Casanova

Chi era Giacomo Casanova? Un avventuriero intraprendente, un letterato generoso, un diplomatico accorto, un baro temibile, un viaggiatore instancabile e –ça va sans dire– un grande amante delle donne.
A quasi 300 anni dalla nascita, la storia di una vita straordinaria in un libro che è insieme la biografia di uno dei veneziani più noti al mondo e un affresco originale dell’Europa del Settecento.

Alessandro Marzo Magno racconta il suo Casanova

 

 

La diplomazia del terrore

Dall’attentato alle Olimpiadi di Monaco del 1972 sino alla strage di Lockerbie del 1988, passando per gli attacchi contro l’aeroporto di Fiumicino e la nave da crociera Achille Lauro, questo libro si pone un obiettivo ambizioso: quello di comprendere perché l’Europa non è riuscita a vaccinarsi contro il terrorismo internazionale del XX secolo, prevenendo la nuova ondata di violenza politica che ha avuto origine con l’attacco alle Torri gemelle del 2001.

Valentine Lomellini, già autrice de Il «lodo Moro». Terrorismo e ragion di Stato 1969-1986, racconta La diplomazia del terrore.

 

Suona, gozzoviglia o ammazza mosche?

Giorgio Ieranò ha letto per tuttolibri Il riposo dell’imperatore di Massimiliano Papini. Qui un estratto.

«I soliti ciccioni grondanti sudore che addentano cosciotti di abbacchio e ingurgitano grappoli d’uva, le solite bocche unte che si baciano lascivamente, staccandosi l’una dall’altra solo per tracannare vino». Così Federico Fellini, mentre lavorava al Satyricon, rievocava gli stereotipi con cui il cinema era solito dipingere i divertimenti dell’antica Roma. Ma, in verità, questi luoghi comuni hanno alle loro spalle una lunga storia. Già gli scrittori antichi narravano con accenti coloriti, per esempio, gli stravizi di Nerone o di Elagabalo.

Ma, stereotipi a parte, come passavano davvero il loro tempo libero gli imperatori romani? Come si configurava il loro otium, cioè tutta quella parte dell’esistenza che era sottratta al negotium, agli impegni politici e militari? […] L’otium dei romani, ricorda Massimiliano Papini, poteva essere litteratum: una sobria e austera pausa di riflessione dedicata alle letture e agli studi. Ma poteva anche essere ignavum o luxuriosum e concretizzarsi in divertimenti più futili e assai meno intellettuali. In entrambi i casi era opportuno staccarsi dalla frenesia della metropoli: rintanarsi nei giardini urbani o prendere la via delle ville extraurbane, in campagna o sul mare (l’otium, inutile precisarlo, era privilegio dei ricchi). Gli imperatori, disponendo in abbondanza di ville e giardini, avevano dunque molti spazi da consacrare al riposo (spazi ai quali Papini, da archeologo qual è, dedica svariate pagine). Ma, al tempo stesso, il loro ufficio rischiava di sottrarli agli ozi così cari agli aristocratici: si narra che Petronio Massimo, effimero signore di Roma per poche settimane nell’anno 455 d. C., fosse scoppiato a piangere, non appena nominato, poiché si rendeva conto che i negotia di un imperatore gli avrebbero tolto tutti gli otia di cui godeva da semplice senatore.

[…] È evidente che non tutti questi racconti saranno veritieri. L’invenzione letteraria o la deformazione diffamatoria animano molte narrazioni. Nerone, senz’altro, si sarà dedicato a divertimenti poco consoni alla dignità imperiale. Ma se suonava la cetra e componeva tragedie (come Augusto, peraltro) non era solo perché era uno stravagante ma perché certi comportamenti erano conformi al suo filellenismo, a sua volta collegato all’idea di un dispotismo svincolato dal vecchio fardello del Senato e ispirato alle monarchie di Alessandro Magno e dei suoi eredi.  […] Se di Domiziano si narrava che passasse ore da solo ammazzando mosche, un caso particolare è quello di Adriano. Alla sua figura storica si è sovrapposto ormai il pensoso personaggio inventato da Marguerite Yourcenar. Per cui tendiamo a immaginare che l’otium dell’imperatore fosse tutto dedicato alla composizione di aeree poesie, come Animula vagula blandula. Però, dalle testimonianze antiche, emerge una personalità assai più contraddittoria: quella di un despota capriccioso che, nel tempo libero, preferiva le grazie efebiche del suo Antinoo alla bellezza delle statue nella villa di Tivoli.

Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta

«Il tempo della mia vita cambiò, il ritmo cambiò. Fu come passare dall’altro lato di un orologio. Vivere qui comportava impiegare il tempo di questo luogo, che scorre sotto lancette diverse, lente e collose, fatte di piogge, di stagioni, di epoche di raccolta, di periodi di deposizione delle uova, di limiti imposti da forze superiori, con le quali l’uomo non compete; semplicemente si arrende, le asseconda, le rispetta.»

Emanuela Evangelista racconta Amazzonia. Una vita nel cuore della foresta

 

 

Cura e lavoro, le contraddizioni di Simone Weil

Francesca Rigotti | Domenica – il Sole24Ore | primo ottobre 2023

Il pensiero di Simone Weil è articolato e complesso, è ricco, contraddittorio e provocatorio e fondamentalmente pessimista. È quanto emerge — al mio sguardo non benevolo verso queste forme di riflessione di tipo mistico-religioso-esaltato — anche da due scritti recenti a lei dedicati, che illuminano in particolare l’aspetto del lavoro e quello della giustizia/cura. Un pensiero, quello di Weil, che anche io, come scrisse Franco Fortini in un breve articolo su «Rinascita» del 1981, ammiro e rifiuto. Rifiuto, per esempio, perché non coerente, la concessione fatta da Weil a seguire «l’obbligo rigoroso» sui nemici da parte dei soldati, senza però andare un millimetro più in là dell’obbligo. L’imperativo categorico kantiano, spietato ma coerente, non l’avrebbe consentito.

Ammiro l’indignazione e la potenza della sua critica. Apprezzo l’acutezza nell’individuare i punti critici e negativi, frutto probabilmente dell’applicazione dell’attenzione, insomma la pars destruens. Tutti punti presenti nelle due opere che presento, dedicate al lavoro e alla giustizia.

Prendiamo il tema della giustizia, finemente analizzato da Greco. Weil introduce una partizione tra diritto e giustizia, nella sua prima opera, secondo la quale il diritto protegge dall’ineguaglianza, anzi, è la sua forza a proteggere i deboli (in seguito vedrà anche il diritto inesorabilmente contaminato dalla forza). La giustizia di Weil invece va oltre, eccede il diritto, coincide con la carità. Rifiuta la benda che impedisce di vedere gli ultimi, i bisognosi; rinuncia alla bilancia con i suoi bracci uguali che dovrebbero garantire l’eguaglianza delle forze, alla spada in cui si annida la forza, ripudiata anche se il suo uso è legittimo. A questi simboli, che rimandano a imparzialità, equilibrio e forza, Weil contrappone attenzione, decreazione, debolezza, là dove decreazione significa la rinuncia di Dio alla propria potenza nel voler far esistere l’altro, l’uomo. È Dio stesso allora che incarna la debolezza che porta alla giustizia-carità; un Dio impotente, un Dio che nel creare la realtà l’abbandona. Che è poi la posizione di un grande filosofo ebreo tedesco, Hans Jonas, che pur di mantenere a Dio l’attributo della bontà e «spiegare» perché non è intervenuto a Auschwitz, gli nega l’onnipotenza.

L’aspetto di Dio che si de-crea, si de-realizza viene sottolineato anche da Scarcia nella sua chiara e articolata analisi delle posizioni sul lavoro di Simone Weil, i cui problemi teorici tanto la attanagliavano da farle cercare la risposta nella fabbrica stessa, dove infatti entrò per qualche tempo come operaia. Weil voleva capire se e come ci potesse essere un’emancipazione del lavoro, se e come il lavoro potesse diventare il luogo della pace, della vera fratellanza e amicizia. A lei l’organizzazione della fabbrica si presentò incomprensibile, oppressiva, infernale, il lavoro manuale le si rivelò quale abbrutimento e sudditanza; non realizzazione ma alienazione, come in Marx. Ma diversamente che per Marx, per Weil è come se non ci fosse speranza, come se il suo Dio si fosse indebolito a tal punto da non lasciare nemmeno immaginare una possibilità di emancipazione. Da una parte Weil apprezza il lavoro, lo ritiene fonte di saggezza, binomio perfetto di pensiero e azione, e poi se ne ritrae, non vede soluzioni o arriva a proporne di improbabili, conservatrici, come il radicamento, il titolo dell’ultima opera, L’enracinement, ove auspicava la fioritura delle comunità locali, il richiamo alle tradizioni, agli spazi di vita condivisi, il ritorno alle radici religiose e spirituali, una mistica del lavoro.

Così, anche la soluzione al diritto contaminato dalla forza è una giustizia la cui essenza è la cura, la carità, l’attenzione all’altro, la discesa, la diminuzione di sé per calare nel bisogno dell’altro. La sua è una giustizia chinata, trasformata paradossalmente in demenza, anzi in un continuo esercizio di misericordia. Vi si cancella l’idea forte che i diritti possono, devono essere, sono la miglior difesa dell’inerme e riguardano la collettività pur curandosi dell’individuo, così importante per Weil.

Certo che nel caso dei migranti sui barconi, qui concordo con Greco, non c’è tempo per chiedersi chi sono, ci si può solo fermare, sbilanciarsi, abbassarsi; certo che i «reati di solidarietà» sono un abominio. Eppure il diritto, i diritti, sono lì per far fronte ai soprusi e garantire l’eguaglianza. Sono i diritti correttamente intesi la difesa dell’inerme. Così come il lavoro, l’azione trasformativa manuale e intellettuale, è, può, deve essere fonte di realizzazione, di crescita, di libertà, di felicità di quell’individuo che sta a cuore a Weil, e di felicità collettiva e per questo occorre contrastare non soltanto la disoccupazione ma anche la precarietà, la moltiplicazione dei contratti personalizzati, la diffusione dei lavoretti, sotto la prospettiva dell’abolizione dei mestieri in seguito ad automazione e digitalizzazione, in una trasformazione che porta sempre di più verso la realtà astratta del mondo matematizzato e non sulla realtà sensibile del mondo vissuto.

Le parole della filosofia: cosa significa ‘identità’

Cosa ci rende le persone che siamo, l’insieme delle nostre caratteristiche psicologiche (i ricordi, le emozioni, i desideri) o la persistenza delle nostre caratteristiche fisiche?

La questione dell’identità personale è tra le più dibattute nella storia della filosofia fin dalle sue origini. Con Piccola guida filosofica all’identità personale, Fabio Patrone conduce per mano in uno dei temi filosofici più sorprendenti.

 

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La rivincita della Storia

Paolo Mieli | Corriere della Sera | 12 settembre 2023

Nella notte tra il 24 e il 25 febbraio del 2022, quando ebbe inizio l’invasione russa dell’Ucraina, si impose un riesame della nostra storia. E quel che sostiene Franco Cardini in La deriva dell’Occidente. Quella notte accadde qualcosa che «gli europei non avrebbero creduto potesse più accadere». Vladimir Putin, a dire il vero, non parlò di guerra. Ma nelle settimane successive fu chiaro che proprio di questo si trattava. Una «guerra vera e propria», «la prima sul territorio del nostro continente dopo settantasette anni». In realtà chi ha detto che era la «prima» dimostrava «scarsa memoria e forse anche cattiva coscienza». Dal momento che una «guerra ai margini orientali del continente — un po’ più a sudovest, magari — si era già affacciata alla fine del secolo scorso». Nella «maledetta» primavera del 1999, con i bombardamenti della Nato su Belgrado e sulla Serbia «con tanto di bombe a grappolo, uranio impoverito e stragi di civili innocenti». Guerra a cui presero parte — «sia detto», scrive Cardini, «a vergogna nostra e del governo di allora» — anche aerei italiani.

Un’avventura «maldestra» quella della Nato nei Balcani alla fine del secolo scorso. A cui, dopo l’11 settembre, seguirono quelle che Cardini definisce le «scellerate aggressioni degli Stati Uniti e dei Paesi loro gregari (tra cui il nostro)» contro Afghanistan e Iraq, «destinate a lasciare il Vicino e Medio Oriente in condizioni peggiori di quelle riscontrate all’inizio della crisi». Risultato: un sistema di «multipolarismo imperfetto» che oltretutto stenta ad affermarsi.

Il tutto a smentire la profezia di Francis Fukuyama in La fine della storia e l’ultimo uomo (Rizzoli). All’idea di una «uscita dalla storia» e di un «impero americano su cui non sarebbe mai più tramontato il sole» si è sovrapposto un «sogno dell’Occidente agitato e pieno di incubi». Sino allo «sconcertante risveglio del 24 febbraio 2022 che ci ha costretti ad arrenderci alla realtà». La storia data per finita da Fukuyama «si è rimessa in moto». Anzi, siamo stati costretti a prendere atto del fatto che «non si era mai fermata».

Quel che è accaduto, secondo Cardini, è riconducibile alla convinzione — «esplicita o strisciante che sia» — di una «superiorità» occidentale. Quella occidentale è l’unica cultura che, nella pratica, sia riuscita a imporre sé stessa alle altre in modo sistematico, insieme con l’idea di un senso della storia universale che andasse a coincidere con una pluralità di dinamiche. Tutte però convergenti nell’accettazione, da parte delle altre culture, della nostra, quella occidentale. Con «una forza» che «sarebbe roseo eufemismo definire solo “della ragione”».

Fukuyama secondo Cardini non si è discostato dalla lezione hegeliana, all’interno della quale «tutto quel che è extra occidentale è perciò stesso arcaico, appartiene a una fase trascorsa della storia universale». L’occidentalizzazione del mondo lascia spazio, là dove si è fatta strada, soltanto a qualche relitto, naturalmente «anacronistico» e «antistorico». Se l’Oriente era la fanciullezza del mondo e della storia, quel che ancora ne rimane (e non si è metabolicamente adeguato all’Occidente) «va trattato come il patetico relitto d’un vecchio bambino che non sia riuscito a diventare adulto». Persino nelle famose lezioni tenute da Jacob Burckhardt a Basilea tra il 1868 e il 1872 — pubblicate come Considerazioni sulla storia universale (Mondadori) — «nonostante qualche fuggevole accenno all’Islam o all’Asia, nulla si coglie che non sia profondamente ed esclusivamente occidentale».

Sembra impossibile, scrive Cardini, infrangere in qualche modo l’incantesimo del «canone storico» imposto dalla cultura occidentale, rispetto alla quale le altre possono solo porsi in un «rapporto analogico concorrenziale». O accettare di «entrare in relazione» man mano che l’Occidente le ha «scoperte». Lo «scambio asimmetrico» sul quale si fonda l’«economia mondo» sembra riflettersi anche nell’ambito dei modi e degli strumenti di ricostruzione del passato.

Perfino Peter Haugen nell’apparentemente anticonformista Storia del mondo per negati (Mondadori) indica «dieci date indimenticabili» che iniziano con il 46o a.C. (avvio della democrazia ad Atene) e si chiudono con il 1945 (il lancio dell’atomica statunitense sul Giappone). Possibile che neanche una di queste date riguardi un avvenimento che non sia rigorosamente «occidentale» e «occidentocentrico»?

Perché dobbiamo accettare il fatto che una storia mondiale è possibile solo a partire dal momento nel quale, tra Quattrocento e Cinquecento, l’Europa occidentale «ha sbriciolato le frontiere di un mondo a compartimenti stagni» e ha obbligato tutte le civiltà in esso esistenti a comunicare tra loro?

L’accettazione di questo punto di vista non significa forse tornare a Hegel, e ammettere con lui che la «storia universale» può essere concepita solo in termini di egemonia dell’Occidente, con ciò stesso proponendo una sinonimia dei concetti di Occidente e di Modernità? In una relazione tenuta a Sidney in occasione di un congresso di storici, Natalie Zemon Davis riuscì a dimostrare che il modello storico occidentale è stato a tal punto «forte» da condizionare «anche l’approccio di coloro che scrivono per mettere in discussione gli imperi occidentali». L’Europa, spiegava Zemon Davis, resta sempre e comunque al centro (magari sottinteso) delle storiografie contemporanee anche americane, asiatiche, africane. Semmai nascosta, l’Europa, dietro termini riferiti al resto del mondo quali «mancanze», «transizioni non completate», «non ancora».

Si sono così messe in atto da parte di storici greci e turchi «strategie di reazione al canone della storia occidentale» in modo da adattare il passato delle loro rispettive tradizioni alla traiettoria europea; o strategie di «universalità alternative» da parte di storici cinesi e giapponesi «caratterizzate da un ritmo temporale loro proprio». Proposte alternative che, però, pur proponendo di ribaltarlo, secondo Zemon Davis, non fanno che ribadire il canone occidentale. Canone che ha una sua linearità fino al termine del Medioevo. Poi, con la «strozzatura» quattro-cinquecentesca, il mondo «chiuso» della cosmografia medievale si è dissolto. Da allora «le linee delle differenti civiltà dovevano fatalmente convergere verso differenti ma inevitabili forme di incontro (o di scontro) dalle quali avrebbero dovuto nascere, e in effetti sono nate, delle sintesi in cui le diverse, rispettive forze delle linee “componenti” hanno dato luogo a una “risultante” in prevalenza senza dubbio occidentale». Fino a giungere all’Occidente moderno, a tal punto attratto dall’«altro da sé» da aver inventato una scienza per studiarlo, l’antropologia culturale. E da aver elaborato un complesso di valori etico-filosofici per favorire la convivenza con altri, cioè «la tolleranza, che si è dovuta misurare con civiltà che sovente non riuscivano neppure a concepire che il “diverso” potesse avere dignità umana».

Solo l’Occidente ha potuto concepire una carta di «diritti umani» valida — almeno secondo i suoi schemi concettuali — per tutto il genere umano; e al tempo stesso è stata solo la nostra civiltà occidentale moderna ad elaborare in modo sistematico — sia pure riprendendo elementi già vivi nelle civiltà passate — una cultura dell’«orientalismo», dell’«esotismo», un’estetica fondata su culture differenti sia pure a tal punto «rielaborate da riuscire speso irriconoscibili». Caratteristica dell’Occidente moderno è la sua volontà di potenza. Nessuna «identità» è «più composita e dinamica di quella occidentale». Eppure, al tempo stesso, «è stato solo quest’Occidente umanitario e tollerante a soggiogare il resto del mondo con la propria volontà di potenza».

La stessa illusione che l’insieme dei «diritti umani» elaborati all’interno della sua civiltà possa essere obiettivamente valido sempre e per tutti, quindi universale, «è un’espressione di quella volontà di potenza». Manifestazione di tale volontà di potenza è considerata da Cardini «la proposta di far valere come principio generale valido per tutto il genere umano il fatto che alberghi nella natura dell’uomo» la «ricerca della felicità», che è nient’altro che «il nostro obiettivo e il nostro sogno». Volontà di potenza è il sistema dei «due pilastri sui quali la Modernità si reggerebbe». Primo pilastro: l’uguaglianza legittimata e garantita dallo Stato. Secondo pilastro: la libertà, incarnata e sostenuta, anche in questo caso, dallo Stato. Peccato solo, nota Cardini, che i «due pilastri» siano in realtà «cavalli ben decisi a tirare in due direzioni opposte». E difatti un di più di uguaglianza «finisce sempre per attentare alla libertà». Un di più di libertà «a indebolire l’uguaglianza». Ci vorrebbe un terzo elemento, un «pilastro mediano». Ad esempio?

La Rivoluzione francese proponeva, «umanitariamente ed utopisticamente», la fratellanza. Ma «pare proprio che, se non sostenuta da una qualche giustificazione metafisica e metastorica, la fratellanza non regga». La pretesa, poi, che la civiltà occidentale sia stata la «grande benefattrice dell’umanità» appare allo storico come un’autentica «frode» o «un immenso abbaglio». Come si può ancora ignorare che questa «grande benefattrice» ha elargito i princìpi primi della scienza, della ragione, della libertà, del progresso, e in cambio di queste bellissime cose — «promesse agli altri e talora in effetti quanto meno parzialmente fornite, di solito a caro prezzo» — si è «serenamente autoassolta» di «tutte le violenze, i furti, gli orrori, le menzogne e le infamie di cui si è resa responsabile nella sua conquista del mondo»?

Il «nostro Occidente» si è largamente e ripetutamente «autobiografato», per dirla con Juan Donoso Cortés quando ha scritto che la storia è «la biografia del genere umano». E «ha biografato il “diverso da sé” solo nella misura in cui ciò lo interessava». E «nella prospettiva che gli conveniva». La sfida del futuro è mantenere il prezioso punto di vista del grande pensatore spagnolo dell’Ottocento e «individuare strumenti e metodi atti a tradurre sul serio in realtà quella sua constatazione che era ai suoi tempi, e resta ancor oggi, solo un auspicio o una finzione».

Cardini esorta a riflettere su due dati di fatto. Da una parte non può esserci dubbio sulla circostanza che la costruzione di una storia dell’Occidente — sostanzialmente armonica e ininterrotta — nonché la sua autocoscienza, dal logos ellenico agli odierni sviluppi del sistema scientifico-tecnologico — «sia eminentemente un’artificiale pretesa ideologica». Pretesa «che ha determinato in tempi relativamente recenti — e con qualche recentissima recrudescenza politica — lo scellerato maturare di pseudo certezze identitarie» (tipo «the West and the Rest»). Dall’altra parte «è altrettanto sicuro che le civiltà fiorite sul pianeta attraverso i millenni e spazialmente separate tra loro da forti distanze, squilibri climatico-ambientali, deserti, montagne e oceani si sono reciprocamente comportate per lunghi millenni come se fossero state separate tra loro da compartimenti stagni, sia pure a imperfetta tenuta». Fu con l’epopea delle grandi scoperte e delle conquiste oceaniche, con l’era — a dirla con Carlo M. Cipolla — «delle vele e dei cannoni», che l’Europa infranse le proprie frontiere e si diffuse nel mondo, dando luogo all’era coloniale e allo «scambio asimmetrico», «quindi a quel processo di globalizzazione che oggi sembra giunto a un momento importante di verifica e di ridefinizione». Verifica e ridefinizione a cui, purtroppo, ancora una volta siamo costretti da una guerra. Al momento solo la guerra d’Ucraina.

Moltitudini, un podcast sulla biodiversità

“Questo podcast inizia con un numero che non conosciamo. Quante specie esistono sul Pianeta Terra?”: è un punto interrogativo a dare il via a Moltitudini, un podcast sulla biodiversità, un progetto degli Editori Laterza realizzato con il supporto di Findus e con la postproduzione di Full Color Sound. Moltitudini è disponibile su Spotify, Spreaker, Apple Podcasts e Google Podcasts.

Alla scrittura e alla conduzione del podcast il giornalista Nicolas Lozito, che si occupa di clima e sostenibilità per La Stampa e cura dal 2020 la newsletter settimanale Il colore verde. Insegna al Master di Giornalismo della Luiss e alla Scuola Holden e ha già curato tre podcast (tra questi, dal 2022, Verde Speranza).

La voce di Lozito accompagnerà l’ascoltatore in un viaggio in tre puntate  (Origine, Estinzione, Rigenerazione), dalle foreste ai deserti, attraverso storie di uomini e animali alla scoperta dell’incredibile patrimonio di biodiversità di cui proprio l’uomo rischia di diventare “asteroide”. Cosa stiamo perdendo, ci si chiederà, e a che velocità? L’obiettivo è salvarsi insieme, e diventare buoni antenati, di noi stessi e del Pianeta.

In quest’ambizioso viaggio Nicolas Lozito non sarà solo: alla sua si alterneranno voci di scienziati e scienziate, biologi e biologhe, scrittori e scrittrici, storici e storiche.

Alessandro Barbero, Giorgio VacchianoGiorgio Vallortigara così come lo stesso Lozito e come molti degli esperti che interverranno nelle prossime puntate, sono stati peraltro ospiti della seconda edizione di Pianeta Terra Festival (pianetaterrafestival.it), a Lucca dal 5 all’8 ottobre 2023 – festival ideato, progettato e organizzato dagli Editori Laterza con la direzione scientifica di Stefano Mancuso e la promozione della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. E proprio in questa occasione, all’evento intitolato Api e insetti impollinatori: alleati preziosi della biodiversità a cura di Findus Italia, il 7 ottobre alle ore 15.15 all’Orto Botanico, è stato annunciato il progetto e pubblicato il primo episodio.

La casa editrice Laterza cura da qualche anno diversi progetti audio originali, finora soprattutto su temi storici (come Mystery Train con lo storico Alessandro Portelli e le Lezioni di Storia diffuse sulle piattaforme di RaiPlay Sound). Questo è il primo progetto in ambito ‘scientifico’, e conferma l’impegno e l’interesse degli editori per la questione ambientale.

“La tutela della biodiversità è al centro dell’impegno di Findus per la sostenibilità. Ci impegniamo a proteggere le specie che prosperano nei nostri campi perché crediamo che la biodiversità non solo consenta miglioramenti all’ambiente, ma anche alla stessa attività agricola. Le azioni concrete che mettiamo in campo a sostegno della biodiversità sono molte, insieme a quelle per ridurre il più possibile l’impatto ambientale ed efficientare la gestione delle risorse. Il nostro manifesto Green for Love – che racchiude il nostro impegno per la sostenibilità – riserva particolare attenzione anche ai progetti di sensibilizzazione su questi temi. Il podcast Moltitudini rientra in quest’ambito e per noi di Findus rappresenta un ulteriore contributo per sensibilizzare i nostri consumatori sull’importanza della salvaguardia della terra e dell’ambiente”: così Findus Italia commenta il proprio supporto al progetto.

 

Ascolta Moltitudini su Spotify:

 

Ascolta Moltitudini su Spreaker:

Ascolta “Moltitudini, podcast sulla biodiversità” su Spreaker.

Lezioni di Storia – Speciale | Claudio Vercelli, Israele-Palestina

Claudio Vercelli
Israele-Palestina
Alle radici del conflitto

Roma | Auditorium Parco della Musica
domenica 5 novembre | ore 11.00

Una terra, due popoli: racconteremo l’evoluzione del confronto tra palestinesi e israeliani dalla sua origine fino alle drammatiche vicende attuali. Oggi delle speranze trascorse rimane ben poco; alla radice rimane il mancato riconoscimento reciproco, la tragica finzione per cui, affinché possa esistere, l’altro debba scomparire per sempre.

Claudio Vercelli, docente di studi ebraici presso la Limec, Scuola Superiore Universitaria per Mediatori Linguistici di Milano.

Introduce Giovanni Carletti.

 

Biglietto singolo: 14 euro | Biglietto singolo studenti: 5 euro
In vendita presso il botteghino dell’Auditorium e su www.ticketone.it
Infoline: 0680241281

 

Punto Sud

 

PUNTO SUD

Mezzogiorno reale, Mezzogiorno immaginato

Da giovedì 26 a sabato 28 ottobre 2023 a Bari

 Tre giornate per elaborare una riflessione critica, documentata e partecipata sulla “questione meridionale” 

 

Punto Sud vuole essere un momento di confronto sul Mezzogiorno d’Italia su più piani: economico, politico-amministrativo e culturale. La manifestazione mira a contribuire all’elaborazione di un “discorso” sul Mezzogiorno grazie alle lezioni, tavole rotonde, interviste, dialoghi e panel di discussione, proiezioni di film e documentari. Con il connubio delle energie di impresa e quelle sul piano creativo-culturale sarà possibile cogliere, insieme, le contraddizioni e i punti di forza ma anche quelli di ritardo che si registrano nella situazione socioeconomica delle regioni meridionali.

Gli incontri, da giovedì 26 a sabato 28 ottobre, saranno ospitati nella città di Bari: tra Palazzo dell’Acquedotto Pugliese, Spazio Murat nella città vecchia, il Multicinema Galleria e l’Università degli Studi Aldo Moro. La manifestazione è un’iniziativa degli Editori Laterza e della SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno).

Il tema di questa prima edizione è “Mezzogiorno reale, Mezzogiorno immaginato”, perché pur con le tante eccezioni positive nelle imprese e nel mondo associativo, c’è un Mezzogiorno reale – quello del disagio economico e sociale, delle carenze infrastrutturali, dei divari irrisolti di reddito, istruzione e sanità – che da tempo, di fatto, è assente nel dibattito pubblico.

Ma c’è anche un Mezzogiorno immaginato – quello dei romanzi, dei film, delle serie tv, della musica, del turismo – che negli ultimi vent’anni ha conquistato una popolarità e un’attenzione non conosciute fino a qualche tempo fa.

Due piani del medesimo racconto di un Sud al quale non occorrono denunce effimere o proclami consolatori, ma una riflessione critica e documentata.

Alessandro Laterza dichiara “Da tempo il dibattito sul Mezzogiorno è schiacciato su un’unica dimensione: la fantastica e immaginaria montagna di denaro, lì a portata di mano, su cui il Sud siede senza capacità di spenderlo o metterlo a frutto. Questa visuale ristretta abita non solo le stanze della politica, ma anche lo spazio dell’opinione pubblica, compresa quella meridionale. Punto Sud prova a riproporre il “discorso” sul Sud in modo articolato e a mescolarne gli ingredienti sociali, economici, politici con quelli della cultura e dell’immaginario”.

“In una fase storica di profondi cambiamenti, la Svimez ha fortemente creduto nella necessità di una manifestazione dedicata alle prospettive del Mezzogiorno – afferma Luca Bianchi direttore generale di SVIMEZ. È questa l’ottica in cui Punto Sud promuove una riflessione ‘larga’, aperta agli attori economici, sociali, politici, culturali. Di questo c’è bisogno quando sono davanti a noi temi di cruciale importanza per il futuro italiano: quello della vocazione dell’impresa meridionale; quella del contrasto a diseguaglianze che nel Sud sono spesso profonde; quella di assicurare un equilibrio pieno tra i valori dell’autonomia e della coesione. Sono alcuni dei punti di confronto in questo appuntamento che ambisce a tenere insieme analisi, racconto e proposte e che vorremmo diventasse, a partire da questa prima edizione, un’occasione utile per migliorare l’azione politica ed amministrativa nel Mezzogiorno del nostro Paese.”

 

Mezzogiorno reale

Dialoghi e confronti

Ci saranno dialoghi e confronti con rappresentanti delle istituzioni (come la presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra; il Ministro per gli Affari europei, il Sud e le politiche di coesione Raffaele Fitto; il sindaco di Bari Antonio Decaro e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi). Il mondo delle istituzioni accademiche (i rettori dell’Università degli studi di Bari “Aldo Moro” Stefano Bronzini; del Politecnico di Bari, Francesco Cupertino; dell’Università di Napoli Federico II, Matteo Lorito) interagirà con il MUR (Marcella Panucci). Rappresentanti del mondo delle imprese e del credito, coordinati da Marco Panara, dibatteranno con eminenti studiose e studiosi sulle prospettive di politica economica; ma anche sui trasporti e i grandi progetti infrastrutturali. Un’attenzione specifica verrà riservata dai maggiori esperti sui temi del disagio sociale, delle criticità dell’autonomia differenziata, delle lacune del sistema di istruzione, dell’“inverno demografico”.

Lo scopo è quello di delineare un profilo non esaustivo ma rappresentativo del Mezzogiorno reale: uno specchio delle difficoltà presenti, ma con lo sguardo fisso verso le prospettive future.

Il Punto su

“Il Punto su” sono lezioni di approfondimento sul Mezzogiorno che impegnano alcuni dei più qualificati studiosi su temi sociologici, economici e amministrativi. Le lezioni sono organizzate dall’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e saranno tenute in collegamento con i Dipartimenti di altre università, meridionali e non.

Si farà il “punto su” la povertà, il welfare e le mafie, ma anche sull’Europa e la coesione territoriale e il federalismo fiscale: con, nell’ordine, Enrica Morlicchio, Emanuele Pavolini, Rocco Sciarrone, Gian Paolo Manzella, Alberto Zanardi.

 

Mezzogiorno immaginato

Produzione culturale nel Sud e sul Sud

A partire dagli anni Duemila il Sud ha conosciuto uno straordinario successo in molte forme di produzione culturale: nella narrativa, nelle fiction televisive, nel cinema, nella musica. Più discontinua l’attenzione da parte degli organi di informazione. Questo successo si è accompagnato a una crescente domanda turistica, suscitata dalla bellezza dei luoghi ma anche dal fascino dei tesori artistici, delle tradizioni, della gastronomia.

Come mai c’è una vistosa discrepanza tra il successo del Mezzogiorno immaginato e consumato e la disattenzione al Mezzogiorno reale?

Oscar Iarussi, giornalista e critico cinematografico, imposterà la discussione su questo tema con la produttrice Gloria Giorgianni, il giornalista e scrittore Andrea Di Consoli, il regista Alessandro Piva.

L’approfondimento sulla fioritura della narrativa meridionale è affidato a Giuseppe Lupo, docente di letteratura e scrittore, con la studiosa Lea Durante e due grandi firme del giornalismo culturale, Paolo Di Stefano (autore anche di romanzi) e Stefano Salis: quali sono gli elementi che hanno aggiunto alla fortuna ininterrotta della narrativa siciliana quella delle scritture in Campania, Puglia, Abruzzo, Basilicata, Sardegna?

 

Rosa Polacco, autrice e conduttrice radiofonica, esplorerà l’offerta radiotelevisiva con la giornalista Simonetta Sciandivasci, il direttore Enzo Magistà, l’autore e conduttore televisivo Pietro Sorrentino: dopo il boom della Piovra mafiosa e l’ininterrotto successo della soap opera Un posto al sole, che caratteri hanno, per esempio, le serie televisive dalla truculenza di Gomorra alla meno inquietante criminalità di Montalbano, Tataranni, Ricciardi, Lobosco? E come è rappresentato Mezzogiorno reale e quello immaginato nell’informazione radiotelevisiva?

 

Al cinema

Due saranno le serate al cinema multisala Galleria.

Giuseppe Lupo presenterà la serata dedicata al racconto del Mezzogiorno attraverso gli straordinari documentari realizzati dalla Rai e selezionati grazie alla collaborazione di Rai Teche. Si tratta di una selezione ristretta, tra gli anni 1950 e 1970, a partire dal fondamentale Viaggio nel Sud di Virgilio Sabel (1958). Un assaggio che fa intuire il grande tesoro di materiali, la grande qualità artistica, la grande testimonianza di servizio pubblico custoditi negli archivi della Rai.

Oscar Iarussi introdurrà la serata di proiezione di tre pellicole: Viaggio in Italia di Roberto Rossellini (1954); Ricomincio da tre di Massimo Troisi (1981); Lacapagira di Alessandro Piva (1999). Alcuni esempi, dunque, per tracciare tre diverse stagioni del Sud nel cinema.  E invitare a immaginare percorsi di visione e di analisi che da Rossellini, Comencini, Visconti, Wertmüller e Rosi giungano agli Oscar di Tornatore, Salvatores e Sorrentino; alla fioritura della cinematografia pugliese, da Rubini, Winspeare e Piva ai sorprendenti blockbuster di Nunziante e Zalone.

 

LA SQUADRA DEL FESTIVAL

Punto Sud è ideato, progettato e organizzato dagli Editori Laterza e da Svimez.

Hanno dato il loro patrocinio la Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, la Regione Puglia, il Comune di Bari, l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.

Cassa Depositi e Prestiti è partner istituzionale dell’evento.

Il Festival è realizzato anche grazie al supporto di importanti sostenitori: da Acquedotto Pugliese ed Enel, partner della manifestazione, a Banco BPM e Ferrovie dello Stato Italiane, main sponsor.

Invitalia è sponsor del progetto.

Media partner dell’iniziativa sono TGR, Rai Radio1 e Rai Radio3. Importante la collaborazione con Rai Teche.

 

Gli incontri di Punto Sud sono a ingresso libero e gratuito fino a esaurimento posti. Il programma completo e tutte le informazioni pratiche sono disponibili sul sito puntosudfestival.it e sui canali social di Editori Laterza e Svimez.