purché mogli e conoscenti non ne venissero al corrente. Se si spargeva la voce, c’era il rischio di finire nel girone dei lagnusi, cioè dei pigri, gli antagonisti dei massari, i laboriosi.

L’emozione contenuta ha un fascino cinematografico, e come accade sullo schermo, c’è un momento in cui esplode: basta attendere. Il mutare dei movimenti non è repentino. Il 14 maggio del ’67 l’uomo con la roncola s’era svegliato che faceva buio. Aveva riempito il tascapane con una focaccia fatta in casa, una spessa fetta di mortadella, un po’ d’olive sott’olio e una bottiglia di vino, il suo rancio. Tra un colpo di roncola e l’altro, si era acceso una Sax. La situazione chiamava fumo: era passata la prima macchina, poi un’altra e altre ancora. Negli intervalli di silenzio sentiva i primi commenti degli spettatori arrivati dalla città. Li si riconosceva perché portavano gli occhiali da sole, come non accadeva ai provinciali, costretti a strizzare gli occhi per seguire controluce il passaggio delle macchine. Dal punto in cui si trovava fece qualche passo verso il circuito. Finita la sigaretta, sputò sulle mani e riprese a falciare.

 

 

Ralf Stommelen fu il nome che gli ispirò più simpatia tra quelli gridati dagli scalmanati ai bordi del circuito: per quanto straniero, era facile da pronunciare e da ricordare, suonava un po’ come stormo. Provò a ripeterlo a bassa voce, mentre era chino, e l’esperimento funzionò. Stommelen gli dava l’idea di qualcosa che ruzzolava.

L’unico altro nome che conosceva era quello di Vaccarella, ma quell’anno era stato una meteora: dopo il primo giro non s’era più visto, per lo sgomento dei fan che lo chiamavano confidenzialmente Nino o Ninni, come se avesse fatto il servizio militare con loro. Saranno state le undici passate e il lavoro che aveva fatto si riduceva a ben poco. Per colpa di Stommelen, forse. Si diede una mossa e fece ancora qualche passo in direzione della strada. E lì trovò un’altra sorpresa: una giovane donna distesa sull’erba, le gambe un po’ scoperte, che prendeva il sole e leggeva un libro, come se la corsa non la riguardasse. Si chinò ancora, falciò altra erba e poi decise che era arrivata l’ora del pranzo.

Tornò indietro a prendere il suo tascapane, cercò un albero, non distante da una fila di spettatori, e con il coltello da innesto tagliò una fetta della pagnotta poggiandola contro il torace. La proporzione tra pane e companatico, da quando sua madre l’aveva istruito sulla questione, era un’oliva per ogni fetta, e per questo bisognava centellinare bene ogni boccone, prima di ripulire anche il nocciolo. Dalla bottiglia bevve un sorso di vino. Tagliò un’altra fetta e poi una minuscola porzione di mortadella, quanto mezzo dito. E la corsa passava.

 

Poi un giovane gli s’avvicinò e lo salutò. Stava andando a fare pipì. Al ritorno si guardarono e il contadino disse: «A favorire». Non si fa forse così con gli ospiti?

Lo sconosciuto si sedette accanto a lui e cominciò a dare fondo alle olive, fino a quel momento risparmiate a malincuore e invano, versando un po’ d’olio sul pane, come aveva visto fare al contadino. Poi chiamò i suoi amici, e anche la donna che prima se ne stava sdraiata. Arrivarono in cinque, forse sei. «A favorire», disse l’uomo con la roncola. E fu tutto un trangugiare e un parlare soffocato. In due tesero le braccia e lo tirarono su, insieme andarono verso la strada. «Chi vincerà?», chiese uno dei giovani. «Stommelen», disse il contadino mentre ripuliva il coltello sui pantaloni, negando a se stesso che era potuto finire in quella bolgia. La ragazza si era distesa di nuovo e aveva ripreso a leggere. Poi passò un’auto con un lampeggiante sul tetto, a segnalare che la corsa era conclusa, e gli spettatori si affrettarono a raggiungere le loro macchine. La più lenta a muoversi fu la giovane donna che nel frattempo si era addormentata con il libro che le copriva il viso. Il contadino accennò un saluto con la mano, ma lei ormai gli dava le spalle.

Il 14 maggio 1967 si correva l’edizione numero cinquantuno, vinse Stommelen.

 

 

 

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Francesco Benigno e Vincenzo Lavenia raccontano “Peccato o crimine”

Lo scandalo dei preti pedofili: un terremoto che ha provocato una durissima crisi per la Chiesa, la più grave dai tempi della Riforma protestante. Ma a quali fonti e documenti storici, a quali profondi mutamenti culturali dobbiamo rivolgere l’attenzione per comprendere questo fenomeno?
Gli storici Francesco Benigno e Vincenzo Lavenia ne parlano in questo video, a partire dal loro libro Peccato o crimine. La chiesa di fronte alla pedofilia.

 

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Agrippina, una donna al comando

“Il tempo dei cesari rivela come non mai il meccanismo sanguinario del potere, che consiste nel ridurre a cose, o meglio ancora a cadaveri, i perdenti ambiziosi. Ecco a voi Giulia Agrippina Augusta.”
Avvelenamenti, esili, intrighi e matricidi: la storia dell’imperatrice Agrippina non è per i deboli di cuore. Nel prossimo appuntamento del nuovo ciclo speciale delle Lezioni di Storia, l’archeologo Andrea Carandini ci narrerà dall’Auditorium Parco della Musica – Roma
l’ascesa gloriosa e la tragica caduta di questa donna tremenda e formidabile, eccellente sia nel bene sia nel male.
Eccone un assaggio in questo trailer.
La lezione sarà introdotta da Paolo di Paolo e sarà trasmessa in prima visione sulla piattaforma Auditoriumplus domenica 14 marzo a partire dalle 8.00. Sempre domenica, alle 19.00, sarà possibile assistere a un dialogo in diretta fra Paolo di Paolo e Andrea Carandini e porre della domande al relatore.

Scopri come guardare e acquistare il ciclo su www.auditoriumplus.com.

Qui il programma completo.

Info e costi

Pay per view: 5 euro per singola lezione, 40 euro per l’intera stagione 2021.

Acquista sulla piattaforma streaming www.auditoriumplus.com  accedendo alla sezione “Masterclass” o cliccando su “Lezioni  di Storia – La presa del potere” nell’home page dove potrai  visualizzare l’elenco delle lezioni.

Per acquistare clicca su una qualsiasi lezione, scegli se acquistare l’intera stagione o una singola lezione, registrati e procedi con il pagamento.

Una volta arrivati sulla schermata di pagamento è sufficiente cliccare sul pulsante giallo “Check out with PayPal” in basso a sinistra, anche se non si ha un account PayPal. A quel punto, nella schermata successiva dovrete cliccare sul pulsante “Paga con carta” e vi verrà data la possibilità di inserire i dati della carta per il pagamento e si completerà l’acquisto

Gli abbonati alle Lezioni di Storia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma – stagione 2019-2020 possono contattare il botteghino della Fondazione Musica per Roma per ricevere informazioni relative ai voucher.

Tre tombe che sarebbe stato meglio non profanare

Nani, fate, grifoni, statue, draghi: la tradizione occidentale è affollata di presenze inquietanti, entità sovrumane o animali fantastici posti a custodia dei più preziosi tesori.

I guardiani più immediati dei tesori sepolti, però, sono “per naturale prossimità” i morti che gli riposano accanto: nonostante la paura superstiziosa suscitata da sempre dai contesti funerari, la profanazione delle tombe è stata infatti una pratica sistematica per i cercatori di tesori.

“Le ricchezze nascoste, a cui queste creature sono intimamente legate, sono esse stesse entità fuori dall’ordinario, perché poste oltre a quella soglia invisibile che segna il confine fra il noto e l’ignoto, una linea che il cercatore deve superare, a rischio della vita, se vuole averle: scendere in una grotta, mettere la testa in una fonte, calarsi in una tomba sono tutte metamorfosi dello stesso viaggio pernicioso. A diretto contatto con i defunti, celati in una dimensione sotterranea e oscura, i tesori acquisiscono tratti sinistri, per la contiguità con il mondo dei morti e degli spiriti inferi. Appartati rispetto alla realtà dei vivi, sigillati in un altrove che è fisico ma in fondo anche temporale, sono quindi percepiti come speciali, dotate di una vitalità e di un potere che si riverbera, a volte in modo nefasto, su chi cerca di appropriarsene.”

Nel suo libro Cercar tesori, Allegra Iafrate racconta tre guardiani, tre morti con caratteristiche differenti ma ugualmente spaventose: la mummia, il vampiro e il fantasma.

 

1. La mummia

“Un caso famoso è quello dell’apertura della cripta della cattedrale di Aquisgrana in cui riposavano le spoglie di Carlo Magno, voluta dall’imperatore Ottone III nell’anno Mille. Stando a quel che raccontano le cronache, il sovrano viene trovato seduto su un trono di marmo, con la corona e le vesti imperiali, lo scettro in mano e il libro dei Vangeli aperto sulle ginocchia.

‘Non aveva perduto nessuna delle sue membra, a parte solo la punta del naso. L’imperatore Ottone lo rimpiazzò con dell’oro, prese un dente dalla bocca di Carlo Magno, murò l’ingresso alla camera e si ritirò’, si legge nella Cronaca di Novalesa basata sul resoconto di un testimone oculare, il conte Ottone di Lomello.

La scena, così come la ricordano le fonti alto-medievali, echeggia altre storie, venate però di mistero. Un primo parallelo si può istituire con il ritrovamento della regina Tadmura, con i suoi ori e i suoi gioielli, nella leggendaria città di bronzo. Un secondo, forse ancora più stringente, è attestato per la prima volta in un testo arabo che si data all’825 d.C. in contesto abbaside, il Kitab Sirr al-Haliqa, il Libro del segreto della Creazione. Il passo descrive il rinvenimento della cosiddetta tavola di smeraldo da parte di Balinus, cioè il mago Apollonio di Tiana (ma altre versioni indicano Alessandro Magno) nella tomba del re-sacerdote Ermete Trismegisto, in una cripta sotto la statua di Thot, dio egizio della sapienza con cui Ermete viene spesso associato e sovrapposto. Secondo la tradizione, tutti i principi e i segreti fondamentali delle operazioni alchemiche erano stati incisi su una tavola di smeraldo che, al momento della scoperta, riposava sulle ginocchia del vecchio Ermete che ancora teneva in mano lo stilo di diamante con cui li aveva scritti.

[…] In tutti questi esempi, quindi, la figura della mummia assisa in trono protegge qualcosa di prezioso. È la stessa posizione del defunto, peculiare di alcune sepolture di rango, che segnala il prestigio del ritrovamento.”

 

2. Il vampiro

“Un secondo esempio è narrato nei Gesta Danorum, opera del XII secolo di Sassone il Grammatico. Il cronista racconta la disavventura di una banda di guerrieri svedesi sbarcati sulle coste della Norvegia, i quali scoprono un tumulo funerario e decidono di profanarlo per estrarne i tesori. Si tratta della tomba del nobile principe Asvito, da poco sotterrato con il suo cavallo e il suo cane. Con lui, tuttavia, è stato seppellito vivo anche l’amico Asmundo, a causa di un giuramento di fedeltà che lo lega al defunto anche nella morte. Questo, però, gli svedesi non lo sanno. Forano la collina e scoprono l’ingresso a una caverna molto profonda. Con una corda calano allora uno degli uomini in un canestro: appena questo tocca il fondo, Asmundo è veloce a sostituirsi a lui e a risalire alla luce del sole, dove la sua apparizione viene presa per quella di un fantasma. Segue allora un dialogo estremamente potente, in cui Asmundo racconta agli astanti inorriditi come nelle notti precedenti lo spirito del morto si sia risvegliato e abbia divorato prima il cadavere del cane, poi il cavallo e infine abbia attaccato con ferocia anche lui, staccandogli di netto un orecchio e tentando di cibarsi del suo sangue.

L’episodio del draugr, il vampiro, riecheggia soprattutto nel folklore e trova paralleli anche in altre saghe del Nord. È un tema spesso legato alle violazioni delle sepolture, protette non solo dalle leggi degli uomini ma anche da una serie di credenze in eventi soprannaturali che riflettono le conseguenze tremende che avrebbero potuto scatenarsi all’atto sacrilego della profanazione.”

 

3. Il fantasma

“Un terzo caso interessante riguarda le presunte apparizioni del fantasma di Attila nei pressi del suo sepolcro. […] Dopo le esequie, i festeggiamenti e il banchetto rituale, il corpo di Attila sarebbe stato posto in una bara di ferro, protetta da altri due coperchi, uno d’argento e uno d’oro, e sepolta in una località segreta assieme a un ricco corredo. Su questa base documentaria fioriscono nei secoli innumerevoli leggende che rimangono nelle tradizioni dell’Ungheria, della Slovenia, del Friuli, dell’Istria ma anche nel territorio veronese e che tendono a localizzare la tomba in vari luoghi: l’area vicina al fiume Tibisco, fra la Mura e la Drava, o nei pressi di Tolmino. Nel folklore sloveno (ma non solo) la storia della tomba di Attila si lega poi a quella dell’apparizione del suo spettro che ogni notte torna a contare le monete del proprio tesoro, per essere certo che nessuno le abbia portate via. L’idea che le anime in pena aleggino nei pressi di un tesoro, manifestandosi spesso sotto forma di fiammelle, è un elemento che ritorna nelle credenze di moltissimi popoli e con innumerevoli varianti. Può essere l’antico proprietario che non lascia per avidità le proprie ricchezze nemmeno dopo morto: è la sua stessa avarizia a dannarlo.

Altre volte è lo spirito di qualcuno che al tesoro è legato in modo violento, come chi è stato ucciso perché non rivelasse il nascondiglio e che diventa, suo malgrado, custode del sito fino a che un eventuale scopritore non lo liberi dal vincolo, ottemperando ad alcune particolari condizioni, come il fatto che una ragazza perda la verginità sul luogo del misfatto in una certa notte.”

 

 

“Tre morti, dunque, con caratteristiche differenti: la mummia, il vampiro e il fantasma. Fra questi, il primo è quello che presenta il minore scarto dalla realtà materiale, la maggior approssimazione, se così si può dire, rispetto a quella che può essere l’apparenza effettiva di un cadavere che, per qualche ragione, non si sia decomposto: ne mantiene le sembianze ma non si muove. Il morto-vivente, invece, è un corpo che si anima quel tanto che basta per nutrirsi e mantenersi in un’esistenza larvale e parassitaria. Il fantasma, poi, è un’immagine disincarnata, un’ombra. Tre diversi avatar, insomma, che si distinguono sostanzialmente per le diverse gradazioni di corporeità che mettono in scena e che ribadiscono, con variazioni sul tema, il ruolo centrale del defunto nel ruolo di guardiano.”

 

Scopri il libro:

 

Giuseppe Laterza racconta “La presa del potere”

10 relatori, 10 grandi teatri italiani di 10 città.

Da Brescia a Bari, da Zeus a Fidel Castro, da Laura Pepe ad Alessandro Barbero, l’editore Giuseppe Laterza racconta perché si è scelto di realizzare questo ciclo speciale di lezioni di storia, dopo il successo che hanno registrato le lezioni in presenza, nei teatri di tutt’Italia, da più di dieci anni.

Qui più info e i biglietti: www.auditoriumplus.com.

Qui tutto il programma.

Le lezioni saranno disponibili sempre, in streaming, a partire dal 7 marzo con la prima visione della prima lezione di Laura Pepe su Zeus e fino al 30 giugno 2021.

 

Interregno: Lavoro

 

Un tempo si sognava il posto fisso. È ancora così?

Come sono cambiati il mondo del lavoro e le aspirazioni dei lavoratori,  con l’avanzare della tecnologia, l’automazione, la precarietà, lo smartworking che alcuni dicono essere il futuro?

Che fine fanno i diritti in questo scenario?

 

 

Appuntamento mercoledì 3 febbraio alle 19.00 in diretta streaming sulla nostra pagina Facebook e sul nostro canale Youtube.

Insieme alla giornalista Silvia Boccardi, che modererà lincontro, avremo con noi:
Antonio Aloisi (docente di diritto del lavoro all’Università IE di Madrid)
Tito Boeri (economista)
Giulia Pastorella (EU government relations director di Zoom)

 

Antonio Aloisi insegna Diritto del lavoro all’Università IE di Madrid, dove è anche Marie Skłodowska-Curie Fellow. Con Valerio De Stefano è autore di “Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano” (Laterza, 2020). È stato Max Weber Fellow all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, ha insegnato all’Università Bocconi di Milano e ha svolto attività di ricerca presso la Saint Louis University negli USA. Ha collaborato a ricerche promosse da istituzioni internazionali e ha scritto articoli divulgativi per “il Mulino”, “Linkiesta” e “Pagina99”.

 

Tito Boeri  è professore di economia presso l’Università Bocconi di Milano (dove era stato anche Prorettore per la ricerca fino all’autunno 2014) e Senior Visiting Professor alla London School of Economics (dove è stato Centennial Professor).  È stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea, dell’Ufficio Internazionale del Lavoro oltre che del Governo italiano. Dal marzo 2015 al febbraio 2019 ha ricoperto la carica di Presidente dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). 

 

Giulia Pastorella (34), milanese, è attualmente EU Government Relations Director di Zoom. Si è occupata di strategia di cybersecurity e data policy a livello globale per HP, multinazionale del Tech. Ha lavorato in consulenza, think tanks e nel mondo del giornalismo. È responsabile per l’Innovazione e il Digitale in Azione, il partito fondato da Carlo Calenda. Ha un PhD in Affari Europei dalla London School of Economics e un Master da Sciences Po, dove ha insegnato. Si è laureata a Oxford in filosofia e letteratura francese. Nel 2016 Forbes l’ha selezionata come una dei 30 più influenti under-30 in Europa nel campo di Law & Policy.

 

 

 

Hai perso gli incontri precedenti?

Il 3 febbraio abbiamo parlato di emergenza climatica con Maria Virginia Bagnoli, Enrico Giovannini e Sofia Pasotto.

 

Il 17 febbraio, invece, abbiamo parlato di informazione con Marta Bernardi,
Alessandro Tommasi e Giorgio Zanchini.

In ricordo di Franco Cassano

Il Pensiero meridiano di Franco Cassano è un libro nato in una circostanza storica molto precisa, ma destinato ad essere un classico della riflessione sul Sud e sull’Italia. Nel 1995, quando il testo ha preso forma per la pubblicazione ai primi del 1996, eravamo reduci da una serie di eventi di portata enorme su scala locale e internazionale. Nel 1991 con l’arrivo a Bari dei 20.000 del Vlora e, subito dopo, con l’esacerbarsi dei conflitti nella ex Jugoslavia, in Puglia ci siamo scoperti come regione di confine italiana e europea in nessun modo riconosciuta come tale. Nello stesso tempo l’impatto convergente di Tangentopoli e della stretta europea di Maastricht spazzava gli equilibri politici e economici, polverizzando il sistema bancario meridionale e tutta la cattedrale dell’intervento straordinario, senza però dare una diversa prospettiva al Mezzogiorno. Un terremoto.

Il Pensiero meridiano non aveva l’obiettivo e la pretesa di rispondere in tutto e per tutto a questo scenario così complicato. Ha rappresentato però un riferimento e una spinta fondamentali a ripensare il Mezzogiorno in modo autonomo, a immaginare un modello di sviluppo che fosse suo proprio, non pallida imitazione di altri modelli. Una suggestione potente, al di là del suo invito (che può sembrare oggi fuorviante) a guardare al mare e alle prospettive mediterranee.

Questo è, a nostro avviso, il grande debito intellettuale verso Franco Cassano: è stato maestro non nel consegnare una lezione preconfezionata, ma nell’esortare a scommettere a testa alta sul Sud, sui Sud, sulle donne e gli uomini del Sud. Molte cose sono poi successe, belle, brutte, mediocri, pessime. Anche col senno di poi, ci rifiutiamo di definire ingenua la visione di un futuro diverso da parte di chi ha avuto la forza e il coraggio di offrirla. Questo lo rivendichiamo con orgoglio.

Grazie, professore. Grazie, Franco.

Alessandro e Giuseppe Laterza

 

 

          

 

#CasaLaterza: David Forgacs dialoga con Giovanni Bianconi e Paolo Morando

Fin dal 1859, la storia d’Italia è costellata da un susseguirsi di episodi di violenza politica che hanno segnato nel tempo l’identità stessa del nostro paese. La ferocia di questi atti assume sempre una valenza comunicativa: a volte il mandante ha alle spalle una legittimazione statale, come il comandante militare in guerra o durante uno stato di assedio; altre volte opera senza una copertura istituzionale o in aperto conflitto con l’autorità costituita, come lo squadrista, il mafioso o il terrorista. In alcuni casi la violenza è entrata nella coscienza pubblica e si è radicata nella memoria collettiva attraverso le notizie sui media, le fotografie e i filmati o la raccolta di informazioni per le indagini e per i processi giudiziari.

In altri casi, invece – come nelle fucilazioni ‘disciplinari’, nei massacri di civili ma anche negli stupri di guerra – la violenza è stata in gran parte nascosta finché un lavoro di ricostruzione storica e documentaria non l’ha riportata alla luce.

David Forgacs, uno dei più originali e innovativi studiosi dell’Italia contemporanea, esamina dodici casi di violenza che si sono consumati nel nostro paese e nelle sue colonie tra il 1859 e il 2018. Il risultato è un libro che cambierà il modo di pensare non solo alla violenza ma anche alla storia italiana dell’ultimo secolo e mezzo.

A partire dal suo libro Messaggi di sangue, lo storico David Forgacs dialoga con i giornalisti Giovanni Bianconi e Paolo Morando.

 

 

Scopri i libri di David Forgacs: