Achille Mbembe, “Nanorazzismo”

Il corpo notturno della democrazia

 

Achille Mbembe, considerato uno dei più importanti teorici politici viventi, denuncia senza concessioni il male oscuro del nostro tempo. 

Insopprimibili, il desiderio di avere un nemico, il desiderio di apartheid e la fantasia di sterminio formano la linea del fuoco, la prova decisiva dell’inizio di questo secolo. Vettori principali della decerebrazione contemporanea, costringono i regimi democratici, in ogni luogo, ad avere l’alito pesante e a vivere, in un astioso delirio, esistenze da ubriachi. Sono strutture psicologiche diffuse e allo stesso tempo forze generiche e animate da passioni, che segnano con la loro impronta il tono dominante dei sentimenti del nostro tempo e inaspriscono molte lotte e mobilitazioni contemporanee. Lotte e mobilitazioni che si nutrono di una visione minacciosa e ansiogena del mondo, che assegna la priorità alle logiche del sospetto, a tutto ciò che è segreto e che rientra nell’ambito del complotto e dell’occulto. Spinte fino alle estreme conseguenze, esse sfociano quasi inesorabilmente nel desiderio di distruggere – il sangue versato, il sangue fatto legge, in un’esplicita continuità con la lex talionis (la legge del taglione) dell’Antico Testamento.

In questo periodo depressivo della vita psicologica delle nazioni il bisogno di un nemico, ovvero la pulsione a trovarsi un nemico, non è più soltanto un bisogno sociale. È l’equivalente di un bisogno quasi anale di ontologia. Nel contesto di rivalità mimetica esacerbata dalla “guerra contro il terrore”, disporre del proprio nemico – preferibilmente in modo spettacolarizzato – è diventato il passaggio obbligato nella costituzione del soggetto e per l’accesso all’ordine simbolico del nostro tempo. Del resto il tutto avviene come se la negazione di un nemico fosse vissuta in sé come una profonda ferita narcisistica. Essere privato del nemico – o non aver subito attentati o altre azioni sanguinose fomentate da chi odia noi e il nostro stile di vita – equivale a essere privati di quel genere di relazione di odio che autorizza la possibilità di esprimere tutti quei desideri che sarebbero altrimenti interdetti. Significa essere privati del demone senza il quale non tutto è permesso, proprio quando l’epoca sembra chiamare con urgenza alla licenza assoluta, allo sfogo e alla disinibizione generalizzati. Significa anche vivere la frustrazione rispetto alla compulsione di farsi paura, alla propria facoltà di demonizzare, al tipo di piacere e di soddisfazione che si vivono quando il presunto nemico viene eliminato da forze speciali o quando, catturato vivo, viene sottoposto a interminabili interrogatori e torture in qualcuno dei luoghi di segregazione che contaminano il nostro pianeta.

Siamo dunque in un’epoca eminentemente politica, perché l’elemento essenziale del politico, almeno se dobbiamo dare retta a Carl Schmitt, sarebbe la discriminazione tra l’amico e il nemico. Nel mondo di Schmitt, diventato il nostro, il concetto di nemico dovrebbe essere inteso nella sua accezione concreta ed esistenziale e non come una metafora o un’astrazione vuota e priva di vita. Il nemico di cui parla Schmitt non è né un semplice concorrente o un avversario, né un rivale privato che si possa odiare o per il quale si provi antipatia. Rimanda a un antagonismo estremo. È, nel corpo e nella carne, colui del quale è possibile provocare la morte fisica perché nega, in modo esistenziale, il nostro essere.

Discriminare l’amico dal nemico, certo, ma è anche necessario che il nemico sia identificato con sicurezza. Questa sconcertante figura dell’ubiquità è ora tanto più pericolosa in quanto si trova dappertutto: senza volto, senza nome e senza luogo. O se un volto ce l’ha, può essere solo un volto velato, un simulacro di volto. E se possiede un nome, non può che essere uno pseudonimo – un nome falso la cui funzione principale è la dissimulazione. Mentre procede ora mascherato ora no, è in mezzo a noi, intorno a noi, perfino in noi, capace di spuntare in pieno giorno come a notte fonda, e ad ogni apparizione minaccia di annichilire il nostro stesso modo di esistere.

 

Achille Mbembe, Nanorazzismo. Il corpo notturno della democrazia

 

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Nanorazzismo