Cinquant’anni dopo Peteano

‘Il presidente dell’ufficio istruzione mi disse: “Come primo fascicolo prendi questo. Guarda: roba vecchia di dieci anni, la puoi chiudere subito”. Io in realtà ero ancora formalmente uditore e sbirciai la copertina del mio primo fascicolo come aspirante giudice istruttore. C’era scritto “Peteano”.’

Felice Casson, Venezia, aprile 2021; intervista a cura di Ugo Dinello.

Ugo Dinello, La via delle armi

 

 

Una pietra massiccia alta grosso modo un metro, circondata da basse aiuole, riporta questa scritta: «Qui addì 31 maggio 1972 alle ore 23.15 mano omicida in vile attentato spegneva tre giovani vite». Poi i nomi: «brigadiere Antonio Ferraro – carabiniere Donato Poveromo – carabiniere Franco Dongiovanni». E infine: «La cittadinanza di Sagrado ad imperituro ricordo – ottobre 1972». […] Riparti con una strana sensazione: perché davvero non ti capaciti di come qualcuno possa avere pensato e realizzato una strage qui, non in una banca o in una piazza di una città, o su un treno, bensì alla periferia di tutto, di notte in una stradina sterrata nascosta dalla vegetazione, lungo una provinciale che corre tra un fiume e una ferrovia, nell’estremo nord-est d’Italia a una dozzina di chilometri dal confine oggi sloveno e allora jugoslavo. E sarà anche per tutto questo che il sangue di quei tre giovani carabinieri è sempre passato in secondo piano rispetto a quello di tante altre vittime degli anni di piombo. Ma anche perché, di tutte le stragi del terrorismo neofascista, questa è l’unica per la quale esiste un reo confesso: Vincenzo Vinciguerra. […] Sono trascorsi cinquant’anni da quando tutto iniziò, un’ora dopo il termine della finale di Coppa dei Campioni a Rotterdam in cui l’Inter di Invernizzi si arrese all’Ajax e alla doppietta di Johan Cruijff. E sarà pure ormai storia del secolo scorso, ma ancora oggi a ripercorrerla non ci si crede.

Paolo Morando, L’ergastolano