Sonata in Mi Maggiore, op. 109 (1820)
La concentrazione, l’essenzialità dello stile tardo beethoveniano si mostrano in questa
sonata con una radicalità assoluta: l’inizio dell’op. 109 propone infatti otto battute di Vivace, ma non troppo alle quali seguono improvvisamente sette battute di “Secondo tema”, Adagio espressivo – e a queste segue, senza soluzione di continuità, una ripresa del Tempo I che realizza un fulmineo Sviluppo! In un certo senso qui non ascoltiamo più una forma-sonata,
ma piuttosto l’essenza della forma-sonata, il suo principio archetipico.
Ma scendiamo più nel dettaglio, per esaminare le caratteristiche di quello che (tra
virgolette, data la sua eccentricità) ho chiamato “Secondo tema” di questo movimento:
a ben vedere, esso è costituito da tre sole battute, che vengono immediatamente e
radicalmente variate; segue una battuta (!) di “Chiusa” a cui, come detto, si allaccia
direttamente lo Sviluppo con la riapparizione del tempo Vivace. Insomma, le tipiche strategie del secondo periodo beethoveniano scompaiono non solo
nei rapporti formali “in grande”, nelle Transizioni, negli Sviluppi, ma anche nel
dettaglio, nella costruzione dei temi e nella loro elaborazione. Qui abbiamo a che fare con una variazione vera e propria delle tre battute di Secondo
tema, non con un classico principio di elaborazione motivica (né con una “proposta/risposta”
simmetrica, un antecedente/conseguente da Secondo tema mozartiano): il Secondo tema,
brevissimo, immediatamente si ferma a riflettere su sé stesso attraverso la “statica”
variazione; e con lui si ferma il moto del brano, il suo decorso temporale.
Questa caratteristica – il Secondo tema brevissimo che viene immediatamente variato
– è talmente importante ed efficace che la ritroviamo pressoché identica anche nei
movimenti iniziali delle due successive sonate, op. 110 (batt. 20-24) e op. 111 (batt. 50-54); probabilmente essa indica la volontà di Beethoven di accentuare il
carattere cantabile del Secondo tema, e quindi il compositore ne sottolinea la staticità,
il senso di sospensione del moto. La differenza rispetto ai Secondi temi del “periodo
eroico” è evidentissima. Nel primo movimento della Quinta Sinfonia Beethoven non solo accorcia progressivamente il fraseggio del Secondo tema per renderlo
più incalzante, ma addirittura inserisce nei bassi i “quattro colpi del destino” nel
timore che il carattere più rilassato possa far calare eccessivamente la tensione
del brano.
Ma è importante sottolineare che se Beethoven sceglie consapevolmente di neutralizzare
l’energia direzionale nelle sue composizioni tarde, l’energia mentale di questi brani
viene invece moltiplicata: il contrasto tra Primo e Secondo tema nel primo movimento
dell’op. 109, tra tempo rapido e tempo lento, viene riproposto nel rapporto tra i successivi due
movimenti della sonata, il Presto e le variazioni. Come ho scritto più sopra, Beethoven crea in queste opere straordinarie
uno spazio labirintico che richiede all’ascoltatore la capacità di riconoscere alcuni
elementi meno “concreti” e di proiettarli sull’intero campo della composizione: se
esaminiamo con attenzione l’inizio di tutti e tre i movimenti della sonata, scopriremo
che il primo e il secondo movimento sono basati sullo stesso, identico moto discendente
del basso (un’ottava, da mi a mi), mentre il basso del tema delle variazioni inverte
lo stesso elemento trasformandolo in un’ottava ascendente. E l’inversione, il cambio
di direzione del movimento per gradi contigui, è prefigurata in modo evidente già
nel primo movimento: nello Sviluppo, in cui Beethoven costruisce una serie di rapide
“ondate ascendenti” a partire da un frammento del motivo di otto note (successioni
ascendenti di quattro note, batt. 26-42), e nella Coda, che realizza una meravigliosa
sintesi spaziale alternando la forma discendente (batt. 66-69) e quella ascendente
(70-78).
Significativamente, lo Sviluppo del secondo movimento – anch’esso scritto in forma-sonata
– ripensa lo stesso procedimento, alterna le forme discendente (da 66) e ascendente
(83) della linea del basso, giungendo infine a sovrapporle, sintetizzarle in un unico
tessuto con un indimenticabile effetto di rarefazione dalla battuta 89, subito prima
della Ripresa.
Volendo aggiungere qualche parola sul terzo movimento, di cui ho già parlato nell’ultimo
capitolo del libro, si può sottolineare una tecnica raffinatissima: Beethoven sceglie
un istante significativo e insolito del tema, e nel corso delle variazioni ne trasforma
la sostanza – armonica o motivica – svelandone una diversa possibilità di elaborazione,
lo varia progressivamente, ma continuando ad alternarlo a richiami alla versione originale
che ci viene quindi più volte riportata alla memoria.
Per illustrare questa caratteristica possiamo, ad esempio, seguire le trasformazioni
di un singolo accordo nelle variazioni dell’op. 109, la “sesta tedesca” (do-mi-sol-la diesis) che appare a cavallo tra le battute 7 e
8 del tema. Questo accordo nell’ambito del tema risolve sulla Dominante, Si Maggiore;
ma la sua caratteristica sonorità ambigua viene meravigliosamente sfruttata da Beethoven. In alcuni casi (come nella Variazione I) Beethoven rispetta la risoluzione sul Si Maggiore ma modifica l’accordo dandogli
un carattere “da Dominante” più accentuato (nona minore fa diesis-la diesis-do diesis-mi-sol,
batt. 24). La successiva Variazione II si sdoppia: la seconda metà (batt. 47-48) recupera la sesta tedesca originale del
tema; la prima Esposizione contiene invece un inaspettato colpo d’ala: l’accordo viene
mantenuto inalterato ma cambia invece la risoluzione, esso viene in pratica letto
come settima di Dominante (do-mi-sol-si bemolle) e provoca una stupefacente risoluzione
temporanea in Fa Maggiore (batt. 39-40).
Beethoven ha messo in gioco, a questo punto, tre diverse variazioni armoniche di questo
istante del tema, e tutte e tre continueranno ad alternarsi nel corso del brano: la
Variazione III, ancora doppia, è interamente scritta a due voci e non utilizza quindi accordi completi
a quattro o più parti; ma in ogni modo è facile riconoscere dapprima la trasformazione
dell’accordo in una settima di Dominante (con la risoluzione in Si Maggiore, batt.
72), e poi la riproposizione dell’accordo originale del tema, con il caratteristico
sol naturale (batt. 75); la Variazione IV accosta per un istante, in successione, la sorprendente risoluzione in Fa Maggiore
e la “normale” risoluzione in Si dello stesso accordo (batt. 104); la V propone una versione molto variata della medesima combinazione (Fa Maggiore in levare,
batt. 126, prima della sesta tedesca a cui segue la risoluzione in Si Maggiore a 128).
Il risultato di questa caleidoscopica alternanza è che l’ascoltatore percepisce al
tempo stesso le trasformazioni del tema e il permanere della sua sostanza, che tuttavia
si arricchisce via via di nuove possibilità all’inizio latenti. Il percorso del brano
si moltiplica in un certo senso su più piani paralleli, la sensazione è quella di
un sistema orbitante, di una serie di “orbite” che di variazione in variazione si allontanano o si avvicinano
ad un centro gravitazionale, il tema, che non a caso Beethoven ci ripropone con alcune
leggerissime modifiche al termine delle variazioni. Percorso quindi circolare, ma
continuamente aperto a nuove possibilità “parallele”: è come se ogni variazione fosse
al tempo stesso una metamorfosi del tema e un tema nuovo. E infatti, come si è visto,
la varietà di “gesti” e di caratteri, di variazione in variazione, è stupefacente,
dal valzer accennato della Variazione I ai tocchi “leggieri” della II, dall’“Invenzione a due voci” della III alla sublime fluidità contrappuntistica della IV, fino al severo fugato della V e al carattere aereo, sospeso e pulviscolare della Variazione VI.
Questo stesso tipo di esame si potrebbe applicare anche agli aspetti tematici di questo
brano, seguendo cioè le trasformazioni non di un singolo accordo ma di una successione
orizzontale: ad esempio la terza discendente iniziale del tema, oppure la linea ascendente
del basso nelle prime tre battute. Anche in questo caso scopriremmo una capacità di
costruire “orbite” e percorsi ellittici, una volontà di permutare gli elementi nel
tempo e nello spazio che non ha uguali nelle opere di altri compositori ottocenteschi.