Cinquant’anni dopo Peteano

‘Il presidente dell’ufficio istruzione mi disse: “Come primo fascicolo prendi questo. Guarda: roba vecchia di dieci anni, la puoi chiudere subito”. Io in realtà ero ancora formalmente uditore e sbirciai la copertina del mio primo fascicolo come aspirante giudice istruttore. C’era scritto “Peteano”.’

Felice Casson, Venezia, aprile 2021; intervista a cura di Ugo Dinello.

Ugo Dinello, La via delle armi

 

 

Una pietra massiccia alta grosso modo un metro, circondata da basse aiuole, riporta questa scritta: «Qui addì 31 maggio 1972 alle ore 23.15 mano omicida in vile attentato spegneva tre giovani vite». Poi i nomi: «brigadiere Antonio Ferraro – carabiniere Donato Poveromo – carabiniere Franco Dongiovanni». E infine: «La cittadinanza di Sagrado ad imperituro ricordo – ottobre 1972». […] Riparti con una strana sensazione: perché davvero non ti capaciti di come qualcuno possa avere pensato e realizzato una strage qui, non in una banca o in una piazza di una città, o su un treno, bensì alla periferia di tutto, di notte in una stradina sterrata nascosta dalla vegetazione, lungo una provinciale che corre tra un fiume e una ferrovia, nell’estremo nord-est d’Italia a una dozzina di chilometri dal confine oggi sloveno e allora jugoslavo. E sarà anche per tutto questo che il sangue di quei tre giovani carabinieri è sempre passato in secondo piano rispetto a quello di tante altre vittime degli anni di piombo. Ma anche perché, di tutte le stragi del terrorismo neofascista, questa è l’unica per la quale esiste un reo confesso: Vincenzo Vinciguerra. […] Sono trascorsi cinquant’anni da quando tutto iniziò, un’ora dopo il termine della finale di Coppa dei Campioni a Rotterdam in cui l’Inter di Invernizzi si arrese all’Ajax e alla doppietta di Johan Cruijff. E sarà pure ormai storia del secolo scorso, ma ancora oggi a ripercorrerla non ci si crede.

Paolo Morando, L’ergastolano

 

 

#CasaLaterza: Mimmo Franzinelli dialoga con Carlo Greppi

In tanti sostengono che il fascismo abbia una data di morte precisa e definitiva. Ma è davvero così?
E allora come spieghiamo le molte continuità tra il regime e la Repubblica? Le bombe, i pellegrinaggi a Predappio e le continue violenze?

Ne abbiamo parlato per Casa Laterza con gli storici Carlo Greppi e Mimmo Franzinelli, autore del libro Il fascismo è finito il 25 aprile del 1945.

 

 

 

 

 

 

La Sinistra e il popolo tradito

«Perché i concetti di “popolo” e “sovranità” fondanti della Costituzione si sono trasformati in concetti denigratori?», si chiede Luciano Canfora. L’autore del pamphlet La democrazia dei signori analizza l’attuale periodo storico, dall’avvento di Draghi al ruolo geopolitico dell’Europa

Carlo Crosato | Left | 10 marzo 2022

«Abbiamo sotto i nostri occhi un fenomeno macroscopico – afferma Luciano Canfora la denigrazione del popolo, un disdegno per di più riservato al popolo da parte della Sinistra – o ci ciò che ne resta –, la quale usa la parola “populismo” come accusa contro i propri avversari, rei di amoreggiare con il popolo». Questo il punto di partenza del suo ultimo libro, pubblicato da Laterza, La democrazia dei signori: un pamphlet puntuto, in cui la più stringente attualità è posta sotto una lente critica spietata. «È evidente che la democrazia che hanno in mente le élite dominanti è una democrazia di persone che si distaccano dal popolo e si considerano superiori a esso».

Non solo “populismo”. Spesso si muove anche l’accusa di sovranismo.

L’ordinamento costituzionale italiano si fonda, fin dal suo primo articolo, sul concetto che la sovranità appartiene al popolo: com’è potuto accadere che i concetti di “popolo” e “sovranità” presenti nell’articolo fondante della Costituzione italiana si siano trasformati in concetti denigratori? Oltre alla separazione fra popolo ed élite, c’è un altro elemento: la ex-Sinistra non ha più alcuna idealità connessa alla sua origine di movimento dei lavoratori. L’ex-Sinistra ha in testa un’unica idea: l’europeismo, ossia la delega di gran parte del potere decisionale a organismi per nulla elettivi e soprattutto separati, lontani e onnipotenti. A partire da tale delega, la sovranità è divenuta un ingombro e chi si richiama a essa è considerato un avversario. La Destra italiana, con le sue idee ripugnanti, ha buon gioco a richiamarsi alla sovranità e a reclamare il tradimento del popolo da parte della ex-Sinistra.

Chiedendo la fiducia al Senato, Draghi ha affermato: «Nelle aree definite dalla debolezza degli Stati nazionali, essi cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa». Questa della sovranità condivisa non è un’espressione ossimorica?

È un gioco di parole che nasconde un’evidenza ormai consolidata: le leve del potere sono altrove; i Parlamenti nazionali contano poco o nulla potendo solo ratificare e non legiferare; i governi legiferano ma, di fatto, sono rinchiusi nella gabbia d’acciaio dei regolamenti europei. Se questo scenario venisse ammesso in maniera esplicita, susciterebbe sconcerto. Con questa espressione fumosa, “sovranità condivisa”, si può far accettare una dura realtà, che probabilmente si sclerotizzerà fino a produrre ordinamenti nuovi, i quali sostituiranno completamente quelli vigenti.

All’origine della democrazia dei signori, lei colloca le pressioni che l’Ue opera sui propri Paesi membri. L’Italia, essendo membro fondatore, non può essere maltrattata come la Grecia: serve un autorevole intervento dall’interno e da molto in alto. Lei cita, come complice dell’istituzione della democrazia dei signori, la presidenza della Repubblica, nei casi Monti e Draghi.

I due presidenti, fra loro molto diversi come storia personale, cultura, provenienza politica, che si sono susseguiti nell’ultimo quindicennio, Napolitano e Mattarella, si sono trovati sotto una forte pressione alla quale hanno prestato assenso. Quando fu cacciato Berlusconi, reso pressoché indifendibile dai suoi errori, l’azione fu viziata dalla nota lettera di Draghi e Trichet. Monti fu nominato senatore a vita e, dopo poche ore, gli fu affidato il compito di comporre un governo. Napolitano ordinò a Bersani, allora segretario del Pd, di sostenere il governo Monti assieme all’avversario Forza Italia. Nacque un governo che, a ben vedere, fu la causa della fioritura del Movimento 5 Stelle, il quale catalizzò lo scontento di tutti coloro che erano rimasti sconcertati da queste manovre di palazzo. Conosciamo la storia successiva: le elezioni del 2018, il risultato apparentemente inconciliabile di tre blocchi che si equivalevano come peso elettorale. Poi i governi Conte e, infine, nel gennaio 2021, l’appello con il quale il presidente Mattarella superava i poteri e lo stile riservati al capo dello Stato. Se si legge l’articolo della Costituzione, che elenca i poteri e le prerogative della presidenza della Repubblica, quello di rivolgere un appello ai partiti perché formino un governo secondo i suoi desiderata non si trova. Giuseppe Conte era riuscito a ottenere un cospicuo aiuto economico dall’Europa, i famosi 209 miliardi di euro. Dall’Europa, però, non ci si fidava di un governo come quello allora vigente: si ritenne doveroso avere come gestore di questi aiuti un uomo di fiducia. L’ex presidente della Bce era l’uomo giusto. Sono cose arcinote: messe tutte in fila, delineano un quadro tutt’altro che rassicurante.

Lei pone la seguente domanda: «Il nostro Paese sta forse ricevendo un trattamento di favore in cambio della promozione di Draghi a presidente del Consiglio?». È così?

È una domanda che contiene in sé la risposta. Mario Monti, nel luglio 2020, scrisse sul Corriere della Sera che i soldi che arrivavano dall’Europa non andavano considerati come un dono. Si doveva passare attraverso una serie di controlli e vagli. È un caso che nel caso del Pnrr di Draghi questi passaggi siano stati fluidificati e le prime quote di aiuti siano già arrivate?

Considerata la debolezza del pensiero di Sinistra che abbiamo detto prima, che ne è dello Stato sociale dentro il Pnrr e cosa ne sarà quando i soldi dell’Europa per l’emergenza sanitaria finiranno? Sono problemi che lei affronta anche in un altro libro, che vorrei segnalare: Europa: gigante incatenato pubblicato da Dedalo.

Lo Stato sociale è un oggetto delicato: nacque in Europa come risposta del mondo occidentale al fenomeno della Rivoluzione comunista, che rappresentava un punto di attrazione molto forte per le masse lavoratrici. Lo Stato sociale era lo strumento per evitare la rivoluzione tout court. Oggi la situazione è cambiata per molte ragioni: i parametri di Maastricht hanno indotto una situazione in cui il precariato è un’alternativa di gran lunga preferibile al padronato. Lo Stato sociale, di fronte al dilagare del precariato, sembra un fossile. Lo Stato sociale, così come lo Statuto dei lavoratori, sono considerati affari d’altri tempi. Il potere contrattuale dei sindacati è ridotto perché non hanno alcuna sponda politica e lo stesso dicastero che si dovrebbe occupare di simili questioni è impotente.

Come si può ristabilire una sana conflittualità sociale, se sul suolo nazionale i partiti si amalgamano in un partito unico, e se sempre di più ci si riferisce a direttive extranazionali impossibili da contestare.

Non è facile rispondere. Io credo che una delle grandi difficoltà delle organizzazioni sindacali sia di avere un interlocutore solo apparente sul territorio nazionale, e un interlocutore vero e decisivo in una dimensione in cui nessuna trattativa è davvero possibile. Dal punto di vista della ripresa di una sana conflittualità sociale, la situazione è fra le peggiori. E credo che questo possa avere conseguenze profonde e di lunga durata: un ribellismo inconsulto, mera manifestazione di disperazione, e cinismo e repressione come risposta. Si dovrebbero mobilitare le energie di un profondo ripensamento degli ordinamenti europei. Lo stesso Draghi più volte ha lasciato intendere che, durando lui al governo, si porrà la condizione di rifondare l’Unione europea. Lo prendo sulla parola: chissà se ne avrà le risorse. D’altra parte il nuovo governo tedesco ha nella sua maggioranza una forza, i liberali, che spingono per proseguire sulla linea del rigore. Nella partita del rinnovamento così aperta le forze sociali organizzate, se ancora ce ne sono, devono far sentire la propria voce.

Le chiedo provocatoriamente: lei auspica un’uscita dell’Italia dell’Europa?

No! Io auspico una trasformazione radicale dell’Unione europea, la quale è nata male, tutta centrata sulla moneta unica e conservando la sudditanza dell’Unione alla Nato e agli Usa. L’Europa ha una forza economica notevolissima e un drammatico nanismo dal punto di vista politico e militare. Questa Unione europea, che unione non è, deve trasformarsi profondamente al proprio interno, magari partendo dall’abolizione dei pesanti debiti dei Paesi membri, come richiesto da David Sassoli. Se l’Unione europea vuole contare, deve divincolarsi da questa sudditanza rispetto agli Stati Uniti, per cui magari un domani ci ritroviamo a far la guerra alla Russia.

Come vede il ruolo dell’Europa nella crisi innescata dall’attacco russo all’Ucraina? Come si sta comportando e come dovrebbe operare, a suo avviso, per sottrarsi alla storica subordinazione rispetto a Usa e Nato?

Nessuno di noi conosce le segrete cose e nessuno può pretendere di fornire ricette definitive. E di tutta evidenza che le sanzioni fanno più male all’Europa che le infligge che non alla Russia, che eventualmente le subisce. Chi rimane totalmente indenne dalle sanzioni sono gli Stati Uniti d’America. L’attualità conferma la diagnosi di sudditanza dell’Europa, priva di una propria linea politica chiara e autonoma. L’Europa: un grande continente pieno di cultura, di risorse, di intelligenza, ma totalmente eteronomo, cioè tutt’altro che autonomo. Difficile rispondere alla domanda su come altrimenti dovrebbe comportarsi: le automobili non si riparano in corsa, ma da ferme; e ora la corsa è frenetica e si assiste solo a un “si salvi chi può”. Per tutelare l’Europa, sarebbe bene che la Germania mettesse in funzione il gasdotto, cosiddetto North Stream 2: un gasdotto che è stato costruito come alternativa a quello che attraversa l’Ucraina e che proprio ora ritroverebbe il proprio senso. Abbiamo voluto badare ai nostri interessi ai danni dell’Ucraina e ora fingiamo di piangerne le sorti e, per di più, blocchiamo quel gasdotto a danno di noi stessi. È una politica delirante.

 

 

#CasaLaterza: Livio Sansone dialoga con Guido Barbujani

Cesare Lombroso è stato senza dubbio uno degli intellettuali italiani che hanno esercitato maggiore influenza sulle politiche sociali in tutto il mondo. A che cosa fu dovuta la fortuna delle sue idee, e che impatto ebbero fuori dai confini italiani?

Livio Sansone ne ha parlato per Casa Laterza a partire dal suo libro La galassia Lombroso, in dialogo con Guido Barbujani, genetista e scrittore.

 

Mystery Train: appuntamento a Roma

Un nuovo appuntamento per una lezione di storia in musica e un viaggio nell’immaginario americano, insieme ad Alessandro Portelli, Gabriele Amalfitano, Margherita Laterza e Matteo Portelli.

Questa volta il nostro Mystery train fa tappa a Roma, al Teatro Vascello, martedì 31 maggio alle 21.00.

Per prenotazioni e informazioni:

promozioneteatrovascello@gmail.com | 06 5881021 – 06 5898031 | www.teatrovascello.it | Acquisto biglietti online

 

Cos’ha significato il treno per un paese come l’America? La modernità è penetrata in un mondo rurale attraverso i binari, cambiando per sempre il paesaggio naturale come quello antropologico. Da oggettivazione del moderno e dell’accelerazione che lo contraddistingueva, la ferrovia è oggi diventata rottame, residuo, reperto di un mondo scomparso. Mystery Train. Un viaggio nell’immaginario americano ripercorre il rapporto dell’America con il treno, tra racconti, poesie e canzoni.

Un’attrice, Margherita Laterza, due musicisti, Matteo Portelli e Gabriele Amalfitano, e un americanista, Alessandro Portelli, mettono in scena questa originale e particolarissima Lezione di Storia, convocando, tra gli altri, Hawthorne e Dickinson, Woody Guthrie e Bruce Springsteen, Elvis Presley e Johnny Cash.

Qui un trailer:

 

 

Francesco Rutelli racconta “Roma, camminando”

Esplorare Roma camminando, per conoscerla sul serio. Scopriremo così la città che non illude, né delude mai. Allora partiamo da dove tutto è cominciato. Dal Tevere. E iniziamo a camminare. Ecco che quegli stessi luoghi che percorriamo distrattamente ci mostreranno un volto diverso e nuovo.

Ad accompagnarci una guida speciale con cui risaliremo 28 secoli attraverso 18 itinerari sorprendenti.

Francesco Rutelli racconta il suo ultimo libro, Roma, camminando.

 

Il libro:

RADAR | Un podcast originale degli Editori Laterza

Viviamo in un’epoca di sovra-informazione, siamo bombardati da continue notifiche, dati, cifre, titoli… quello che sembra mancare è il tempo di rimettere tutti questi elementi in un contesto più generale, ‘unire i puntini’ e provare a capire il prima e il dopo, la dimensione meno istantanea dei grandi temi del nostro tempo: l’informazione, i diritti, il clima, l’economia… Radar vuole essere questo: uno spazio di approfondimento che, captando nell’attualità i segnali più urgenti, va in profondità, rimette ordine e prova a orientarci.
Ogni settimana, in conversazione con un esperto. Radar è un podcast originale degli Editori Laterza, condotto da Giuseppe Laterza e ideato, scritto e prodotto dagli Editori Laterza. Postproduzione e musica originale a cura di Matteo Portelli, con la partecipazione di Piero Lanzellotti.

Radar  è disponibile su:
Spotify | Spreaker | Deezer | Podcast Addict

[Ep.1] L’informazione in tempo di guerra, con Giorgio Zanchini

La guerra fra Russia e Ucraina – come altre guerre in precedenza e come ancora di più ha fatto la pandemia da Covid 19 – ha sbaragliato la gerarchia delle notizie su tutti i media, italiani e non, occupando uno spazio assolutamente preponderante sui notiziari radio e tv, sui feed social, nei talk show televisivi e in tutti gli altri spazi d’informazione. Il rischio è di venire travolti da questa marea di informazioni, spesso scioccanti, magari di assuefarsi o al contrario di decidere di ‘spegnere tutto’. Questa settimana, quindi, ci chiediamo: quale deve essere il ruolo dell’informazione in tempi di guerra?
Ad accompagnarci in questo episodio abbiamo invitato Giorgio Zanchini, giornalista della Rai che ha condotto rubriche radiofoniche e televisive di grande successo come Radio anch’io e Quante storie e che da anni studia il giornalismo. Per la casa editrice Laterza è autore di La cultura orizzontale insieme a Giovanni Solimine (2020) e ha scritto uno dei saggi che compongono Il mondo dopo la fine del mondo (2020).
A questo episodio hanno contribuito Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale, e Marina Lalovic, giornalista di Rainews24.

Per garantire l’accessibilità del podcast, seguendo questo link potete trovare la trascrizione integrale dell’episodio.

 

[Ep.2] Il fascino del nazionalismo, con Alberto Mario Banti

La guerra in Ucraina ha riproposto in maniera drammatica la questione nazionale. Putin rivendica l’esistenza di un ‘mondo russo’ – il Russkij Mir che comprende i paesi in cui si parla russo, tra cui l’Ucraina, o almeno la sua parte orientale, mentre l’Ucraina difende la propria autonomia in quanto nazione.

Ma in realtà negli ultimi decenni la nazione come forma politica e ancor prima come costruzione culturale e ideologica è tornata prepotentemente al centro della scena.
Da un lato in tutto il mondo si sono affermati leader che hanno fatto del sentimento nazionale il centro del proprio discorso politico, da Orban a Trump, dall’altro sono cresciuti i movimenti cosiddetti ‘sovranisti’ che contestano la riduzione dell’autonomia nazionale da parte di forme istituzionali ed economiche ‘globali’.
Ma in che cosa consiste esattamente il nazionalismo del XXI secolo? Come funziona il discorso nazionalista e perché continua ad affascinare e riscuotere così tanto successo fino ai nostri giorni?

Ne abbiamo parlato con lo storico Alberto Mario Banti, che insegna Storia Contemporanea all’Università di Pisa, autore di libri importanti sul nazionalismo come La nazione del Risorgimento (Einaudi, 2000) e Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo (Laterza, 2011).

Per garantire l’accessibilità del podcast, seguendo questo link potete trovare la trascrizione integrale dell’episodio.

 

[Ep.3] Lettori e no, con Marino Sinibaldi

I dati del mercato editoriale nei primi quattro mesi del 2022 sono negativi: secondo l’Associazione Italiana Editori, la cosiddetta ‘varia’ – cioè romanzi e saggi venduti nelle librerie fisiche e online – è in flessione del 3,7% a valore e 2,5 % nel numero di copie. Un dato che preoccupa, ma che va letto in controluce con quello con cui si confronta, relativo al primo trimestre dell’anno scorso in cui il mercato aveva registrato una crescita significativa. Dunque un avvio dell’anno difficile che segue però un anno molto positivo, anzi un biennio, quello della pandemia di COVID 19, in cui – a differenza di tutti gli altri settori – il mercato del libro non ha subito flessioni, anzi è cresciuto del 19%.

Una situazione tutta da comprendere, con alcuni dati certi e molte cose ancora da spiegare, soprattutto nel rapporto tra il mercato e la lettura. Che cosa è accaduto a chi legge negli ultimi anni? Le abitudini sono cambiate? L’Italia ha perso o guadagnato nuovi lettori?

Lo abbiamo chiesto a Marino Sinibaldi, presidente del Centro per il libro e la promozione della lettura, già direttore di Rai Radio 3, col quale abbiamo anche parlato di com’è cambiato il nostro rapporto con la lettura e di come il libro sia rimasto un alleato fondamentale per lo sviluppo sociale e civile di un paese e di ciascun individuo.

 

[Ep.4] Globalizzazione addio?, con Innocenzo Cipolletta

Mentre il mondo – almeno quello occidentale – stava faticosamente riemergendo dalla crisi della pandemia, e mentre nel corso del 2022 noi europei pensavamo di riprendere il sentiero della crescita, il 24 febbraio scorso la Russia ha invaso l’Ucraina. Dopo poche settimane è risultato chiaro che non si trattava di una guerra lampo, ma di un conflitto protratto nel tempo, con enormi costi umani e materiali. Costi per l’Ucraina in primo luogo, ma anche per il mondo intero. Stiamo assistendo alla fine della globalizzazione, che prometteva di far cessare le guerre in nome dei vantaggi offerti dalla rete mondiale dei commerci?

A ragionare su questo abbiamo invitato Innocenzo Cipolletta, economista e manager, per molti anni direttore di Confindustria, poi al vertice di aziende importanti tra cui Ferrovie dello Stato e Marzotto, oggi presidente di FeBAF e di AIFI, oltre che di Confindustria Cultura Italia. Tra i libri pubblicati con Laterza, Banchieri, politici e militari. Passato e futuro delle crisi globali (2014) e In Italia paghiamo troppe tasse. Falso! (2014). L’ultimo, nel 2021, è La nuova normalità. Istruzioni per un futuro migliore.

 

 

[Ep.5] Energia, fra guerra e cooperazione, con Valeria Termini

Quando il 24 febbraio le truppe russe hanno invaso l’Ucraina, il tema dell’energia è entrato nelle notizie e nelle vite di tutti e ha colto molti di noi impreparati. La dipendenza dell’Europa e in particolare modo dell’Italia dal gas russo ha risvolti economici e politici, ci mette di fronte a delle scelte, spesso a degli ostacoli, e richiede di fare chiarezza sulla situazione in cui ci troviamo.

Questa settimana, ad accompagnarci in questo tentativo di orientamento abbiamo Valeria Termini, professore ordinario di Economia politica all’Università Roma Tre, già commissario dell’Autorità per l’Energia e vicepresidente del Consiglio dei Regolatori Europei dell’Energia (CEER), insignita negli Stati Uniti dell’International Public Administration Award.
È autrice per gli Editori Laterza di Energia. La grande trasformazione, pubblicato nel 2020.

A questo episodio ha collaborato Stella Levantesi, giornalista e autrice per Laterza de I bugiardi del clima.

 

[Ep.6] Se mi offendi ti cancello, con Alessandro Portelli

Da qualche tempo anche in Italia si parla di cancel culture, un fenomeno che da molti anni caratterizza la scena culturale americana.
Sulla definizione di questa espressione c’è molto dibattito, ma oggi si intende comunemente l’idea che vadano esclusi dall’arena pubblica personaggi che si esprimono offendendo la sensibilità di minoranze. Questo fenomeno colpisce opere del passato, come monumenti, ma anche film e libri, che secondo alcuni andrebbero cancellati o ridimensionati quando contengono messaggi razzisti, o se in generale esprimono contenuti e simboli violenti e discriminatori.

Ne abbiamo parlato con Alessandro Portelli, uno dei maggiori storici della cultura americana: con Donzelli ha pubblicato due libri dedicati a Bruce Springsteen e Bob Dylan. Con Laterza ha realizzato un podcast e uno spettacolo intitolati Mystery Train, dedicati al mito del treno nella cultura americana. Alle questioni di cui parleremo oggi ha dedicato una sezione del libro Il ginocchio sul collo. L’America, il razzismo, la violenza tra presente, storia e immaginari.

Interviene anche la giornalista del Corriere della Sera Costanza Rizzacasa d’Orsogna, autrice per Laterza di Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana.

Il tempo è sovrano

Massimiliano Panarari | La Stampa | 16 febbraio 2022

Tempus fugit, si sa. Un’ulteriore ragione per cercare di dominarlo se si sta nella stanza dei bottoni. La «variabile tempo» ha identificato uno degli elementi strutturali della modernità sotto la forma della freccia lineare del progresso. Ha impresso un’accelerazione esponenziale — sebbene, in questo caso, decisamente non lineare — alle nostre esistenze immerse nella condizione postmoderna. E costituisce una componente fondamentale della finanza, una delle potenze che orientano maggiormente il Villaggio globale contemporaneo. E, dunque, il potere ha molto a che fare anche con il controllo del tempo e con quello che lo storico dell’antichità François Hartog ha definito il «regime di storicità», ovvero la modalità con cui una società si riferisce al proprio passato e ne discute. Ne I tempi del potere (trad. di David Scaffei; Laterza), un grande della storiografia, Christopher Clark (Regius Professor di Storia all’Università di Cambridge), prende le mosse proprio da questa categoria per mettere in comparazione alcune letture del tempo storico calate dal potere di turno sulla società. Con la finalità di evidenziare, una volta di più, come il tempo non coincida con una sostanza neutrale e universale, riconosciuta in maniera equivalente da tutti i consessi sociali, ma corrisponda all’esito di una costruzione (naturalmente contingente). Di qui, la percezione di taluni «segmenti del passato» come più vicini al presente rispetto ad altri avvertiti, invece, come più distanti e remoti. Come ricorda Clark, nel corso dell’ultimo ventennio si è prodotta una «svolta temporale» nell’ambito degli studi storici e delle scienze umane riconducibile soprattutto al lascito della scuola delle Annales che, a sua volta, risultava debitrice sotto questo profilo di una serie di riflessioni intorno al tempo di Durkheim, Halbwachs (l’autore, nel 1925, de I quadri sociali della memoria), Bergson e Heidegger.

Mentre lo storico tedesco Reinhart Koselleck, con la sua «semantica dei tempi storici», compì l’operazione di «storicizzare la temporalità», indicando una «epoca crinale» (grosso modo il secolo compreso tra il 1750 e il 1850). Un periodo durante il quale la coscienza storica degli europei visse un mutamento profondo con la progressiva scomparsa dell’autorità della tradizione e il definirsi di un’idea di storia quale successione di eventi di trasformazione irreversibili, sotto l’impulso dei processi orientati da nuove categorie (progresso, rivoluzione, classe e Stato).

Clark sottolinea come storicità e temporalità non siano concetti coincidenti, per quanto strettamente imparentati, e impiega così il secondo nell’accezione del «senso intuitivo che un attore politico ha della composizione strutturale del tempo di cui si fa esperienza». Con le relative domande che lo storico deve farsi sulla visione del tempo come flusso di «momenti» nei quali inserire l’azione (e l’agenda) politica, l’approccio rispetto all’eredità del passato, l’idea del presente in termini di mutamento o staticità. In questo libro (magistrale), lo studioso mette tali interrogativi alla prova di quattro concezioni della storia espresse dalla politica dell’Europa di lingua tedesca nel corso degli ultimi quattro secoli. Un’area geografica e culturale particolarmente interessante da analizzare poiché si tratta di quella che, dalla metà del XVII secolo in avanti, visse le fratture politiche più numerose e radicali. Quattro scenari e teatri in cui il potere si mise, quindi, a codificare le coordinate della temporalità. Il primo è quello, al termine della Guerra dei trent’anni (1618-1648), della lotta tra il Grande elettore Federico Guglielmo di Brandeburgo-Prussia e i suoi stati provinciali.

Di fronte alle richieste di finanziamenti e reclutamento di soldati fatta dal sovrano nel 1657, in occasione della Guerra del Nord, le élite locali risposero di sentirsi estranee a una campagna bellica che non le riguardava (come se il Grande elettore rimanesse per loro sostanzialmente uno straniero). E ribadirono i loro privilegi ereditari, invocando a tutela delle proprie prerogative la continuità col passato. Un conflitto nel quale vennero messe in campo e si scontrarono, pertanto, forme di temporalità assai diverse, destinate a esercitare un influsso significativo anche sulla nascente storiografia prussiana. Il presente dello «spirito dei tempi» del regno di Federico Guglielmo si presentò come il confine, labile, tra un passato drammatico che non voleva passare e un futuro non dato per acquisito, per la cui conquista il principe voleva appunto emancipare lo Stato dai lacci e lacciuoli della tradizione. Il secondo teatro del tempo analizzato da Clark è quello settecentesco del bisnipote di quel Grande elettore: Federico II, il solo re prussiano che si sia dedicato in prima persona a studi storici, il quale scelse deliberatamente di abbandonare il modello temporale conflittuale dell’antenato. Optando per una formula di stasi post vestfaliana, un paradigma di temporalità neoclassica, perenne e inalterabile, fondato su un’idea di ricorrenza ciclica, e dove lo Stato non rappresentava più il motore del cambiamento storico. Al centro del terzo quadro scandagliato da Clark c’è la concezione della temporalità dell’architetto dell’Impero tedesco, il cancelliere di ferro Otto von Bismarck, che viveva la scissione fra l’idea della perennità dello Stato (senza il quale nella storia avrebbero prevalso il caos e l’anarchia, come nel caso dello spettro delle rivoluzioni del 1848) e l’inevitabile mutamento della vita pubblica a cui la politica doveva comunque corrispondere. Nella visione dello statista prussiano la storia costituisce una sequenza complessa di avvenimenti sempre proiettata in avanti, che crolla insieme allo Stato imperiale dopo la catastrofe della Prima guerra mondiale. Spianando la strada al terribile esperimento della «storicità di regime» del Terzo Reich, fondata su un’artefatta e indissolubile identità di presente, passato remoto e ipotetico futuro inarrestabile. E decifrare le visioni di temporalità dei poteri del passato può essere un viatico per comprendere anche le manipolazioni politiche di oggi.

Visioni del futuro: le Lezioni di Storia a Milano

Lezioni di Storia

VISIONI DEL FUTURO

Basilica di Santa Maria delle Grazie, Milano
4 – 25 maggio 2022

Può sembrare strano parlare di “futuro” in un ciclo di Lezioni di Storia, naturalmente orientato alla lettura del passato. Ma, a ben vedere, il tema del futuro ha sempre agitato l’animo umano dalla notte dei tempi. In particolare l’uomo ha sempre cercato di immaginarsi il domani. Lo ha fatto con un misto di speranza e paura, liberando la sua fantasia con racconti, utopie e progetti. Tracce di queste idee del futuro si trovano nelle più diverse opere dell’uomo: dalle tragedie antiche ai romanzi, dalle opere filosofiche ai manifesti politici.
Quattro grandi storici italiani ripercorreranno la storia del futuro nei passaggi che hanno costruito la nostra cultura.
Un futuro che nella storia è stato più volte “inventato” e nelle più varie forme. Karl Popper – in dialogo con Konrad Lorenz – negò che il futuro fosse già scritto e sostenne che nella realtà il futuro è sempre “molto aperto”. Perché il futuro «dipende da ciò che facciamo e faremo, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte».

 

PROGRAMMA

MERCOLEDÌ 4 MAGGIO 2022 – ORE 21:00
Eva Cantarella – Il mondo antico. Prometeo, Antigone e la tecnica
Nelle loro opere teatrali Eschilo e Sofocle mettono in scena le contraddizioni del progresso attraverso l’uso del fuoco e delle altre tecniche. Questioni su cui riflettere ancora oggi, in un mondo in cui la scienza e la tecnica sono arrivate a mettere in discussione i confini tra la vita e la morte e la sopravvivenza stessa del pianeta.
Eva Cantarella ha insegnato Istituzioni di Diritto romano e Diritto greco antico all’Università Statale di Milano.

MERCOLEDÌ 11 MAGGIO 2022 – ORE 21:00
Amedeo Feniello – Il mondo medievale. Boccaccio e la natura
Nelle prime pagine del Decamerone la natura appare impazzita, presa nella morsa del terribile contagio della peste nera. Male cui porre rimedio attraverso la resistenza umana, la capacità di adattamento di ciascuno; entrambe chiavi di lettura del poema stesso ed emblemi di un’epoca che, dopo la catastrofe, seppe rinnovarsi a fondo e aprirsi verso un futuro nuovo.
Amedeo Feniello insegna Storia medievale al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila.

MERCOLEDÌ 18 MAGGIO 2022 – ORE 21:00
Antonio Forcellino – Il mondo moderno. Leonardo e lo spazio.
Leonardo da Vinci esplorò tutte le possibili declinazioni dello spazio: dalla prospettiva dell’Adorazione dei Magi, agli studi sul volo, dalle macchie sulla luna alla luce riflessa dagli oceani sulla superficie del satellite. Nel mezzo la percezione dello spazio come “materia” attraverso la misurazione del vento che muove le foglie e della luce che dirada la sua “doppiezza” a seconda dell’altezza sul suolo.
Antonio Forcellino, storico, scrittore e restauratore.

MERCOLEDÌ 25 MAGGIO 2022 – ORE 21:00
Simona Colarizi – Il mondo contemporaneo. Capitol Hill e la democrazia
L’assalto a Capitol Hill – il Parlamento, cuore della democrazia americana – del 6 gennaio 2021 ha lasciato il mondo con il fiato sospeso. La storia del Novecento ci può aiutare a capire se siamo alla fine di un’epoca o se esiste ancora un futuro – e quale – per la democrazia.
Simona Colarizi è professoressa emerita di Storia contemporanea all’Università di Roma «La Sapienza».

 

Ingresso libero fino a esaurimento posti.