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Celebrazione e realtà
Nelle iscrizioni regie assire, lo scopo di mobilitazione e di rassicurazione dell’élite
e della popolazione tutta è perseguito mediante l’adozione di un tono trionfale e
celebrativo che produce nel pubblico la convinzione che l’espansione imperiale sia
un processo positivo e benefico per tutti – conquistatori e conquistati – fino a realizzare
l’obiettivo finale di estendere al mondo intero le qualità del nucleo centrale cosmico,
completando l’opera divina di creazione e organizzazione del mondo. Anche le celebrazioni
trionfali che accompagnano l’esibizione pubblica dei vincitori e del bottino si svolgono
in un clima di grande gioia1.
Il lettore moderno è abbastanza smaliziato da non cadere nella rete di una propaganda
così palese e sommaria, e però forse non abbastanza informato da saper opporre al
quadro celebrativo lo scenario del reale effetto che l’espansione imperiale assira
produsse sull’ordinamento politico, sull’economia, sui livelli demografici, ma soprattutto
sulla vita umana di conquistatori e conquistati. Non è questa la sede, in uno studio
programmaticamente concernente l’ideologia, per esaminare in dettaglio gli effetti
materiali e i costi umani dell’imperialismo assiro. Oltre tutto, la documentazione
disponibile è più scarsa di quella ufficiale, è soprattutto di tipo indiretto e non
è stata finora analizzata in maniera sistematica e approfondita2. Ho già citato occasionalmente le contraddizioni che emergono dal raffronto tra testi
celebrativi e testi amministrativi3, ed altre se ne possono rilevare. Si pensi soprattutto alla reale programmazione
e conduzione delle campagne militari4, assai più completa di quella che risulta dalle sole res gestae5. Ma si pensi anche alla programmazione dell’edilizia6. Si pensi alle informazioni preliminarmente raccolte e trasmesse al re7. Si pensi alla sorte dei deportati8; al bilancio tra costi e profitti; al ruolo delle élites9, ben più rilevante di quanto le iscrizioni celebrative lascino credere; e così via.
Persino un testo ufficiale, come la Cronaca degli Eponimi (WAW 19: n. 9) cita rivolte, mancate campagne («il re rimase nel paese») e addirittura
la morte di Sargon: informazioni tutte che i testi celebrativi ben si guardano dal
menzionare.
Sarebbe certamente importante approfondire tutti questi aspetti, che le iscrizioni
celebrative omettono in quanto non finalizzabili al loro scopo. Da un lato è stato
osservato10 che molte «campagne» decantate dalla propaganda ufficiale furono in realtà modeste
scorrerie senza effetto di conquista; ma dall’altro lato si può dire che la serena
semplicità dello schema narrativo (il re decide, parte, combatte e vince) non rende
ragione delle complessità organizzative e amministrative (dalla leva alla logistica,
e così via). Potremmo soltanto provare a immaginare una storia dell’impero assiro
scritta senza tener conto delle informazioni e soprattutto delle valutazioni fornite
dalle iscrizioni celebrative. Ne risulterebbe senza dubbio un’immagine irriconoscibile.
Qui potrò solo fornire alcune indicazioni generali sul problema che mi pare centrale,
che è quello di valutare i costi umani e materiali dell’espansionismo assiro.
L’Assiria rimase perennemente in stato di mobilitazione bellica per almeno tre secoli
(ca. 930-630), senza contare le precedenti fasi medio-assire: proprio come accadde
a Roma durante la fase formativa del suo impero11. Ciò produsse inevitabilmente sia perdite umane (dall’una e dall’altra parte) sia
mutamenti strutturali (nelle terre conquistate ma anche in Assiria).
Le perdite dei vinti sono più facilmente calcolabili, poiché le iscrizioni reali forniscono
delle cifre. Queste sono da utilizzarsi con cautela, perché forte è il sospetto che
siano gonfiate a scopo propagandistico. Questo è chiaro per l’accrescimento delle
cifre passando da una prima redazione a quelle successive dello stesso episodio. Ma
a parte questo, e rinunciando a certe posizioni ipercritiche, molti dati appaiono
compatibili con quelli demografici di derivazione archeologica12. Abbiamo già visto (al cap. 19) che il numero dei deportati – sommando quelli la
cui quantità è registrata, e stimando per analogia quelli in cui la cifra capita in
rottura, nonché quelli (numerosi) in cui è omessa – si può arrivare a stimare un totale
di circa 4.500.000, di cui 4.000.000 nel secolo dei tre re conquistatori (Tiglath-pileser
III, Sargon II e Sennacherib)13: cifra enorme per i livelli demografici dell’epoca. Occorre poi considerare che una
percentuale non indifferente dei deportati moriva durante il trasferimento, percentuale
stimabile probabilmente ad un terzo del totale. Le informazioni dirette sul numero
dei nemici uccisi in battaglia sono meno frequenti, però si può tentare di stabilire
un rapporto medio tra numero dei deportati e numero dei caduti. Il calcolo da me effettuato
sugli Annali di Assurnasirpal II indica circa 10.000 morti rispetto a circa 25.000 deportati.
Provando ad estendere questa proporzione, se i deportati furono ca. 4.500.000, i morti
possono essere stati ca. 3.000.000; cifra del resto da incrementare per le morti verificatesi
in seguito: come si sa, in tutte le guerre pre-moderne gran parte dei feriti moriva
nei giorni successivi. In complesso è ragionevole assumere che tra caduti e deportati
le zone assalite e/o conquistate dagli Assiri abbiano subito oltre 7.000.000 di perdite.
Si tratta – ribadisco – di cifre enormi, se rapportate al totale della popolazione
di allora. Apro qui una parentesi per dire che la cifra di 100 milioni di vittime
in un secolo di guerre assire14 è del tutto impossibile, neanche l’intera popolazione del Vicino Oriente di allora
poteva raggiungere una tale cifra. Del resto, anche sul totale della popolazione si
possono fare solo calcoli per interpolazione tra dati scarsi, che portano a suggerire
che la popolazione di allora potesse essere qualcosa come un terzo o un quarto di
quella delle stesse zone in età moderna15 ma anteriore all’esplosione demografica dell’ultimo secolo. E non è tutto, perché
alle perdite immediatamente connesse alla conquista vanno poi aggiunti gli effetti
di medio termine nel senso di demoralizzazione, crisi produttiva, rottura delle strutture
familiari e locali, e così via. Come che sia, l’effetto generale di deterioramento
dei centri abitati (a seguito di assedi seguiti da distruzione) e delle campagne (a
seguito di spopolamento e di distruzione delle colture) è confermato dai dati delle
prospezioni archeologiche più accurate, quelle relative a Israele, che mostrano un
accentuato declino o una vera e propria crisi insediamentale (e dunque demografica)
delle zone conquistate.
Le perdite assire, del tutto censurate dalla propaganda regia (cap. 7), sono più difficili
da calcolare sia pure ipoteticamente. Per i caduti in battaglia, o a seguito di ferite
riportate in battaglia, assumendo che siano stati solo un quinto di quelli dei nemici,
si avrebbe un totale che si avvicina al milione. Ma più consistenti devono essere
state le perdite per malattie, infezioni alimentari e incidenti vari, occorse durante
le lunghe marce di avvicinamento (e poi di ritorno), che studi comparativi su altri
periodi storici (pre-moderni) mostrano essere state inevitabili e stimabili almeno
ad un quinto del totale16. Calcolare la consistenza numerica dell’esercito assiro non è facile, i dati non
sono numerosi e possono essere stati sovradimensionati. In un precedente studio17 proposi una stima media di 20.000 uomini nel periodo 930-850, di 60.000 uomini nel
periodo 850-750, e forse di 100.000 uomini nel periodo 750-630. Queste stime sono
ragionevoli per le maggiori campagne, ma vanno dimezzate per una stima media. Calcolando
poi, molto approssimativamente, una media di una campagna ogni due anni, si ottiene
un totale di circa 5.000.000 di soldati partecipanti a spedizioni assire: dunque con
perdite in marcia stimabili sul milione, che vanno così a raddoppiare la stima relativa
a morti in azione18.
Chiaramente le perdite assire furono meno gravi (meno della metà) di quelle dei nemici,
ma andarono a carico di una regione e di una popolazione assai circoscritte. Anche
nel caso dell’Assiria, lo spopolamento delle campagne (archeologicamente visibile)
e la necessità di importare deportati fanno desumere che il processo di conquista
imperiale abbia prodotto crescenti sofferenze anche all’interno del nucleo conquistatore.
Come premesso, non è questo il luogo per approfondire tali aspetti, ma posso almeno
ricordare un articolo del codice di leggi medio-assire (l’articolo A 45, in WAW 6,
pp. 170-171), quando l’espansione assira era appena iniziata e non era certo al suo
culmine; esso regolamenta il comportamento della vedova di guerra, che, prima di risposarsi,
deve attendere due anni e che nel frattempo necessita di assistenza pubblica, e se
poi il marito torna dopo i due anni ha diritto a riprenderla ma i figli restano al
secondo marito, e se il militare è dichiarato morto il suo campo è confiscato dal
re, e così via – per aprire più di uno spiraglio sulla condizione esistenziale delle
famiglie dei soldati di corvée.
La conquista imperiale assira provocò inoltre profondi mutamenti nell’assetto socio-economico
dell’Assiria stessa (anche qui il confronto con Roma è abbastanza calzante)19, con la sostituzione di deportati (servi) ai contadini («liberi»), decimati dalla
partecipazione forzata alle guerre. Il quadro è molto diverso, anzi opposto, a quello
della propaganda. Anziché rendere i vinti «come Assiri», il trionfo imperiale rese
gli Assiri alla stregua dei provinciali. Inoltre, mentre la fase espansionistica poteva
finanziarsi mediante le conquiste (bottino, deportati, aumento tributi, ecc.), la
fase di stabilizzazione dovette basarsi su risorse interne, e dunque portò ad un logoramento
propriamente economico. Si consideri il calo della popolazione rurale rispetto a quella
urbana, con le capitali che troneggiano come «cattedrali nel deserto»; si consideri
l’estremizzazione del tasso di despotismo, con l’imperatore circondato da una corte
di eunuchi e con le autonomie locali esautorate di ogni reale potere; si considerino
altri indizi di declino20, e si vedrà come le modalità di conseguimento e poi di gestione dell’impero universale
produssero un collasso finale che fu tanto improvviso e inaspettato agli occhi dei
contemporanei, quanto è un «disastro annunciato» per gli storici di oggi21. Se di certi imperi non si individua con chiarezza una «data» finale (tipico il caso
di Roma), e altri sono immediatamente rimpiazzati (in staffetta di dinastie più che
di imperi diversi), l’impero assiro invece scomparve nel nulla e le sue città furono
ridotte a mucchi di rovine (tillu u karmu, «tell e mucchi», come si diceva allora).
Di recente si è cercato di valorizzare i pochi elementi di momentanea sopravvivenza
delle strutture imperiali assire dopo il crollo dell’impero22; ma è ben poca ed effimera cosa. Guardando le grandi linee degli eventi, il collasso
dell’impero assiro fu uno dei più improvvisi e totali che la storia ricordi: se certe
province erano già in crisi profonda, mentre altre poterono mantenere una loro vitalità,
quel che accadde nell’Assiria vera e propria fu un crollo verticale. La zona più densamente
urbanizzata e popolata, le grandi città, le strutture di irrigazione si trasformarono
in un deserto. E non si applica all’Assiria quanto vale per altri imperi, che dopo
il loro collasso geo-politico sopravvissero però come «commonwealth», cioè come comunità
culturale, linguistica, religiosa23.