5.
Vesta nei miti,
prima di Roma
Nel sito di Roma il culto del fuoco ha avuto nella mitica Caca una precorritrice di
Vesta, tanto che al suo sacello continueranno a sacrificare le vestali. Immaginiamo
quel fuoco collegato alla grotta di Caco, suo fratello e sposo, capo sputa fiamme
che nei primordi aveva dominato la valle tra l’Aventino e il Cermalus: così si chiamava il versante meridionale del Palatino. Unita al fratello, Caca era
rimasta fissa nella sua dimora – loro padre sarebbe stato Vulcano –, proprio come
accadeva alle donne che restavano vergini, per cui questa figura extra-umana del sito
di Roma bene ha potuto rappresentare la stabilità e la durata del focolare di suo
fratello Caco, sposo e capo del luogo. Se rammentiamo che presso gli Indù la bellissima
principessa Draupadi aveva sposato cinque fratelli, non ci stupiamo dell’unione incestuosa di Caca e Caco. L’incesto è sovente all’origine
delle cose al principio dei tempi, prima che un ordine pervenga a costituire una comunità.
Gli dèi e gli eroi pagani ancora oggi attirano perché hanno qualità e vizi portati
all’estremo, al contrario dei nostri santi, che sono tutti esempi di straordinaria bontà. Da
Caca e Caco apprendiamo che il nume femminile del più importante fuoco domestico locale
era connesso alla sovranità di un capo indigeno, legato anch’esso al fuoco, ma nel
suo aspetto meno domestico e più aggressivo che gli derivava dal padre Vulcano. Tra
i due fratelli prevarrà Caca, che tradirà il fratello-sposo aiutando Ercole, il quale
lo ucciderà distruggendo la sua caverna sull’Aventino. Un’analoga dualità divina del
fuoco si ritroverà anche in Vesta e Vulcano, ma al tempo della città quest’ultimo
non era né fratello né sposo di Vesta bensì solamente un dio dalla simile funzione,
connesso al fuoco che forgiava le armi e quindi distruttore, venerato ormai a debita
distanza da Vesta, nel Volcanal al Comitium, il santuario e l’assemblea dei rioni (curiae) situati nel Foro.
Vesta, vergine dea del fuoco, aveva avuto in origine un carattere aggressivo, che
traspariva scolorito anche in seguito, nel suo essere custos della città. Va ricordato che la radura (lucus) di Vesta si trovava subito al di fuori delle mura, vicino alla porta Romanula, in ciò più simile a un’Atena di Troia (Ilias) e a un’Atena Promachos di Atene che a Hestia. Il servizio sacerdotale a divinità affidato a vergini o a donne che per anzianità
o vedovanza avevano cessato i rapporti sessuali era raro nell’antichità, anche in Grecia: dalle due Locresi di Atena Ilias, alla Giunone di Aegium in Achaia, all’Atena di Atene, all’Apollo di Delfi e all’Artemide della Tauride.
Nell’unione incestuosa di Caco e Caca percepiamo ancora un fuoco virile e femminile
tra loro vicini, come potevano essere quelli di Vesta e di Vulcano pre-civici, quando
il dio non aveva ancora ritirato alla dea quel potere guerriero, che all’inizio della
repubblica ancora caratterizzava Clelia, l’eroina che aveva sfidato Porsenna. Distrutta da Ercole la caverna di Caco e Caca, si è avuta l’ara entro recinto (sacellum) in cui Caca continuerà a essere venerata.
A coltivare i fuochi della Vesta pre-civica erano ragazze vergini, come la principessa
albana Rhea Silvia, figlia del re spodestato di Alba Numitore, e come Tarpea, figlia di Tarpeo capo del
colle omonimo poi chiamato Campidoglio.
Rhea Silvia, posseduta da Marte, aveva perduto la verginità. A volere l’unione era stato lo stesso
dio, che spingerà poi Romolo a rapire le Sabine, come prede belliche. Molto si era
arrabbiato Amulio, re di Alba fratello di Numitore, scoprendo che Rhea Silvia era incinta. Infatti temeva i discendenti di Numitore, fratello spodestato e padre
di quella principessa. Questa è la ragione per cui Rhea Silvia era stata punita dal sovrano suo zio.
Invece, Tarpea favorevole a Tito Tazio, sovrano della sabina Cures che assaliva il colle Tarpeo, e contraria a Romolo che aveva fondato Roma, era colpevole
di aver troppo amato il re invasore e il suo oro. Sarebbe morta seppellita dai Sabini
sotto i loro scudi presso una porta – Saturnia o Pandana – che aveva aperto consentendo ai Sabini di occupare il colle. Come Caca aveva tradito
Caco per Ercole, così Tarpea aveva tradito Romolo per Tito Tazio.
Dall’unione di Rhea Silvia con Marte era nato Romolo, che fonderà l’urbs sul Palatino e che ad Alba sconfiggerà Amulio, restituendo il trono al nonno Numitore.
Dal tradimento di Tarpea sono derivati la guerra e l’alleanza tra Romani e Sabini
e il regno congiunto di Romolo e Tito Tazio, che insieme hanno fondato il Foro, dopo
che il solo Romolo aveva fondato l’urbs sul Palatino. Sulla tomba di Tarpea le vestali massime celebreranno una parentatio all’inizio dei Parentalia, festa dei morti a Roma. Si trattava di un rito analogo a quello che il sacerdote
chiamato flamine Quirinale celebrava sul sepolcro di Acca Larentia, Madre dei Lari, che aveva allevato Remo e Romolo nella capanna di Faustolo sul Cermalus, sopra al Lupercal dove i gemelli erano stati salvati da un picchio e da una lupa. Riti analoghi verranno
celebrati in seguito dalle vestali sulle camere funerarie delle vestali colpevoli
di incesto e sepolte vive alla Porta Collina nelle difese (agger) costruite da Servio Tullio.
È stato un errore dei Romani interpretare le veneratrici pre-civiche di Vesta come
vestali. Si trattava delle figlie di un re di Alba, come nel caso di Rhea Silvia, o di un signore gentilizio di Roma, come nel caso di Tarpea, o delle altre giovani
destinate a curare il fuoco della propria casata. Simili periodi di giovanile devozione
a Vesta possono essere interpretati come ritiri iniziatici femminili che precedevano
il matrimonio.
In alcune versioni leggendarie non è una principessa o una signora a nutrire il fuoco,
ma una donna non meglio precisata o di umili origini. È la giovane che viene ingravidata
da una scintilla del focolare, da cui nasce un «piccolo ceco», Caeculus, che si rivelerà essere il fondatore di Palestrina (Praeneste); è la serva che si unisce a un fallo divino, sorto nel focolare regio di Alba, che
genererà gli eroi Remo e Romolo nella cruda e antica versione di Promathion; è Ocrisia, serva di Tanaquil moglie di Tarquinio Prisco, che si unirà a un fallo (di Vulcano, del Lar familiaris?) apparso nel focolare regio, che genererà Servio Tullio: probabilmente il primo
servo di Roma a essere liberato e che farà straordinaria fortuna diventando tiranno
di Roma e infine venerato eroe, un novello Romolo che rifonderà la città, dandole
completezza e organicità grazie all’estensione della inaugurazione del Palatino all’intero
abitato e al centro politico-sacrale, due secoli dopo Romolo.
Nei racconti di Remo e Romolo secondo Promathion e in quelli di Servio, sia il re di Alba che la regina e il re di Roma hanno favorito
le sacre unioni che hanno reso madri le vergini di casa. Se a violare la vergine fosse
stato un uomo, allora si sarebbe avuta la polluzione della giovane, ma se era una
divinità – che solo tramite una vergine poteva generare un eroe fondatore o rifondatore
– si trattava di felix culpa. Nel racconto di Promathion vi è di più: le vergini che curavano il fuoco di Vesta e con le quali il fallo divino
voleva unirsi erano protette dalla dea stessa, da immaginarsi quindi favorevole all’unione
miracolosa, quasi svolgendo il ruolo di pronuba. Ma se la Vesta pre-civica aveva protetto
le giovani vergini che un nume aveva spulzellato, bisogna riconoscere che la dea connivente
del dio generatore appare assai diversa dalla Vesta della città-stato, completamente
ignara di simili favori. Tra Numa Pompilio e Tarquinio Prisco la città è stata governata
da re che potremmo definire «costituzionali», perché nominati seguendo la procedura
per la successione chiamata interregnum. Romolo, al contrario, era stato un eroe fondatore autonominatosi, generato dal fuoco
sacro di Vesta e ucciso dai consiglieri regi nel Volcanal, il santuario di Vulcano, dio del fuoco che distrugge; anche Servio sarà un tyrannos rifondatore, che la figlia Tullia e il genero Tarquinio il Superbo sopprimeranno.
Infatti, allora i fondatori (oggi diremmo i costituenti) agivano in completo arbitrio.
Per cambiare mores aviti e varare un ordinamento nuovo serviva, nel mondo antico, un’energia dirompente
ed extra-umana, uno sprazzo divino, una scintilla, un igneo seme.
Anche Maria, rimasta vergine in un matrimonio non consumato, è stata fecondata da
Dio grazie al suo Santo Spirito e così ha generato Gesù, almeno secondo una delle
due evangeliche versioni. Maria non è stata disprezzata, anzi è stata venerata da pastori e magi, perché aveva
generato un figlio di cui lei stessa era figlia oltre che madre – «vergine madre figlia
del tuo figlio» –, se Cristo era Dio fattosi uomo. Anzi, Maria viene ritenuta dai
cattolici addirittura priva del peccato originale: sine labe concepta.
La genesi del dio dei Cristiani ricorda la nascita di Romolo e Maria, vergine, madre
e figlia di suo figlio, ricorda la giovane devota a Vesta fecondata da divina fiammella.
Come Cristo, anche Romolo era stato generato da un dio, Marte, e da una vergine madre,
Rhea Silvia. Infatti Marte era «padre» (Marspiter, Mars Pater), padre dei re divini del Lazio Pico, Fauno e Latino, antenati predecessori dei Silvii re di Alba, per cui era l’antenato divino anche di Romolo e di sua madre. Romolo
discendeva da Marte sia da parte di padre, il Marte che si era unito a Rhea Silvia, sia da parte di madre, il Marte avo di Latino e quindi anche della stessa principessa
albana, per cui il fondatore di Roma risultava due volte divino: un Marte sceso in
terra, che si è incarnato nel fondatore e che da morto verrà assimilato a Quirino,
il dio dei rioni del sito di Roma, per cui Romolo finisce per apparire tre volte divino.
Anche Latino era stato assimilato da morto a Juppiter Latiaris di Alba e così il re fondatore di Lavinio e poi Enea, assimilati dopo la morte a
Pater Indiges Numicus, dio locale di Lavinium. Ne consegue che la vergine madre Rhea (Ops, dea latina equivalente) Silvia è figlia di suo figlio Romolo/Marte, che da morto diventerà Romolo/Quirino.
Fatto questo ragionamento teologico, meglio s’intende perché a Roma la casa del re
ospitava i culti di Marte e Ops. Infatti, queste divinità formavano la coppia divina che aveva generato Romolo, il
re che aveva fondato Roma. Rhea (Ops) Silvia aveva concepito Romolo al tempo in cui accudiva il focolare di suo zio Amulio, re
di Alba, quando era al servizio di Vesta, dea vergine per eccellenza, prima di essere
al servizio di Ops, dea della generazione, della pienezza e dell’abbondanza. Silvia implica una principessa dei Silvii che da veneratrice di Vesta viene ingravidata da Marte e si trasforma in veneratrice
di Ops, dea equivalente a Rhea. Inoltre Quirino, cui Romolo da morto è stato assimilato, era ritenuto dai Romani
un Marte «tranquillo», che presiedeva alla pace. Marte, al contrario, era un dio aggressivo,
che bilanciava il placido Quirino, e infatti propiziava la fecondazione delle donne
e l’armamento degli uomini a marzo, mese a lui sacro che dava principio all’anno e
al suo nuovo fuoco. Quirino, invece, nutriva la comunità, riponeva le armi alla fine
della stagione bellica ed era anche un dio del termine del ciclo annuale: infatti
i Quirinalia cadevano nell’ultimo giorno dei Fornacalia, la festa della torrefazione del farro che avveniva nei rioni o curiae, la quale coincideva con l’anniversario dell’uccisione e dello squartamento di Romolo
nel Volcanal. Sembrerebbe dunque che Vesta sta a Ops come Quirino sta a Marte.
Le leggende elaborate a Roma hanno voluto che la «vestale» Rhea Silvia finisse gettata nel Tevere come essere impuro, oppure fustigata e seppellita viva,
come accadrà alle vestali colpevoli d’incesto. Hanno voluto anche che la «vestale»
Tarpea fosse seppellita – alquanto illogicamente – sotto gli scudi dei Sabini cui
aveva aperto la porta del colle Tarpeo ch’essi intendevano occupare. Ma queste ragazze
vergini, curatrici di fuochi domestici pre-civici, regali e gentilizi, non erano vestali
che se si univano a un uomo venivano annientate. È necessario guardare oltre il velo delle leggende, se vogliamo ricostruire la forma
originaria delle trame mitiche primordiali. Ciò implica ricostruire una stratigrafia
di Vesta, avvalendoci di quanto è rimasto di lei sia nelle vestali, autentiche rappresentanti
in terra della dea, che nei riti ch’esse compivano.
Aiutano a risalire nei primordi le spose (nuptae) dei Romani che, prima di accogliere lo sposo la notte delle nozze, si sedevano presso
il lectus genialis sopra una statuetta del dio fallico Mutinus Titinus, in modo che a deflorarle fosse quel dio, onde risparmiare allo sposo la rottura
dell’imene, ritenuta pericolosa.
Va ricordato altresì che la dimora (aedes) di Vesta si trovava dirimpetto al luogo di culto di Mutinus Titinus, posto oltre la Sacra via, ai piedi della Velia, e che le vestali conservavano tra i talismani della città il fascinus, un fallo probabilmente sacro a Marte. Facevano questo in memoria delle consorelle
dei primordi che, unite a un fallo divino, diventavano madri di eroi fondatori. Tali
consorelle si erano congiunte a un dio, come faranno le caste matrone di Roma che
genereranno cittadini unendosi prima a Mutinus Titinus e poi allo sposo. Alle nozze (nuptiae) sembra che sia da presupporre una originaria unione sacra o ierogamia.
Il fallico talismano, conservato nel penus intimus, potrebbe far sembrare le vestali come un harem protetto da Vesta, proibito ai mortali,
a disposizione di Marte, il dio generatore. Eppure così non era, perché le giovani
curatrici dei fuochi della Vesta pre-civica non erano vestali e alle vestali di Roma
più non era concesso generare, essendo vincolate a una castità che durava almeno trent’anni.
D’altra parte, non è da dimenticare l’asino, animale sacro a Vesta, la cui caratteristica
era un fallo spropositato, che richiamava quello di Mutinus Titinus/Priapus. I mitici falli divini fecondatori dei primordi appaiono, al tempo della città, congelati
e simbolizzati nel talismano del fascinus, il fallo grazie al quale possiamo recuperare un aspetto originario di Vesta che
la demitizzazione ha obliterato: quello di una vergine che diventa madre. Per Mary
Beard la vergine Pizia, sacerdotessa posta sopra i sacri vapori di Delfi, pareva assicurare
la propria apertura femminile al dio Apollo e solamente a lui, come si conviene alla
buona sposa riguardo allo sposo.