Introduzione

Queste pagine sono un tributo del mio eterno e profondo affetto per le navi, i marinai, i venti e il mare aperto – forgiatori della mia giovinezza, compagni dei migliori anni della mia vita¹.

Joseph Conrad è uno scrittore del tutto singolare nella storia della letteratura mondiale, per vicende personali, stile e idee. Nato in Ucraina, in una famiglia della piccola nobiltà polacca, impara sin da bambino il francese, ma solo da adulto l’inglese, divenendone uno dei maggiori scrittori. Innamorato della cultura letteraria, civile e politica anglosassone, sentirà sempre una profonda avversione per gli autoritarismi, specie quelli di origine tedesca e russa. Di idee politiche liberalconservatrici, credeva molto nel sistema parlamentare e nel rispetto delle libertà individuali di marca britannica. Provò tuttavia forti sentimenti di amicizia e di stima per uomini di cultura liberalprogressista come il politico Robert Bontine Cunninghame Graham e il filosofo Bertrand Russell.

Conrad non è l’unico autore che per necessità, amore, idee politiche, o altro, trasmigra in quello che diventerà il luogo ideale per divenire scrittore, scegliendone anche la lingua; si pensi al russo Iosif Aleksandrovi Brodskij e al ceco Milan Kundera, emigrati rispettivamente negli Stati Uniti e in Francia, che hanno fatto propria la lingua della patria adottiva. Secondo Il critico letterario Edward W. Said, però, il caso Conrad è del tutto particolare: «La sua esperienza, sia come uomo che come scrittore, è unica nella letteratura inglese: nessun espatrio fu tanto completo o complesso come il suo, nessuna produzione artistica fu altrettanto profondamente strana e creativa»².

Nel suo caso, alla capacità di mutare idioma e nazionalità, si deve aggiungere quella di cambiare mestiere a metà della propria vita, passando da comandante della Marina mercantile a prolifico autore di romanzi e racconti. Aveva perso troppo presto la propria famiglia e il proprio Paese a causa dell’oppressivo regime zarista, cercando un posto nel mondo dove sentirsi libero, compreso e rispettato. Per molti anni quel luogo è stato il mare, ma i lunghi viaggi andata e ritorno sulle rotte oceaniche o tra le isole dell’arcipelago malese lo avevano affascinato sino alla conquista del grado di comandante, non oltre. Raggiunto l’obiettivo, il peregrinare da un porto all’altro, tra partenze e ritorni, aveva finito per perdere la sua magia. L’esplorazione di Paesi ignoti – sognata da bambino ammirando gli spazi ancora bianchi delle mappe – lo aveva profondamente deluso; il navigare, alla fine, non poteva più essere lo scopo e la destinazione finale della propria vita. All’interno del continente africano, invece di scoprire mondi nuovi aveva visto gli orrori del colonialismo, e aveva rischiato di perdere tutto. Voleva divenire uno scrittore, e decise di farlo nella lingua che sentiva più vicino alla propria idea di libertà e di civiltà. Vivere in Inghilterra non sarà facile: le sue opere, pur apprezzate dai critici, per molti anni non otterranno un successo di pubblico tale da garantire un’esistenza serena a lui e alla sua famiglia, ma quella nazione non lo deluderà mai. Non si pentirà di averla scelta per scrivere e per vivere, usque ad finem. «È ovvio che non padroneggio la lingua inglese in maniera eccezionale; ma non è una ragione per dubitare della mia sincerità quando dico che essa ha posseduto e perfino foggiato i miei pensieri. Da un punto di vista idiomatico non sbaglio mai, ed è assolutamente vero che se non avessi scritto in inglese non avrei scritto affatto»³.

In realtà, non diventerà mai un vero inglese, sia nel profondo dell’animo sia esteriormente, stante le difficoltà mai risolte con l’accento britannico. Sa di essere un polacco, è fiero di esserlo: soffre per la sua patria stritolata tra i due grandi Stati autoritari, la Russia e la Germania. Lo feriscono le critiche di alcuni intellettuali polacchi, riguardo il suo abbandono della Polonia, sino ad acquisire la cittadinanza inglese e pubblicare libri in lingua inglese. E d’altra parte, l’offendono i distinguo di alcuni critici inglesi sul suo lessico, che tradirebbe risonanze francesi, e lo spirito straniero, addirittura slavo, che affiorerebbe in alcune opere. Il suo amore per le radici polacche e per la patria adottiva è sempre mitigato dall’ironia e dalla ragione. Non è mai stato un nazionalista polacco, e non sarà mai un apologeta dell’Impero britannico. La vera profonda aspirazione di Conrad è qualcosa di diverso: appartenere eticamente all’Europa occidentale, alla cultura e al rispetto dei diritti individuali del vecchio continente, lontano da ogni fanatismo e oscurantismo. In una lettera del 30 gennaio 1902 a Sydney Southgate Pawling, associato dello studio del suo editore, ribadirà con forza e orgoglio che il suo point of view e il suo outlook on life sono inglesi, che non è un foreign devil⁴.

La stessa scelta linguistica non ha particolari motivazioni. Nelle lettere utilizza l’inglese ma molto spesso anche il francese, a volte anche parole italiane. Avrebbe ben potuto vivere e lavorare in Francia, se fosse dipeso da lui, ma le leggi francesi sulla cittadinanza e sugli ingaggi nella Marina mercantile si erano rivelate insuperabili; ben più agevole era prestare servizio sulle navi britanniche, una flotta immensa allora, e quanto mai bisognosa di marinai e ufficiali. E dopo oltre quindici anni di navigazione su velieri e piroscafi anglosassoni, decide di scrivere romanzi e racconti in inglese perché gli sembra più semplice e maneggevole del francese dal punto di vista grammaticale. Nel 1907 però, nonostante gli anni di vita e di lavoro trascorsi in Inghilterra, scriverà a Marguerite Poradowska – una lontana parente con cui ha intessuto un legame profondo – che «l’inglese, per me, è tuttora una lingua straniera che richiede uno sforzo immenso»⁵.

Riguardo l’inglese di Conrad appare efficace la definizione che ne dà Italo Calvino in un’intervista del 1981, mentre lo pone a confronto con Robert Louis Stevenson:

Ho sempre oscillato fra due scrittori della stessa epoca, diversissimi, anche se con elementi comuni: Stevenson e Conrad. Stevenson: la leggerezza, questo stile trasparente, e questa costruzione lineare. Conrad, invece, un forte interesse umano, che gira intorno a un personaggio e a una situazione fino a che non ne ha esplorato tutte le zone oscure, la profondità. Conrad scriveva un inglese addirittura sontuoso, un inglese iperletterario, un inglese stranamente pieno di parole di origine latina. Lui diceva che la prima lingua della sua vocazione letteraria era il francese, che anzi nella sua ossessione per la parola giusta cercava prima la parola francese e poi quella inglese. Io non so se è vero perché poi quando scrive qualche frase in francese nei suoi romanzi non è un gran francese. Il suo amore per la lingua inglese lo porta a creare una lingua lussureggiante come quella di pochi scrittori anglosassoni. [...] un linguaggio nobile e ricco, fortemente poetico⁶.

Per raccontare Conrad è inevitabile partire dal mare. Nei suoi capolavori, da romanzi come Lord Jim e Tifone, a racconti come Il compagno segreto e La linea d’ombra, il mare è il protagonista indiscusso, e Cuore di tenebra, ambientato in buona parte sul fiume Congo, inizia sul ponte di un piccolo veliero e tra uomini di mare. Oltre che nella narrativa, anche nella saggistica domina il mare; spicca la qualità letteraria di Lo specchio del mare che per il nitore, la compattezza e la sobrietà nell’utilizzo degli aggettivi meriterebbe una maggiore conoscenza.

Sebbene io sia stato spesso definito uno scrittore di mare, ho sempre sentito dire di non essermi specializzato né in questo né in alcun altro argomento specifico. È vero che sul mare ho trovato una piena esperienza di vita molto prima che pensassi a scrivere un rigo, e sentissi la più debole spinta ad esprimere la mia personalità attraverso la parola stampata. La vita del mare era stata la mia vita. Era stato il mio bene che mi bastava e mi appagava. Quando cambiò lo spirito del mio sogno quel passato, per la stessa intensità del mio lavoro, divenne una delle sorgenti di ciò che posso chiamare, in mancanza di un termine migliore, la mia ispirazione [...]. In realtà, del mare ho scritto pochissimo, se si contassero le pagine. È stato lo sfondo, ma raramente lo scopo, dei miei tentativi, dopo tutti questi anni è troppo tardi per cercare di dissimulare la verità; perciò confesso che quando varai i miei primi bastimenti di carta nei giorni della mia infanzia letteraria miravo a un elemento altrettanto inquieto e pericoloso e mutevole del mare, anzi più vasto – l’implacabile oceano della vita umana⁷.

Joseph Conrad sembra prendere le distanze dalla fama di scrittore di mare, ritenendola riduttiva; non vuole essere un mero epigono di Defoe, Melville, Stevenson e Kipling, è convinto di essere un autore completo e versatile. In effetti, nella storia della letteratura, il mare, le navi, le isole, le ambientazioni geografiche o le contingenze atmosferiche sono spesso un pretesto, un grande e intenso alibi scenografico dove collocare le sensazioni e le sfaccettature dell’animo umano. Emozioni e profondità dello spirito che Conrad ambienta tra tempeste e bonacce, vele gonfie di vento e onde spumeggianti, perché erano elementi naturali e situazioni che ben conosceva e amava, ma anche perché il mare è un vero e proprio teatro tragico dai connotati classici, dall’Ulisse di Omero all’amatissimo Shakespeare, un luogo della memoria e al tempo stesso una palestra di creazioni narrative, di fluenti descrizioni e di profonde riflessioni, mai definitive, ricche di possibilità interpretative. La passione per il mare e per le navi è un elemento imprescindibile della sua vita e della sua opera; nel suo messaggio ai lettori americani, in occasione della ristampa negli States di The Nigger of “Narcissus”, Conrad riaffermerà il suo debito di riconoscenza: «Queste pagine sono un tributo del mio eterno e profondo affetto per le navi, i marinai, i venti e il mare aperto – formatori della mia giovinezza, compagni dei migliori anni della mia vita».

Italo Calvino, nella tesi di laurea che dedicò a Joseph Conrad, nell’anno accademico 1946-47, annota: «Ma di mare, nell’esame particolareggiato della sua opera che ci accingiamo a compiere, dovremo attraversarne molto e di quello geografico, che non risparmierà le coste più lontane, e disparate, e di quello morale, che ci darà le illuminazioni di verità umane più profonde»⁸.

Conrad da ragazzino sogna mari lontani e terre da esplorare, da giovane uomo solca per quindici anni tutti gli oceani della terra, da adulto, perseguitato dalla gotta e da altri problemi fisici, non può non ripensare con passione e malcelato rimpianto a quei sogni e a una perizia marinara conquistata con fatica e tenacia.

Il tema della distinzione tra narratore – che racconta vicende vissute o conosciute – e romanziere – che costruisce con la fantasia le sue storie –, delineato da Walter Benjamin⁹, pare uno strumento non sufficiente per comprendere Conrad. Nelle opere gli spunti per trame, luoghi e personaggi sono spesso ispirati alla sua biografia, ma lo sviluppo di storie e caratteri veleggia seguendo rotte imprevedibili, segnate dall’immaginazione e dalla creatività. Il romanziere prevale sempre sul narratore.

In A Personal Record, Conrad cerca di delineare il confine tra memoria personale e letteratura, tra eventi vissuti e convinzioni profonde, modi di essere. «Se ogni romanzo contiene un elemento di autobiografia – e sarebbe difficile negarlo poiché ogni creatore può solo esprimere se stesso nella propria creazione – è pur vero che ad alcuni di noi un aperto sfoggio di sentimenti ripugna».

Anche in questa occasione non manca di ricordare i suoi lunghi anni di servizio su velieri e piroscafi: «Può darsi che la mia formazione marinara abbia agito su una certa naturale disposizione a mantenere buona presa sull’unica cosa che sia realmente mia, ma fatto sta che provo un vero e proprio orrore a perdere anche per un solo commovente istante quel pieno possesso di me che è condizione prima del buon servizio»¹⁰.

L’autodisciplina, l’autocontrollo davanti al pericolo, la solidarietà di fronte a calamità naturali o frutto dell’aggressività umana, sono il perno del codice etico di Joseph Conrad. Insieme al senso del dovere, al desiderio di compiere con dedizione e perizia il proprio lavoro, sul mare o davanti a una pagina ancora da scrivere. I protagonisti delle sue storie si perdono quando cedono di fronte alla paura, e anche quando riescono a essere fedeli ai propri ideali conseguono vittorie effimere, in un modo o nell’altro finiscono sconfitti, ma non conoscono la rassegnazione e la resa. Una tensione analoga ricorre nella scrittura, sempre protesa verso la verità, non dei dettagli biografici, bensì delle impressioni e dei sentimenti, con la capacità visionaria di “far vedere” storie, luoghi ed emozioni profonde.

Questo libro nasce dalla passione giovanile per i libri di Conrad, amati a quindici anni soprattutto per il senso dell’avventura, per la dignitosa disperazione romantica di personaggi come Jim o come il capitano Whalley. Le riletture, in anni successivi, mi hanno fatto comprendere che, accanto e oltre l’avventura, nelle sue opere ci sono introspezione, profondità etica, ricerca stilistica, e un forte, umanissimo, desiderio di lasciare un segno, di essere ricordato. Come tanti altri ragazzi di più generazioni, mi ero innamorato dell’Isola del tesoro di Robert Louis Stevenson e di Lord Jim di Conrad: conservo ancora un piccolo dipinto a olio che mio nonno Giannino di Sansepolcro volle dipingere e donarmi per assecondare quella passione. Rileggendo tanti anni dopo le pagine di Stevenson ho provato la stessa felice leggerezza di allora, mentre in Conrad, oltre a sentire la stessa fascinazione, ho trovato significati e sfaccettature che non avevo avvertito o compreso: ogni volta che rileggo i suoi romanzi e racconti ne avverto di nuovi, inattesi, legati a sentimenti e aspirazioni, desideri di scoperta e di fuga, luoghi visti o immaginati. Ricordo che da giovanissimo cercai notizie su Conrad in un pesante volume dell’enciclopedia Treccani, edizione 1931; restai affascinato dalla breve scheda biografica. Sfogliando altre pagine del libro mi colpì la descrizione, arricchita da nitide foto anni Venti dell’antica città di Cracovia, così densa di storia, di cultura e di bellezze non devastate dagli uomini e dal tempo. Mi commosse, anni dopo, leggere che tra Conrad e Cracovia c’era un legame profondo e struggente, che affiora nelle sue pagine più autobiografiche e personali. Oltre i mari e gli oceani, le isole dell’arcipelago malese e alcune coste dell’Inghilterra, ci sono tre luoghi dove un lettore appassionato può sentire e vedere lo spirito di Conrad: l’antico e ombroso cimitero di Canterbury, dove venne sepolto nell’agosto del 1924; il Museo della scienza e della tecnologia di Milano, dove è conservato un frammento della prua del veliero Otago, il suo First Command; l’antica Piazza del Mercato, la Porta di San Floriano e la via Poselska di Cracovia, dove un ragazzino malinconico, senza più la madre e con il padre sconfitto e malato, camminava solitario immaginando avventure in mondi lontanissimi.

Nel corso degli anni, rileggendolo, mi sono soffermato soprattutto su alcuni romanzi e racconti, cui ho dedicato appositi capitoli di questo libro, e ho letto – alcuni più volte e con grande interesse – i lavori dei tanti studiosi che negli ultimi cento anni dalla scomparsa di Conrad si sono dedicati ad approfondire la sua opera.

Edward W. Said – presentando il libro di Gavin Young, In search of Conrad, pubblicato nel 1991 in Gran Bretagna – sostiene che gli studiosi di Joseph Conrad si dividono in due grandi categorie. La prima cerca di agganciare le sue storie di terra e di mare a luoghi e vicende autobiografiche, a esperienze felici o dolorose, a letture e amicizie; ne fanno parte i suoi più attenti biografi, il polacco Zdzisaw Najder, autore della sua biografia più attendibile e completa, e l’inglese Norman Sherry, che ne hanno ricostruito con dovizia di particolari la vita, le peregrinazioni e i viaggi. In Italia soprattutto l’editore Ugo Mursia, che raccolse con una completezza senza pari la sua opera omnia, ne tradusse una parte e individuò importanti notizie e collegamenti tra pagine scritte e vita reale. Particolarmente dedicato allo studio delle opere, l’indispensabile Conrad the Novelist di Albert Guerard. Appare collaterale a questo ambito il lungo e prezioso lavoro per pubblicare in modo completo le sue lettere; iniziato nel 1927 con il libro di Georges Jean-Aubry, Joseph Conrad: Life and Letters, è giunto agli otto volumi di The Collected Letters of Joseph Conrad curati da Frederick Robert Karl, Laurence Davies, Gene M. Moore. In Italia va ricordata la pubblicazione della limitata, ma importante serie di lettere inserite in Joseph Conrad, Epistolario, Bompiani, Milano, 1966 (introduzione di Alessandro Serpieri) e Tadeusz Bobrowski, Lettere a Conrad, edite da Sellerio, curate e tradotte da Maria Cristina Bragone.

La seconda categoria di studiosi comprende chi ha scelto di indagarne la psicologia – il trauma per la precoce perdita della madre, la misoginia e gli ipotetici problemi di natura sessuale oppure le idee politiche, il conservatorismo, la diffidenza per i rivoluzionari, e un atteggiamento, ad avviso di alcuni, non sufficientemente critico verso l’imperialismo britannico. Tra questi, Bernard Constant Meyer, Thomas Moser, Robert Hampson, Chinua Achebe.

In realtà il ventaglio delle vie di accesso al mondo di Conrad è molto più ampio, ed è lungo l’elenco di chi gli ha dedicato un’intera vita di studi o almeno un saggio di rilievo. Basti pensare all’accurato e autorevole approfondimento su temi e opere da parte di Cedric Watts e di Ian Watt, specie nell’indispensabile Conrad in the Nineteenth Century, del 1979. Incisivi e affascinanti anche i brevi saggi su di lui scritti da due grandi autori della letteratura europea come Thomas Mann e Virginia Woolf, e da Jorge Luis Borges, che riteneva Conrad «uno dei più importanti romanzieri e autori di racconti della Letteratura inglese»¹¹ e Lord Jim «il suo romanzo migliore». Borges, oltre a dedicargli la nota poesia Manoscritto trovato in un libro di Joseph Conrad, che evoca le atmosfere di Heart of Darkness – canoe che scivolano silenziose in un grande fiume, volute di fumo di sigaro che si dissolvono nella notte, tempo che scorre via¹² –, cita Lord Jim e il Patna nel racconto L’immortale, uno dei più celebri della raccolta L’Aleph¹³. Già nel gennaio del 1937, recensendo Assalonne, Assalonne! di William Faulknersulla rivista argentina «El Hogar», aveva scritto: «Tra i grandi romanzieri Joseph Conrad è stato forse l’ultimo cui interessavano in egual misura le tecniche del romanzo e il destino e il carattere dei personaggi. L’ultimo fino alla straordinaria comparsa di Faulkner. A Faulkner piace esporre il romanzo attraverso i personaggi. Il metodo non è del tutto originale... ma Faulkner vi trasfonde una intensità quasi intollerabile»¹⁴. Borges aveva compreso sia il cuore dell’arte di Conrad sia la profonda influenza sulla tecnica narrativa di Faulkner.

Nel nostro Paese va ricordato il grande e fervido lavoro di approfondimento critico che ha cercato di coniugare la conoscenza biografica e storica con la comprensione letteraria e stilistica dei suoi romanzi e racconti: Franco Marenco, Renato Prinzhofer, Elio Chinol, Alessandro Serpieri, Claudio Gorlier, Sergio Perosa, Giuseppe Sertoli, Mario Curreli – il curatore della raccolta in due volumi delle opere di Conrad pubblicate da Bompiani tra il 1990 e il 1995 – e infine Richard Ambrosini, i suoi Introduzione a Conrad e Le storie di Conrad sono pietre miliari per la conoscenza dell’opera del grande scrittore inglese. Ma sono tanti gli intellettuali che, ognuno a proprio modo, dai primi del Novecento ai nostri giorni, si sono avvicinati all’opera di Joseph Conrad: Emilio Cecchi, Mario Praz, Cesare Pavese, Italo Calvino, Primo Levi, Andrea Zanzotto, Claudio Magris, Pietro Citati, Renato Barilli, Alberto Asor Rosa, Alessandro Baricco, Michele Mari. È stato importante e commovente sfogliare presso gli archivi dell’Università di Torino la tesi di laurea di Italo Calvino: pagine dense di ardore letterario e di precisione, che raccontano Conrad, ma anche il giovane Calvino e tutto il suo magnifico futuro. La passione di quello studente per le storie di Joseph Conrad penso possa raggiungere ancora, e per tanti anni, altri giovani in cerca di libertà e di linee d’ombra da oltrepassare.

1.
Gli anni della giovinezza

Quando sarò grande, viaggerò sin laggiù¹⁵.

Józef Teodor Konrad Nacz Korzeniowski, questo il vero nome di Joseph Conrad, nasce il 3 dicembre 1857 a Berdyczów¹⁶, una cittadina appartenuta al regno di Polonia, all’epoca sotto il dominio zarista. Il territorio, conteso da secoli tra Polonia e Russia, è oggi Ucraina. I genitori, Apollo ed Ewa, si erano sposati due anni prima; piccoli proprietari terrieri, fanno parte della nobiltà polacca, la szlachta, generalmente colta, convintamente indipendentista e antizarista. L’antico ramo nobiliare dei Nacz era legato alle secolari battaglie per le immense terre a est della Polonia, i Kresy: Ucraina, Bielorussia e Lituania. Insieme alla Polonia, avevano costituito per due secoli, dal 1569 al 1796, la Confederazione polacco-lituana, nata per difendere regni diversi e autonomi da ogni aggressione esterna, proveniente da est (Russia), da ovest (Prussia e Austria), da nord (Svezia) o da sud (Impero ottomano)¹⁷. Joseph Conrad conserverà sempre una particolare affezione per quel nome e per quell’antica tradizione nobiliare, per lui un cavalleresco simbolo di libertà e di lealtà individuale. Quando alla fine della sua vita, la casa editrice J.M. Dent & Sons Ltd decide di ristampare in ventidue volumi tutta la sua opera, con il titolo The Works of Joseph Conrad: Uniform Edition, lui chiede che in ogni volume una pagina riporti lo stemma dei Nacz, con al centro un fazzoletto da collo annodato, simbolo runico di unità e armonia. È lo stesso Conrad, in una lettera all’amico Edward Garnett, a evidenziare l’importanza del nome Nacz: una sorta di marchio di fabbrica, un’attestazione di buon servizio, un vincolo indiscusso, non un’indicazione di parentela in senso stretto¹⁸.

1. La casa in Ucraina dove Joseph Conrad nacque il 3 dicembre 1857
Joseph Conrad Collection, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University

Il padre di Józef, Apollo, ha un temperamento inquieto e romantico, sogna una Polonia libera e indipendente e finisce per sacrificare la sua vita a questo ideale. Ha studiato letteratura, senza diplomarsi, all’Università di San Pietroburgo. Dedica molto tempo alla lettura e alla scrittura, soprattutto poesie e pamphlet di accorato patriottismo, ed è poco portato a gestire beni e proprietà, che perdono presto il loro valore originario. La madre Ewa ha più equilibrio e senso pratico, è perdutamente innamorata di lui e condivide la sua devozione all’idea di una Polonia libera e indipendente. Entrambi sono affettuosi con Józef, lei è più premurosa e attenta, lui è più svagato, ma capace di coinvolgerlo nella passione per la lettura e la scrittura.

Nel maggio del 1861, Apollo si trasferisce a Varsavia. Come conduttore della proprietà terriera si è rivelato inadeguato, depauperando le disponibilità finanziarie della famiglia. Spera di avere maggior fortuna in città, soprattutto vuole vivere dove sono più accese le idee di indipendenza e le possibilità di una rivolta contro il regime zarista. Ewa e Józef lo raggiungono in agosto. Lei condivide la passione politica del marito; a volte veste il figlio con i tre colori della bandiera francese, della nazione che con Napoleone aveva dato alla Polonia l’ultima illusione di libertà, e di nero la domenica, a simboleggiare il lutto per l’oppressione russa. Apollo partecipa, spesso tra i promotori, alle manifestazioni che si susseguono tra l’agosto e l’ottobre di quell’anno, finendo arrestato e processato. Trascorrerà dieci mesi nella fortezza-carcere della Cittadella di Varsavia, fatta erigere dallo zar Nicola I dopo l’insurrezione del 1830. A causa della corrispondenza con Apollo, rinvenuta dalla polizia, anche a Ewa viene contestato di aver svolto attività rivoluzionaria. I coniugi sono giudicati colpevoli, Apollo in modo grave, per aver organizzato un comitato e una manifestazione di opposizione al regime, e aver scritto opuscoli antizaristi. Condannati all’esilio, l’8 maggio del 1862 sono costretti a partire per Vologda, una città situata in un territorio gelido e paludoso nel Nord-Ovest della Russia. Il viaggio in carrozza è lungo, Józef si ammala di polmonite e rischia di morire; una sosta a Mosca e l’intervento di un bravo medico lo salvano. L’arrivo a Vologda getta la famiglia nello sconforto: la cittadina è povera e spenta, acquitrini ovunque, temperature gelide per molti mesi dell’anno. Nella foto più antica che si conservi di lui, a 5 anni, Józef mostra uno sguardo molto serio, e occhi profondi, pieni di malinconia.

2. Apollo Korzeniowski e Ewa Bobrowska Korzeniowska
Joseph Conrad Collection, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University

Entrambi i genitori si ammalano di tubercolosi, la madre appare sempre più debilitata, così ottengono un breve permesso di soggiorno nella loro bella e salubre Berdyczów. Alla scadenza del periodo, però, la famiglia è costretta a tornare a Vologda; a nulla valgono le suppliche e le raccolte di firme per evitare, almeno a Ewa, un ritorno che è una sicura condanna a morte. A Józef resterà sempre impresso il triste giorno della ripartenza, con amici, parenti e servitori affranti nel salutare la carrozza trainata da quattro cavalli che li porta via. Ha appena sei anni, ma non dimenticherà mai le lacrime della sua governante, la gentile signorina Durand, che in quei tre mesi era riuscita a insegnargli a parlare e a leggere la lingua francese. Un insegnamento svolto con levità, attraverso giochi e letture di fiabe. «N’oublie pas ton français, chéri» è il suo saluto. Per lui si tratta del primo brusco cambiamento di vita; avverte il dolore sui volti di tutti, e lo porta con sé. In un autore prolifico come Conrad, sono poche le pagine esplicitamente autobiografiche, ma questo difficile momento lo racconterà sin nei dettagli in A Personal Record¹⁹.

3. Joseph Conrad nel 1863. Sulla foto è scritto “pour Jessie”
Joseph Conrad Collection, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University

Tornata a Vologda, Ewa non ha scampo, muore il 18 aprile 1865. Anche Apollo è malato, e si rende conto che Józef sta vivendo in un luogo desolato e senza speranze, senza neppure amici con cui giocare. I parenti gli suggeriscono di mandarlo da loro in Polonia, ma per lui il figlio rappresenta l’ultimo legame con la moglie, e forse con la vita stessa.

Józef è un bambino di notevole sensibilità, la solitudine vissuta in casa lo fa soffrire, ma lo rende capace di badare a se stesso, almeno sul piano dei sentimenti. Legge molto, in polacco e in francese, soprattutto i libri di avventure di James Fenimore Cooper, l’autore di L’ultimo dei Mohicani, e poi Charles Dickens ma anche Frederick Marryat, forse il primo autore di romanzi avventurosi ambientati sul mare; in edizioni ridotte Don Chisciotte di Miguel de Cervantes e Storia di Gil Blas di Santillana, il romanzo picaresco di Alain-René Lesage, e in edizione integrale William Shakespeare. «I miei legami con Shakespeare nascono in quel primo anno del nostro lutto, l’ultimo trascorso con mio padre in esilio (mi spedì lontano in Polonia da mio zio non appena ebbe la forza di affrontare la separazione)...»²⁰. Resta affascinato anche da Il corsaro di George Byron; è interessante annotare che l’avventuroso e romantico protagonista del libro si chiama Conrad.

Quando un temporaneo aggravamento della malattia costringe Apollo a letto, Józef gli legge ad alta voce le bozze della sua traduzione in polacco di Les Travailleurs de la mer di Victor Hugo. Una responsabilità che riempie il piccolo d’orgoglio e che gli permette di assaporare, per la prima volta, il gusto del mare. Il padre era accattivante nelle letture ad alta voce, e aveva trasmesso questa abilità al figlio, che a otto anni gli declama con orgoglio una pagina di I due gentiluomini di Verona di Shakespeare. Del grande poeta e drammaturgo inglese Apollo ha tradotto in polacco almeno cinque opere. Traduce anche altri autori, come Alfred de Vigny, ma è sempre più debilitato, e le autorità russe gli concedono nel 1867 di tornare in Polonia, a Cracovia; lì padre e figlio trascorreranno giorni quieti e malinconici. Apollo tenta di riprendere il lavoro di giornalista, presso la redazione del Kraj, ma le sue condizioni di salute presto glielo impediranno. Józef frequenta una scuola nei pressi dell’antica Porta di San Floriano. Percorre il tragitto, dalla loro casa in via Poselska sino alla scuola, ogni mattina intorno alle 8; quel camminare tra gli antichi palazzi e il silenzio rotto solo dai suoi passi, gli resterà nella memoria più delle lezioni stesse. Torna sempre a casa verso le sette di sera, lì tutto sembra in attesa dell’inevitabile, c’è un grande silenzio, due suore infermiere si alternano nel seguire il decorso della malattia di Apollo. Nel salotto, ampio e dall’alto soffitto, alla luce di due candele, Józef svolge i compiti per l’indomani avendo cura di non far troppi danni con l’inchiostro, come se il rumore del pennino o le macchie sul foglio potessero disturbare quel lento addio del padre alla vita. La porta della camera da letto di Apollo fronteggia proprio lo scrittoio del figlio; le infermiere la tengono chiusa, salvo durante i brevi attimi del loro passaggio. L’ordine della casa e dei movimenti dei suoi abitanti è regolato da una severa direttrice, l’equivalente di un maior domus, prestata dal vicino, canonico della cattedrale. Anche lei, come le infermiere, pronuncia frasi brevi e scandite con toni sommessi. Józef si rifugia nei libri e nell’immaginazione. «Non so cosa sarei diventato, se non fossi stato un ragazzo che leggeva. Finiti i compiti, non avrei avuto altro da fare che starmene seduto ad ascoltar fluire il pauroso silenzio della camera del malato, attraverso la porta chiusa, ed avviluppare di ghiaccio il mio cuore sgomento. Ritengo che in chissà quale futile maniera infantile, sarei diventato pazzo. Ma ero un ragazzo che leggeva»²¹.

Apollo Korzeniowski muore il 23 maggio 1869. I funerali sono seguiti da un gran numero di concittadini, un lungo addio della città allo sfortunato patriota. Il piccolo Józef cammina compunto e fiero dietro il carro funebre, alla testa di un ampio corteo che percorre il tragitto da casa alla Porta di San Floriano, passando accanto alle due alte torri asimmetriche della chiesa di Santa Maria, nella grande piazza del Mercato. Ha perso entrambi i genitori, sente il peso della solitudine e anche di una grande ingiustizia, non dovuta alla sfortuna, ma all’oppressione di una tirannia potente e disumana. Tutta la passione rivoluzionaria del padre era dunque finita in una sconfitta totale, nella distruzione di una famiglia, nella solitudine di un piccolo orfano. Il distacco e la diffidenza di Conrad rispetto a fanatismi ed entusiasmi ideologici nascono forse in quei giorni, derivano dal desiderio di non seguire il modello paterno. Trent’anni dopo traccerà questo breve ritratto del padre: «Uomo di grande sensibilità, di temperamento esaltato e sognatore, con una terribile dote di ironia e umor tetro, di forte sentimento religioso che degenerò, dopo la morte della moglie, in un misticismo infuso di disperazione. Il suo aspetto era nobile, la sua conversazione molto affascinante, la sua faccia triste quando era serio, illuminata quando sorrideva. Lo ricordo bene»²².

4. La chiesa di Santa Maria nella Piazza del Mercato di Cracovia
Fotografia Swiatowind, in Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, Istituto G. Treccani, 1931

Józef viene presto posto sotto la tutela del fratello della madre, lo zio Tadeusz Bobrowski, un uomo di grande cultura e un imprenditore oculato. Bobrowski avrebbe potuto insegnare Diritto internazionale all’Università di Kazan, nel Tatarstan, o divenire un alto dirigente ministeriale a San Pietroburgo, ma alla morte del padre aveva scelto di prendersi cura del patrimonio e delle tenute di famiglia. Ama anch’egli la Polonia, ma vuole preservarne la cultura e le genti con prudenza, perfino a costo di qualche compromesso con le autorità russe; per tutta la vita si sentirà in dovere di aiutare parenti o amici in difficoltà economiche o politiche, per indubbia generosità d’animo, ma anche per resistere in modo utile e pacifico alle prevaricazioni russe verso i connazionali. Prova molto affetto per quel nipote che gli ricorda l’amatissima sorella, però incontra alcune difficoltà nei rapporti con un ragazzino introverso che soffre a volte di crisi nervose. Józef frequenta le scuole di Cracovia, con buoni risultati, ma con una certa insofferenza alla disciplina. Tadeusz teme che cresca con la medesima incapacità del padre di vivere con equilibrio e saggezza, di realizzarsi in un’attività seria e proficua. Józef intanto continua a leggere, con ardore e curiosità, ancora e soprattutto libri di autori inglesi e francesi. Quelli di avventura lo spingono a investigare sui luoghi evocati dai racconti, spesso misteriosi e lontanissimi, scrutando attentamente le mappe, immaginando viaggi avventurosi e scoperte mirabolanti. Le carte geografiche contenevano allora dei blank spaces (spazi vuoti, macchie bianche) che contrassegnavano zone ancora inesplorate, specie quelle dell’Oriente, dell’Africa e dei due Poli. È affascinato dalla lettura di The Voyage of the “Fox” in the Arctic Seas di Leopold McClintock, il grande esploratore, alla ricerca della spedizione del comandante Sir John Franklin, scomparsa con le navi Erebus e Terror, e i 128 uomini dell’equipaggio. Ammira «quella speciale razza di uomini che dedicano la maggior parte della propria vita all’esplorazione in terra e in mare. Nel mondo dell’intelligenza e dell’immaginazione in cui stavo entrando furono loro e non i personaggi dei romanzi famosi a divenire i miei primi amici»²³. E così, a tredici anni scrive un breve saggio di geografia ed esplorazione artica, lasciando interdetto il suo insegnante, che lo rimprovera per quell’indagare materie non previste dal programma di studi. Davanti a una mappa dell’Africa, lo incuriosisce uno spazio più ampio, most blank, di altri, pressappoco nella zona del fiume Congo: «Nella mappa, il cuore dell’Africa era bianco e grande». Ha quattordici anni quando a scuola, preso dall’entusiasmo, dichiara davanti ai compagni: «Quando sarò grande, viaggerò sin laggiù». Suscita solo sarcasmo e lui si rammarica subito di aver espresso una speranza così ingenua e improbabile, ancor più in un Paese come la Polonia, del tutto privo di tradizioni nell’esplorazione del globo. In quei giorni annuncia allo zio che vuole diventare marinaio e magari esploratore.

5. Tadeusz Bobrowski, 1870 circa

Diciotto anni dopo, mentre risale un fiume nel cuore del continente africano, a bordo di un piccolo piroscafo a ruote e nel mezzo di una notte stellata, ripenserà a quell’impegno preso da bambino. Il silenzio è smosso solo dal rombo sommesso e lontano delle cascate Stanley, tutti a bordo dormono, lui invece se ne sta in coperta a fumare la pipa, sentendosi felice ma anche molto solo, non c’è nessuno a cui raccontare quel sogno divenuto realtà²⁴.

La diligenza di Józef negli studi si accompagna a una certa insofferenza per le disposizioni e le regole troppo rigide. Superato bene l’ultimo anno di scuola, sia per premiarlo sia per distrarlo dall’idea di andare per mare, lo zio Tadeusz gli regala un viaggio in Europa di sei settimane, da compiere insieme a un istitutore, Adam Marek Pulman, studente dell’Università di Cracovia: l’alto Danubio, Vienna, Venezia, Monaco, le cascate del Reno, il lago di Costanza, le cime dell’Oberland Bernese. In Svizzera ha il suo primo contatto con l’Inghilterra: tra gli ospiti dell’albergo in cui soggiornano, ci sono alcuni ingegneri inglesi impegnati nei lavori per la realizzazione del traforo del San Gottardo. Il loro portamento, al tempo stesso cortese e informale, lo impressiona favorevolmente. A causa di un’epidemia di colera a Cracovia, i due vengono invitati a prolungare la vacanza sino a dodici settimane, che trascorreranno in Svizzera. Il suo istitutore tenta a più riprese di convincere Józef a soprassedere riguardo l’idea di avventurarsi per i mari del mondo, con argomenti razionali e appelli al buon senso. Il ragazzo non cede, appare irremovibile, e così Pulman si rassegna con un lapidario: «Tu sei un incorreggibile, inguaribile Don Chisciotte. Ecco che cosa sei».

I due viaggiano anche in Italia, raggiungendo Milano e Venezia; Conrad resta colpito da entrambe, della prima ricorderà per sempre una passeggiata davanti al Duomo, in una piazza illuminata dalla luce lunare²⁵, e a Venezia vede per la prima volta il mare, dalla riva esterna del Lido. Dopo averne letto tante descrizioni nei libri di avventure, dopo averlo ostinatamente desiderato, lo ha finalmente davanti agli occhi.

Tornati in agosto a Cracovia, Józef viene inviato a Leopoli, presso un lontano cugino. La città, come Cracovia, fa parte dell’Impero austro-ungarico, i polacchi e la loro lingua sono più che tollerati²⁶. Ma la distanza dalle tensioni indipendentiste di Cracovia non basta a farlo desistere dal desiderio di avventurarsi per mare seguendo le proprie letture. Oltretutto, se diverso è il contesto, identico è il fastidio del ragazzo per le regole e il conformismo scolastici. Non ama studiare con regolarità, fatica a trovare la giusta concentrazione, legge molto, ma seguendo i suoi interessi e i suoi gusti. Non pare destinato a risultati importanti negli studi; a volte reagisce alle difficoltà con la malinconia, altre volte con tensione e desiderio di ribellione. Lo zio prova simpatia e fiducia per quel nipote – è tutto ciò che gli rimane della sorella Ewa –, ma per evitargli un lungo arruolamento forzato nell’esercito dello zar, obbligatorio per i figli degli irredentisti, nel 1874 decide di aiutarlo a raggiungere in treno la Francia e a trovare un imbarco a bordo di una nave. Una destinazione inevitabile: lo zio ha contatti importanti e affidabili, inoltre il ragazzo conosce bene il francese e non avrà grandi difficoltà nel farsi capire. Ha solo sedici anni, dice addio a un mondo intero – a una lingua, a un paesaggio, a una storia – viaggia verso un luogo lontano pieno di fascinazioni, ma che conosce solo attraverso i libri. Lo rassicura l’affetto dello zio che gli promette un aiuto economico costante e gli consegna lettere di presentazione per le sue conoscenze marsigliesi. La sventurata storia della Polonia ha spinto tanti polacchi a cercare fortuna nel mondo, e alcuni sono da tempo anche a Marsiglia, dove hanno trovato la loro strada nella Marina mercantile francese.

Nella città, Józef ottiene il primo imbarco della sua vita, sul brigantino a palo²⁷Mont-Blanc, come apprendista pagante. Il veliero traversa l’oceano per un viaggio di sei mesi, andata e ritorno verso la Martinica, trasportando merci, tra il dicembre del 1874 e il maggio del 1875. Nella seconda parte dell’anno Józef naviga ancora verso i Caraibi, stavolta come steward, sul veliero Saint-Antoine. È figlio di una famiglia nobile, è ben istruito e non ha patito gravi privazioni materiali, eppure riesce ad adeguarsi a condizioni di vita e di lavoro del tutto nuove e molto scomode, a volte umilianti. È pieno di speranze per il futuro, ha un lavoro e si sente finalmente indipendente, il primo modestissimo stipendio conforta il suo orgoglio. Nelle sue pagine apparentemente più autobiografiche, come Lo specchio del mare, racconterà di viaggi per contrabbandare armi, sia verso il Venezuela sia verso la Spagna, durante la guerra civile carlista²⁸. Stante l’assenza di fonti attendibili, i suoi biografi si sono divisi: sono probabili entrambi i commerci, il secondo a guerra ormai finita però, dopo il febbraio del 1876 quindi, con la Spagna ancora in preda a perduranti tensioni politiche; il primo appare più incerto, nessuna fonte, salvo accenni dello scrittore in lettere e colloqui. A Conrad comunque non ha mai interessato riportare una memoria esatta dei fatti – anzi, a volte ha deliberatamente confuso le acque –, ma piuttosto le impressioni vere di quei momenti.

Il legame con la Polonia e con la prima giovinezza è retto dalla corrispondenza con lo zio. Le lettere di quest’ultimo sono giunte sino a noi, mentre sono andate distrutte quelle scritte per circa vent’anni da Józef: nel 1917, durante la Grande Guerra, a causa dei colpi di cannone caduti nella tenuta dei Bobrowski a Kazimierówka. Le missive dello zio Tadeusz compongono un insieme di raccomandazioni pressanti e affettuose, di inviti a non disperdere qualità intellettuali e sensibilità, ad avere autodisciplina e perseveranza. La lettera del 27 settembre del 1876 contiene una reprimenda particolarmente dura, che lascia intravedere l’amarezza di Tadeusz per il destino dell’amatissima sorella: «Mi hai sempre fatto perdere la pazienza, mio caro, e me la fai perdere con il tuo disordine e con questo modo leggero di trattare le cose, con cui mi fai ricordare la famiglia dei Korzeniowski, che ha sempre sperperato tutto, e non la mia amata sorella, tua madre, attenta ad ogni cosa»²⁹. Gli rimprovera altresì la poca cura di documenti e foto di famiglia, e una certa sciatteria nelle lettere che scrive. Osservazioni che col tempo andranno a buon fine se pensiamo che Conrad conserverà ogni lettera dello zio e terrà nel corso degli anni una fitta corrispondenza con amici, parenti e agenti letterari; missive scritte con una cura a volte pari a quella dedicata ai testi letterari. Occorre agire di immaginazione per capire quale potesse essere il contenuto delle lettere di Józef, sicuramente richieste di denaro, a volte ben motivate altre volte no, e rassicurazioni sul desiderio di studiare e di trovare un lavoro, conducendo una vita seria e sobria. Salvo la sicura passione per il mare, a Marsiglia il giovane polacco non sa ancora cosa fare della propria vita: si perde tra opere liriche (lo colpiscono soprattutto la Carmen di Bizet e Il trovatore di Verdi), salotti e corteggiamenti, investimenti sbagliati, e più fruttuosi colloqui con la gente del porto, che gli racconta di vele da serrare, tempeste, mari scintillanti e del lontano Oriente. I ricordi di quel periodo diverranno molti anni dopo memoria e sensazioni da cui attingere per il suo Nostromo. Il primo ufficiale del Saint-Antoine, Dominic Cervoni, è così abile, coraggioso e carismatico, che Conrad lo ricorderà in più personaggi dei suoi libri: il comandante Lingard, Gian Battista Fidanza detto Nostromo, e il Peyrol della sua ultima opera, L’avventuriero.

A Marsiglia, all’inizio del 1878, accade un evento drammatico che potrebbe distruggerlo e che invece dà una svolta alla sua esistenza. Una serie di investimenti falliti azzera le sue risorse e lo lascia pieno di debiti. Decide quindi di spararsi un colpo di pistola al petto, in modo però da non colpire organi vitali, e lasciando ben visibile su un mobile il recapito dello zio e di altri congiunti e amici; probabilmente l’estrema richiesta di aiuto di un giovane disperato più che un vero tentativo di suicidio. Non si pensi a una sceneggiata, spararsi al petto, in quei tempi e con la medicina di allora, poteva avere conseguenze letali; si può immaginare invece che, pur nella disperazione, volesse lasciarsi una concreta possibilità di salvezza.

Molti anni dopo, Conrad racconterà che il ferimento era stato causato da un duello; un evento che gli appare più dignitoso e fiero. In realtà, il suicidio ricorre spesso nei suoi libri, a volte come esplicita scelta dei suoi personaggi, altre volte come azioni estreme che rendono probabile o inevitabile la morte di chi le compie (Jim, Peyrol). Si può ipotizzare che questo ricorrente punto di fuga sia una conseguenza di quel colpo di pistola, ma pare più probabile che Conrad abbia visto da sempre nel suicidio, o comunque nel sacrificio della propria vita, un modo per superare problemi non altrimenti risolvibili. Un modus eroicodi concepire l’esistenza: in parte frutto di una cultura romantica, in parte di una confidenza verso la morte iniziata sin troppo presto, con la precoce perdita dei genitori. Il suicidio, per mano propria o esponendosi al pericolo di essere ucciso, non è mai una fuga, bensì un’estrema possibilità di lotta, che ricorda una delle amatissime pagine di Shakespeare: «Si muore una sola volta. Dobbiamo almeno una morte a Dio. Non sarò mai un vigliacco. Se è destino, è destino. Se non lo è, non lo è»³⁰.

Lo zio interviene, manda denaro per coprire i debiti, e parte subito per Marsiglia. I rimproveri saranno duri e ripetuti, ma Tadeusz capisce che avrebbe potuto perderlo. La situazione di Józef in Francia resta tuttavia precaria, senza l’autorizzazione del console russo non avrebbe più potuto avere incarichi a bordo di navi francesi. Un nulla osta impossibile da concedere a un polacco che avrebbe dovuto prestare servizio militare, e per lungo tempo, in Russia. E così diventa inevitabile pensare a un imbarco nella Marina mercantile britannica, la più grande del mondo all’epoca, con un estremo bisogno di marinai e quindi pronta ad arruolarli senza limiti o autorizzazioni. Il 24 aprile 1878 prende servizio a bordo del Mavis, un piroscafo diretto a Istanbul con un carico di carbone; arrivati a destinazione lo scaricano e imbarcano un carico di semi di lino da portare nel porto inglese di Lowestoft. È così che Józef giunge per la prima volta in Inghilterra, iniziando la sua seconda vita. Un’altra lingua, stavolta ancor meno conosciuta del francese, e inevitabili problemi ad ambientarsi, almeno all’inizio. Józef però pensa ai grandi scrittori inglesi amati sin da bambino e alle glorie sul mare dell’Impero britannico, ai blank spaces mai esplorati; lo sorreggono ancora una volta la fantasia, la curiosità, il desiderio di un altrove tutto da scoprire.

2.
Gli anni del mare, delle vele e delle tempeste

Vai, fratello mio, di nuovo per il mondo per mare [...] Scrivi dove, per quali luoghi, per quanto tempo³¹.

I vent’anni di Józef tra mari e porti, dall’arrivo a Marsiglia nel 1874 all’ultimo servizio su una nave ormeggiata a Rouen nel 1894, sono incredibilmente scarni di notizie biografiche. Scrive molte lettere, ma non tiene un diario. Le missive a zio Tadeusz andate distrutte sarebbero state un prezioso riferimento. La vita sulle navi, a quei tempi, è molto dura: la paga è assai modesta, il vitto è regolare ma quasi sempre uguale (carne salata, zuppe di legumi e patate), gli alloggi sono piccoli e scomode le cuccette. In ogni viaggio vede scorrergli davanti estesi orizzonti, tempeste che potrebbero far colare a picco la nave da un momento all’altro, notti stellate che sembrano non finire mai, gli capita spesso di interrogarsi sul futuro. Il suo essere diverso dagli altri marinai, per l’accento – non riuscirà mai a parlare un inglese privo di inflessioni straniere – e anche per aspetto e modi, sempre distinti e forbiti, non gli facilita la carriera, nonostante le comprovate capacità. Per la sua pronuncia, Józef viene oltretutto additato come slavo, una cosa quanto mai sgradita a un uomo che si è sempre sentito legato alla cultura dell’Europa occidentale, e prova avversione per la tradizione autoritaria e messianica dei Paesi slavi. Riguardo lo slavismo, è convinto che sia del tutto estraneo al temperamento polacco, forgiato da un cavalleresco senso etico e dal rispetto per i diritti individuali.

Otterrà quindi tardi, nel 1888, il suo primo comando, a bordo dell’Otago. Nonostante le difficoltà e alcuni sfortunati incidenti, come il ferimento a causa della caduta di un pennone, gli anni dei viaggi per mare su navi spinte dai venti gli consegnano momenti indimenticabili, a volte un completo e prolungato senso di felicità. Assisterà con rassegnazione e un certo sgomento al crescente predominio delle navi a vapore rispetto a quelle a vela, specie dopo l’apertura del canale di Suez nel 1869, alla lenta fine di un romantico connubio tra uomo e natura, costruito attraverso esperienze e competenze trasmesse da una generazione all’altra. Tra l’inizio e la fine del suo servizio sul mare, uomini e vele cederanno sempre più il passo ai motori; l’anno cruciale sarà il 1883, quando il tonnellaggio complessivo delle navi a vapore supererà quello delle navi a vela. I piroscafi, in realtà, erano utilizzati già all’inizio dell’Ottocento; la svolta decisiva avviene con le macchine a triplice espansione, introdotte in serie dal 1890 in poi: i consumi d’acqua dolce per caldaie permettono di affrontare le maggiori traversate oceaniche, rimaste fino a quel momento monopolio dei velieri, a partire dai clipper³² impiegati per le comunicazioni con l’Estremo Oriente. I piroscafi, inoltre, portano più merci e hanno bisogno di meno uomini per navigare. Anno dopo anno, si chiude l’epoca della navigazione a vela. Essere testimone di questa lenta fine accentua la sua passione per un mondo a cui dedicherà i suoi libri più belli, un lungo addio raccontato attraverso racconti, romanzi e saggi.

6. Il brigantino Otago, la prima nave guidata da Conrad come comandante
Allan C. Green collection of glass negatives, State Library of Victoria

Dopo il primo imbarco sul Mavis, senza stipendio e anzi grazie a un esborso di 600 franchi dello zio Tadeusz al comandante della nave, Józef riceve anche un perentorio invito a cavarsela da solo, trovando sul mare o altrove un lavoro con il quale mantenersi. Lo zio gli rinfaccia di aver dovuto rinunciare a un viaggio che gli era stato prescritto per motivi di salute, e questo a causa delle spese sostenute per recarsi sino a Marsiglia a saldare i suoi debiti, una spesa ingente, oltre 2.000 rubli: «Hai oziato quasi un anno intero, hai contratto debiti, ti sei ferito deliberatamente sparandoti»; gli conferma il suo affetto, ma gli nega un ulteriore prestito e lo esorta a prendere in mano le redini della propria vita: «Cambia, lavora, rifletti sulle tue possibilità, sii accorto, tenace, tendi allo scopo e cerca di convincermi non a parole, ma con i fatti, che sei ancora degno della mia benedizione»³³.

Józef lo ascolta e l’11 luglio del 1878 si imbarca sullo Skimmer of the Sea, una piccola nave che trasporta carbone tra i porti di Lowestoft e Newcastle, sotto il comando del captain Munnings. Dopo alcuni mesi, monotoni ma utili per migliorare la comprensione della lingua inglese, ottiene di essere assunto su un veliero per un lungo viaggio agli antipodi. Da Lowestoft, ai primi di settembre, raggiunge in treno Londra, per sottoscrivere il contratto. Nella grande stazione ferroviaria di Liverpool Street, in mezzo a una moltitudine di esseri umani, si sente solo, quasi un esploratore in un mondo sconosciuto. Ha ventun anni, prova allo stesso tempo sgomento e orgoglio: sta perseguendo un obiettivo preciso, divenire un marinaio abile nel suo lavoro, capace di essere parte affidabile di un equipaggio, e dare un senso alla propria esistenza.

Il clipperDuke of Sutherland parte in ottobre, a fine anno doppia il Capo di Buona Speranza, per arrivare un mese dopo in Australia, a Sydney. La nave procede alla busca, ovvero alla ricerca di un carico da trasportare, e deve sostare a lungo nel porto, per carenza di merci da portare in Inghilterra, ma il servizio vale comunque per maturare anzianità di navigazione in vista dell’esame per secondo ufficiale cui Józef aspira. L’imbarco successivo, stavolta come marinaio scelto, è sulla nave a vapore Europa che salpa diretta nei principali porti del Mediterraneo. Il lavoro su entrambe le navi è faticoso, si lavora dodici ore al giorno, durante le tempeste non ci sono orari, Józef pensa che solo divenendo ufficiale potrà salvarsi da un’esistenza davvero troppo dura per la misera remunerazione che riceve. Si lamenta con lo zio, confidandogli anche alcune ingiustizie che ha dovuto subire da parte del comandante. Tadeusz nel rispondergli si mostra comprensivo, e lo esorta a tener duro, a tentare prima possibile l’esame da Second mate e a ottenere la cittadinanza inglese. Per quanto grevi, anche i mesi trascorsi sull’Europa serviranno a dargli i requisiti di servizio necessari per presentarsi all’esame. La prova appare subito difficile, l’esaminatore, il comandante James Rankin, diffida del curriculum del giovane polacco, non per la durata, 4 anni, 3 mesi e 26 giorni, quanto per la qualifica di terzo ufficiale che l’armatore francese Delestang ha certificato riguardo il servizio sul Saint Antoine.Probabilmente per aiutare ancora il ragazzo (in realtà su quella nave Conrad aveva lavorato come steward di bordo). I sospetti portano l’esaminatore a impiegare più tempo e a essere più severo del solito, ma Józef supera l’esame e diviene secondo ufficiale della Marina mercantile inglese. Stavolta lo zio, nel giugno del 1880, gli scrive una lettera piena di commossa esultanza. «Mi procuri un piacere dal profondo del cuore [...] Condivido pienamente la tua soddisfazione [...] sei riuscito a superare le difficoltà che derivavano dalla stessa lingua straniera, per giunta difficile, dalla posizione di straniero privo di protezione»³⁴.

Tadeusz capisce che Józef è riuscito a superare la sua linea d’ombra: ha preso una direzione precisa nella vita, ha lavorato duro e ha dimostrato quel che vale; mentre il nipote si rafforza e si rende sempre più autonomo, cresce la stima dello zio. Nelle lettere di quest’ultimo divengono frequenti i riferimenti alle sue cattive condizioni di salute; l’energia che lo ha sostenuto per tanti anni è ancora forte nel carattere, ma il corpo è sempre più sofferente. La fretta di vedere solida e ben avviata la carriera sul mare di Józef è legata anche alla sensazione che non potrà seguirlo e aiutarlo ancora per molti anni.

Józef cerca un imbarco come ufficiale, incontrando qualche difficoltà; armatori e comandanti delle navi tendono a privilegiare i marinai dei loro equipaggi passati di grado. Quello straniero pare un’incognita, e nel mare aperto ce ne sono già tante.

Poi ha un colpo di fortuna: il secondo ufficiale del clipperLoch Etive ha un incidente, viene colpito malamente dal calcio di un cavallo e diventa urgente trovare un sostituto, la partenza è imminente. Inizia così il primo viaggio di Józef Korzeniowski come ufficiale, il primo maggio 1880, direzione Australia, passando per il Capo di Buona Speranza. A bordo, oltretutto, di un veliero famoso per la velocità e per la competenza del comandante, William Stuart, uno dei migliori che Józef conoscerà nel corso della sua carriera. Rievocherà quei giorni in uno dei suoi libri più autobiografici, la raccolta di saggi Lo specchio del mare, del 1906, un’opera fedele nel descrivere la vita di bordo, il difficile e pericoloso lavoro con le vele ad esempio, sempre in bilico tra l’esigenza di sfruttare al massimo la potenza del vento forzandone lo spiegamento e la necessità di evitare danni e magari di disalberare il veliero. Un ufficiale deve saper individuare il momento critico in cui far serrare le vele, decidere in fretta. I momenti dell’attesa di tempeste in arrivo, del fremito che scuote le nuvole, sono raccontati in pagine forse tra le più belle della sua opera, in particolare nel capitolo Il carattere dell’avversario: «La nuvolaglia color d’inchiostro, che fugge a brandelli davanti a un vento di nord-est, ti dà la vertigine con la sua velocità precipitosa che raffigura l’impeto dell’aria invisibile. Un forte vento di sud-ovest ti allarma per l’orizzonte chiuso e il cielo basso e grigio, come se il mondo fosse una prigione dove non c’è requie per il corpo o per l’anima. E ci sono i groppi neri, i groppi bianchi, i groppi con lampi e tuoni, e le raffiche inattese che arrivano senza un solo segno nel cielo; e di ciascuna specie non ce n’è una che somigli a un’altra»³⁵.

7. Il clipperLoch Etive
Allan C. Green collection of glass negatives, State Library of Victoria

Non si tratta però di un diario e i suoi biografi più attendibili, su tutti Zdzisaw Najder, hanno individuato nel racconto episodi non accaduti direttamente a Conrad ma da lui appresi e fatti propri, come il periglioso salvataggio di un brigantino olandese che stava per affondare³⁶. Il lavoro sul mare è una scelta piena di insidie, in ogni viaggio si può andare incontro a pericoli di vario genere; il rischio di subire infortuni durante il governo di vele e pennoni ma anche di colare a picco con la nave è molto alto. Alcune navi, su cui Józef ha prestato servizio, negli anni successivi sono finite in fondo al mare, non per curiosa sfortuna, più semplicemente perché navigare è un mestiere pericoloso, soggetto a eventi calamitosi non sempre prevedibili. Tutti a bordo sono consapevoli che la morte è una possibilità che li accompagna in ogni tratta di mare, per questo tra le virtù che si pretendono da marinai e ufficiali ci sono una buona dose di coraggio e una rassegnata, e un po’ fatalistica, accettazione del rischio.

Il ritorno avviene passando per Capo Horn, rientrando a Londra dopo poco meno di un anno di navigazione che, oltre a fornirgli un’esperienza utile e indimenticabile, gli permette di conseguire un requisito indispensabile per poter sostenere l’esame da primo ufficiale.

Il 19 settembre del 1881, Józef si imbarca sul brigantino a palo Palestine, una vecchia nave con una gloriosa storia di navigazione alle spalle, ma ora malandata e addetta al trasporto di carbone. Deve portarne un carico da Newcastle sino a Bangkok. Una serie di disavventure, però, si scatenano una dopo l’altra e paiono incatenarla alla costa inglese: una collisione con una nave nel porto di Newcastle, una tempesta nel canale della Manica che spazza via parte delle vele e danneggia ponte e alberi. Per le riparazioni saranno necessari nove mesi di sosta forzata in un porto della Cornovaglia, Falmouth. Józef passa il tempo leggendo e visitando Londra, dove spende la paga di un mese per acquistare una borsa da viaggio, un volume con tutte le poesie di George Byron, che aveva scoperto e amato nei giorni di Cracovia, e il libro del comandante Frederick Burnaby, A Ride to Khiva: Travels and Adventures in Central Asia³⁷, una storia vera e avventurosa che lo appassiona.

Finalmente, nel settembre del 1882, un anno dopo la prima partenza, la nave salpa verso gli oceani. Superato il Capo di Buona Speranza, sembra ormai avviata verso la sua destinazione. Nei pressi dell’arcipelago indonesiano, nello Stretto di Bangka, accade purtroppo l’irreparabile evento che porterà la nave alla rovina: il carico di carbone inizia a bruciare a causa di un fenomeno di autocombustione, non rara in quei viaggi. Prima un odore nauseante e il fumo nero fuoriescono dalla stiva, poi le fiamme. Il comandante tenta di salvare il veliero chiedendo aiuto al piroscafo Somerville, che lo rimorchia in direzione del porto più vicino. Intanto l’equipaggio prova a domare il fuoco scaricando in mare parte del carico di carbone e caricando acqua. Niente da fare, le fiamme diventano incontrollabili e l’aria irrespirabile. Bisogna abbandonare la nave. Viene dato l’ordine di approntare le tre scialuppe, caricare quanti più beni possibili di proprietà degli armatori e allontanarsi dal brigantino. Józef ha l’incarico di guidare una delle tre lance: il suo primo comando sul mare. L’intera vicenda sarà rievocata anni dopo nel romanzo breve Gioventù, con sostanziale fedeltà e qualche licenza per rendere più avventuroso il finale: le scialuppe arriveranno a riva prima della fine di quel giorno, il 15 settembre 1883, non dopo i travagliati giorni di navigazione descritti nel racconto. Fu in ogni caso un’esperienza drammatica, ben gestita da comandante ed equipaggio, con perizia e senso del dovere, aiutandosi a vicenda. L’inchiesta che ne seguì non trovò nulla da eccepire sul loro comportamento. Il problema dei frequenti casi di autocombustione dei carichi di carbone sulle navi fu per molti anni senza soluzione. Fra i rischi dei viaggi per mare, questo era ritenuto uno dei più pericolosi. Negli anni compresi tra il 1873 e il 1880 furono 534 le navi affondate e 2.779 i marinai scomparsi a causa dell’autocombustione del carico³⁸.

Józef e gli altri marinai del Palestine dopo l’approdo si fermano a Singapore, sperando di essere assunti su uno dei velieri che periodicamente attraccano in quel porto. Non è facile, e dopo un mese di inutile attesa Józef si imbarca come passeggero su un piroscafo diretto a Londra. Qui, riceve dallo zio Tadeusz l’invito a passare un breve periodo di vacanza insieme a Marienbad, nel mese di luglio, dove è solito recarsi periodicamente per contenere i malanni di cui soffre da tempo. Lo zio si farà carico delle sue spese di viaggio e, durante il soggiorno nella nota città termale, sarà suo ospite. Si rivedono dopo cinque anni dai drammatici giorni di Marsiglia. Il viaggio da Londra, attraverso Bruxelles, Francoforte ed Egger, è lungo, ma Józef è felice di prendersi un periodo di riposo e tranquillità, senza doversi preoccupare del lavoro e del proprio sostentamento. Verso lo zio prova un affetto filiale, è di fatto il padre, severo ma protettivo, che non ha mai avuto. Tenta di convincerlo a sostenerlo in un investimento commerciale, ma Tadeusz non ha mai pensato che tra le qualità del nipote ci fosse una particolare propensione per gli affari. Il suo diniego è garbato, ma netto.

Dopo alcuni mesi di inattività, trova un imbarco come secondo ufficiale sul veliero a tre alberi Riversdale, ma i dissidi con il comandante Lawrence Browne McDonald durante il viaggio, a causa del carattere dispotico di quest’ultimo, lo portano a dimettersi dall’incarico e a scendere a terra a Madras, in India. Da lì si reca a Bombay, dove immagina di avere più possibilità di trovare un altro incarico. Durante il soggiorno nella tranquilla palazzina della Casa del marinaio vede un magnifico trealberi che desta subito la sua ammirazione, si chiama Narcissus. Tredici anni dopo Conrad darà quel nome alla nave protagonista del suo primo romanzo di mare, The Nigger of the “Narcissus”. Viene a sapere che a bordo manca un secondo ufficiale e si fa avanti per sostituirlo. Il 28 aprile 1884 il veliero salpa verso l’Europa e attraverso il Capo di Buona Speranza giungerà alla sua destinazione, Dunkerque, il 17 ottobre. Non è possibile sapere quante delle esperienze vissute nel viaggio confluiranno effettivamente nel libro. Conrad confiderà al suo primo biografo, Georges Jean-Aubry, che il viaggio si era svolto nella stessa maniera in cui lui l’aveva poi descritto, ma aggiungerà che «Non scrivo storia, ma narrativa, e ho quindi il diritto di scegliere a mio piacimento ciò che è più adatto, in relazione a personaggi e particolari, ad aiutarmi nelle impressioni che voglio produrre»³⁹.

Nel dicembre del 1884 Józef supera l’esame da primo ufficiale e nell’aprile dell’anno seguente ottiene il primo incarico, su un trealberi, il Tilkhurst, forse il miglior veliero della sua vita sul mare. Il comandante, Edwin J. Blake, è un uomo di rara capacità e carisma, non perde mai la calma, e guida gli uomini più con l’esempio che con ordini gridati. La nave porta un carico di carbone dall’Inghilterra sino a Singapore, e riporta in patria, da Calcutta, juta e altre merci. L’esperienza di oltre un anno sul Tilkhurst lo soddisfa sia sul piano professionale sia su quello umano. La vita gli pare piena di possibilità e di promesse durante quel viaggio, tanto che la sua forte immaginazione lo spinge a fantasticare su un cambio di obiettivi. Da Calcutta, scrive una lettera al connazionale e uomo d’affari Spiridion Kliszczewski, preannunciando con orgoglioso ottimismo il probabile superamento, al suo ritorno in Inghilterra, dell’ultimo esame della sua carriera sul mare. Ma il tema centrale della lettera è un altro, gli spiega che vorrebbe avviare in proprio un’attività di caccia alle balene. Ipotizza una bozza di piano finanziario, punto di partenza l’ottenimento di un prestito garantito dalla sua polizza vita, e gli chiede un consiglio riguardo la fattibilità dell’operazione. Illustra poi le ragioni personali di quel progetto: «Mi creda, a spingermi non è il desiderio di fare molti soldi. È semplicemente il desiderio di lavorare per me stesso. Sono stanco e stufo di navigare per quattro soldi e nessuna considerazione. Ma amo il mare, e se solo potessi guadagnarmi da vivere nel modo che Le ho indicato, sarei relativamente felice»⁴⁰. Il progetto viene presto abbandonato e, ripensando ai disastrosi investimenti dei tempi di Marsiglia, viene da pensare che il suo accantonamento sia stata un’ottima decisione.

Tornato in Inghilterra, quando si congeda da Blake riceve parole di stima che non dimenticherà. Adesso Józef ha due obiettivi importanti davanti a sé, superare l’esame da comandante e ottenere la cittadinanza inglese. Lo zio Tadeusz si sente finalmente rassicurato riguardo la serietà del nipote nell’affrontare la vita, la voglia di lavorare e di resistere alle difficoltà, e dirige le proprie raccomandazioni verso questi due obiettivi. Nella primavera del 1886 glielo ribadisce, sono «obiettivi finali della tua carriera, su cui insisto»⁴¹. Chissà se lo ha mai sfiorato l’idea che il nipote sarebbe diventato molto di più, uno dei maggiori scrittori europei.

La cittadinanza inglese arriva di lì a poco; ricevuta la notizia, Tadeusz il 9 settembre 1886 gli scrive: «Mi rallegro di cuore che il problema della naturalizzazione sia stato risolto, e perciò abbraccio il mio Inglese. Ti abbraccio una seconda volta come nipote e cento volte di cuore ti benedico»⁴². Pensa, da molto tempo, che solo la cittadinanza inglese può garantire a Józef un futuro sicuro lì dove ha scelto di vivere e di lavorare, ed è da sempre convinto che un ritorno in Polonia gli avrebbe procurato solo problemi con le autorità russe. In realtà, acquisirla è necessario, ma non sufficiente a eliminare il rischio di essere chiamato a prestare il servizio nell’esercito russo. Deve ottenere un formale via libera dall’ambasciata russa in Inghilterra e lo avrà solo tre anni dopo.

L’11 novembre 1886, Józef Teodor Konrad Korzeniowski riceve la patente 8361 di British master mariner (comandante). Non sono purtroppo rimaste lettere o note di diario in cui leggere la sua gioia e le sue riflessioni per quel successo tanto atteso. Lo si può immaginare, ricordando i guai di Marsiglia e le non sempre soddisfacenti esperienze sul mare. E si può immaginare la sua soddisfazione nel condividere la notizia con chi per anni lo aveva sostenuto e spronato. Di quelle sensazioni ci resta una pagina di A Personal Record: «Era un dato di fatto, mi dicevo, che adesso potevo inequivocabilmente considerarmi un capitano britannico di lungo corso. Non che io nutrissi un’esagerata considerazione di quel mio modesto successo, eppure sapevo, tuttavia, che la fortuna, l’occasione e qualsiasi altra influenza esterna non vi avevano avuto alcuna parte. Quel fatto, soddisfacente e oscuro in sé, aveva per me un certo significato ideale. Era la risposta a un certo dichiarato scetticismo, e anche a certe chiacchiere non proprio gentili. Avevo dimostrato di essere nel giusto, contro chi mi aveva accusato di perseguire con stupida ostinazione degli astratti capricci infantili»⁴³.

La lettera con cui Tadeusz risponde alla magnifica notizia, che sperava da anni di ricevere, è un concentrato della personalità dello zio. Dapprima uno dei soliti apprezzamenti avvolti di amichevole ironia: «Da moderato finanziatore dell’impresa, devo rallegrarmi che i miei soldi non siano stati sprecati e ti abbiano consentito di raggiungere il massimo nella professione che hai scelto [...]. Hai ventinove anni e un mestiere in mano, per il resto vai avanti come sai e come senti». Gli esprime poi un sollievo palese e un po’ beffardo dopo aver capito che il nipote ha rinunciato alla speculazione finanziaria nel settore trasporti cui aveva accennato tempo prima. Passa quindi a una raccomandazione pratica: se vuole tornare in Polonia, in una visita che renderebbe felice suo zio, deve prima definire anche con l’ambasciata russa a Londra la vicenda della sua cittadinanza, altrimenti potrebbe correre qualche rischio nella sua patria di origine. Infine, un saluto tra i più accorati che Józef abbia mai ricevuto, e che ricorderà a lungo, con commozione: «Vai, fratello mio, di nuovo per il mondo per mare, probabile che per ora a terra tu non abbia nulla da fare. Scrivi dove, per quali luoghi, per quanto tempo. Scrivi durante il viaggio, ed ora ti abbraccio e ti benedico»⁴⁴.

Il 1886 è un anno importante per lo scrittore Joseph Conrad: per partecipare a un concorso letterario indetto dalla rivista «Tit-Bits», scrive il suo primo racconto, The Black Mate, ambientato sul mare e ispirato alla vita di bordo. Il testo non viene accettato, Conrad lo riscriverà e pubblicherà nel 1908 nel periodico «London Magazine». Della prima stesura non è rimasta alcuna traccia, evidentemente non convinceva neppure lui, vista l’attenzione e la cura con cui per tutta la vita ha conservato lettere altrui e scritti propri.

Nonostante la promozione a Master Mariner, Józef versa in gravi ristrettezze economiche. La morte del fratello di Tadeusz, Kazimierz, il 20 aprile di quell’anno, rende difficile allo zio continuare a inviargli denaro, come ha sempre fatto regolarmente sin dalla partenza del nipote verso Marsiglia. Il fratello ha lasciato una vedova e dei figli, e ancora una volta Tadeusz deve farsi carico di mantenere i membri della sua famiglia.

Per Józef non è facile ottenere un primo comando, le compagnie di navigazione tendono a privilegiare l’esperienza. Lui è sempre stato diverso dagli altri ufficiali, è capace di discorrere amabilmente di tutto, ma passa buona parte del suo tempo libero in solitudine, a leggere e a scrivere lunghe lettere. Non beve alcolici, e anche questo lo distingue non poco dai colleghi, ben propensi a visitare le taverne dei porti a ogni attracco. I suoi modi distinti, aristocratici, attirano interesse ma anche perplessità, il nome e l’accento lo fanno accostare ai russi – con suo sommo fastidio –, nemici potenziali per eccellenza degli inglesi nel grande gioco in Asia centrale, e suscitano domande sul suo passato. Insomma, per gli armatori, uno così è considerato in bilico tra affidabilità comprovata dallo stato di servizio e imprevedibilità di carattere.

Il 16 febbraio 1887, non avendo trovato incarichi da comandante, si rassegna ad accettarne uno come primo ufficiale del brigantino a palo Highland-Forest, destinazione Indonesia, i porti di Giava e di Semarang. Purtroppo la nave è ferma nel porto di Amsterdam, in attesa del carico da portare in Oriente, che però non arriva perché bloccato dai ghiacci. Józef passa molti giorni in quella città gelida e grigia, la solitudine è attenuata solo dalle ore passate in un caldo e ospitale caffè del centro. L’attesa gli pare interminabile e lo tormenta il pensiero di non aver avuto possibilità di comandare una nave. Pensa che ogni giorno che passa lo allontani da occasioni e possibilità, magari un veliero da guidare verso mari lontani. In Lo specchio del mare evocherà così quel momento della sua vita e quei paesaggi: «[...] il terreno incolto spruzzato di neve, le visioni di navi congelate in fila, che apparivano vagamente come cadaveri di bastimenti neri in un mondo bianco, tanto sembravano silenziose, prive di vita, senz’anima»⁴⁵.

Con il passare dei giorni il gelo apre le sue morse e finalmente iniziano ad arrivare le merci da caricare nella stiva della nave. Il comandante però non è ancora stato individuato, e così spetta a Józef dirigere le attività di carico. Lo stivaggio è un’operazione complessa che, se mal realizzata, può creare gravi problemi durante la navigazione. A causa del naturale rollio e beccheggio, e ancor più all’improvviso durante una tempesta, il carico può spostarsi bruscamente, sbilanciando in modo irreparabile la nave. Occorre avere buone nozioni teoriche da adeguare a ogni singola imbarcazione, ognuna con proprie peculiarità. Finalmente appare il comandante, un ometto vestito in modo singolare, e con una bombetta in testa, il suo nome è John McWhir; Conrad chiamerà Tom MacWhirr, anni dopo, il protagonista di Tifone. Il comandante apprezza il lavoro di distribuzione delle merci, svolto correttamente, resta però contrariato nell’apprendere che quelle più pesanti sono state sistemate in alto. Si tratta di un errore grossolano che minaccia l’altezza metacentrica della nave, già modesta in un veliero. Un errore che Józef pagherà caro. Durante la navigazione, infatti, il rollio sarà forte e continuo, finché, dopo una scossa più violenta del solito un pennone cadrà da uno degli alberi, colpendolo alla schiena e facendolo volare avanti per molti metri. L’incidente, avvenuto poco prima dello sbarco a Semarang, gli provoca conseguenze gravi e prolungate, tanto da fargli lasciare la nave. Giunto con un vapore a Singapore, un medico dell’European Hospital gli prescrive di restare immobile a letto, sdraiato sulla schiena, per almeno tre mesi.

In realtà, dopo due mesi, è già pronto per tornare a bordo di una nave. Prende servizio su un piccolo ma ben attrezzato piroscafo, il Vidar, che trasporta merci da un porto all’altro dell’arcipelago malese. Il giovane comandante, David Craig, è abile e appassionato al proprio lavoro. Come tutte le navi a vapore, il Vidar necessita di un minor numero di marinai (in primo luogo, di gabbieri) e di adempimenti meno specialistici. Józef ha quindi modo di recuperare le forze, senza sottoporsi a eccessivi strapazzi. Quel girovagare tra isole e porti gli consente di scoprire e conoscere meglio un mondo affascinante e misterioso. Anni dopo ambienterà proprio in quell’arcipelago di isole boscose, porti tranquilli e profumi sin troppo ammalianti, una parte delle proprie opere: La follia di Almayer, Un reietto delle isole, Lord Jim, Vittoria: un racconto delle isole, Il salvataggio.Conoscerà personaggi indimenticabili, occidentali che si sono lasciati andare, marinai che hanno perso la rotta della propria vita, sino a divenire degli outcasts, come Kaspar Almayer,altri che invece resistono ai venti e alle maree sino alla fine, come il comandante Tom Lingard di Il salvataggio.

Dopo alcuni mesi di tranquillo e serio lavoro sul piroscafo, Józef prova una crescente irrequietezza, pensa che il suo destino non può essere quel girovagare senza prospettive di avventura e di affermazione personale. Non gli basta più, teme che a lungo andare finirebbe per divenire anch’egli un outcast delle isole, senza più desiderio o possibilità di tornare in Europa, senza più grandi sogni per il futuro. Così, il 5 gennaio 1888, si dimette dal suo incarico e scende a terra. Una decisione talmente importante per la sua vita da divenire anni dopo il punto di partenza di uno dei suoi racconti più belli, The Shadow Line. Il comandante Craig appare sorpreso, ma non troppo, sapeva di avere a che fare con un uomo di rare qualità, ma perennemente inquieto e insoddisfatto, anche di se stesso.

Mentre riflette sul da farsi, nella Casa del Marinaio di Singapore, è convocato dalla Capitaneria di porto. Gli viene proposto il comando di un brigantino a palo, l’Otago, fermo da vari giorni a Bangkok a causa dell’improvvisa morte del comandante. Il piccolo veliero trasporta merci di vario tipo – dal carbone al legno di teak – tra Australia, Hong Kong e i porti dell’arcipelago malese. A parte il giorno alla guida della scialuppa del Palestine, mai aveva comandato un’imbarcazione, si tratta del suo First Command. Scrive subito a zio Tadeusz e parte per Bangkok con il piroscafo Melita, sul quale la Capitaneria di porto lo ha imposto come passeggero. Una volta salito a bordo dell’Otago, scopre che l’equipaggio è quasi tutto ammalato, sofferente per febbre e dissenteria; tra l’altro, i marinai, abbandonati a se stessi da molti giorni, hanno perso l’abitudine a essere guidati da un ufficiale. Il comandante Korzeniowski riesce a spronarli, li invita a recuperare salute fisica e senso del dovere, e a ripartire con la nave. A causa della scarsità di vento, non rara in quella stagione nel Golfo del Siam, occorreranno tre settimane di navigazione per coprire le 800 miglia che distanziano i due porti. Alla fine riesce a guidare nave ed equipaggio sino a Singapore, salvandoli. Conrad rievocherà la vicenda in due racconti, Falk, del 1903, e The Shadow Line, del 1917, ma i due scritti non sono memorie, non sono diari arricchiti di parti romanzate; della sua esperienza vuole rappresentare solo l’impressione profonda, etica e personale, non i dettagli di tempo e di luogo, e neppure l’esatto carattere dei personaggi. Per molto tempo, comunque, durante la stesura di The Shadow Line, pensa di intitolarlo proprio First Command. È il suo primo vero comando di una nave, e lo assolve con onore, nulla resterà uguale in lui da allora; se si vogliono trovare conferme biografiche sugli eventi e sul suo operato, basta leggere i documenti riportati nelle biografie di Jocelyn Baines e Zdzisaw Najder, soprattutto una missiva speditagli da Bangkok dal medico William Willis, datata febbraio 1888, e conservata nella Collezione Keating a Yale, dove uno dei medici che hanno curato l’equipaggio gli esprime la propria ammirazione per aver salvato quei marinai stremati da malattie tropicali: «Posso dire per diretta conoscenza che avete fatto quanto era in vostro potere [...] per salvare la vita degli uomini ai vostri ordini»⁴⁶. Una lettera forse sollecitata dallo stesso Józef, ma sulla cui attendibilità non sussiste alcun dubbio.

A Singapore, l’equipaggio viene sostituito quasi interamente e l’Otago può riprendere la navigazione verso le sue destinazioni commerciali, Sydney per scaricare una partita di legname, Melbourne per consegnare oltre duemila sacchi di grano.

Una conferma oggettiva della maestria e del carattere dimostrati viene dagli stessi armatori del veliero, che gli affidano subito un importante incarico commerciale: dirigersi verso l’isola Mauritius per importare un carico di zucchero. L’isola si trova nell’Oceano Indiano, a est del Madagascar, dopo un secolo di dominio francese, dal 1810 era divenuta una colonia britannica. In questa occasione il British master mariner Korzeniowski realizza il capolavoro della sua professione sul mare. Siamo in maggio, in Australia è autunno e il mare presenta grandi incognite; molti armatori e comandanti in quella stagione preferiscono puntare la rotta verso est, verso Capo Horn, ben più lunga ma più sicura. Lui ha un’altra idea, propone agli armatori la rotta più rischiosa, ma più breve e rapida che passa a Nord del continente australiano, e può far arrivare un veliero nell’Oceano Indiano, fino all’isola Mauritius, sulla spinta dei venti alisei che soffiano da sud-est. Tutta la passione giovanile per le esplorazioni, «tutto il latente senso storico delle avventure di esplorazione nel Pacifico salì alla superficie del mio essere»⁴⁷. Tempeste a parte, la maggiore fonte di pericoli è rappresentata dal labirinto di scogli e piccole isole nello Stretto di Torres, che separa l’Australia dalla Nuova Guinea e dalla barriera corallina che corre parallela alla linea costiera dell’Australia nord-orientale. Scrive agli armatori proponendo la sua idea e loro, pur evidenziando i maggiori costi assicurativi, gli rispondono dandogli via libera, purché «la stagione non sia così inoltrata da mettere in pericolo la traversata». La stagione, in realtà, era più che inoltrata, Józef non lo ha precisato nella sua lettera, ma decide di tentare ugualmente. «Non fingerò rammarico per il mio strappo alla sincerità, perché cosa sarebbero stati per me i ricordi della vita marinara se non avesse incluso una traversata dello Stretto di Torres, in tutta la sua estensione, dalla foce del gran fiume Fly in avanti, sulla scia dei grandi navigatori?»⁴⁸.

E così, il viaggio nello Stretto comincia. Lo emoziona il pensiero che quella dell’Otago sarebbe stata forse la prima e probabilmente l’ultima rotta di una nave mercantile per quella via. Partono dal porto all’alba, a vele spiegate, tutt’intorno «acque spazzate dal vento, assolate e deserte, semivelate da una brillante foschia». Durante la navigazione avvistano i relitti di velieri finiti in secca o sugli scogli, e rimasti lì per sempre. L’Otago vola attraverso lo Stretto e lo supera. Scegliendo con cura le rotte secondarie rispetto alla direzione principale, calcolando bene soste nelle isole e maree, nonché i cambi di vento, in meno di sessanta giorni di navigazione il comandante Korzeniowski riesce ad approdare a Port Louis, il centro nevralgico dell’isola di Mauritius. Il luogo e l’ambiente sociale lo affascinano: la particolare gradevolezza del clima, le ampie montagne che dominano la rada, l’architettura coloniale francese, la vivacità culturale della città, ricco punto di transito per le rotte che congiungono Oceano Atlantico e Oceano Indiano. Tra l’altro, tutti parlano francese. Uno come lui non può passare inosservato: sempre elegante e distinto, comandante di un piccolo ma ben disegnato veliero e con tante esperienze da raccontare, astemio e mai volgare nel parlare, capace di discorrere in un francese sofisticato. L’origine nobiliare, che non si cura certo di nascondere, aggiunge fascino e intrigante mistero. È molto diverso dalla maggior parte degli ufficiali di varia nazionalità che passano dall’isola, grevi nel parlare e sciatti nel vestire.

In una delle sere in cui è ospite della buona società cittadina conosce la giovane e graziosa Alice Shaw, figlia di un grosso fornitore marittimo; il loro rapporto si ferma a una piacevole conversazione intorno a libri e viaggi sul mare, lei ascolta incantata i suoi racconti di tempeste e di antiche città europee; la differenza di età però è davvero troppa, lui ha trentun anni, lei diciassette. Più densa di aspettative concrete l’attrazione che prova per la ventiseienne Eugénie Rénouf, sorella di Henri, agente marittimo dell’Otago. Tra i due nasce qualcosa, lei gli appare intellettualmente vivace, una donna interessante sotto vari punti di vista. Poi però scopre che è già promessa in sposa al farmacista di Port Louis. Un brutto colpo, avrebbe voluto saperlo subito, prima di sbilanciarsi e parlare di matrimonio con il fratello di lei, due giorni prima della data fissata per la ripartenza dell’Otago, il 22 novembre 1888. Proprio Henri gli spiega la situazione e lui prova una profonda delusione, per non essere stato avvertito dalla ragazza. Si sente ridicolo, immagina i commenti sulla sua ingenuità, decide quindi di non scendere più dalla nave nei due giorni che restano. Avvisa con una lettera le persone dell’isola che aveva frequentato in quei giorni, aggiungendo che una volta partito da lì non sarebbe mai più tornato. Rievocherà quell’avventura umana, quel senso di delusione, ma anche di desiderio di fuga, nel racconto Un briciolo di fortuna, del 1911. Nel racconto, la protagonista si chiama Alice, forse il ricordo della diciassettenne era più romanticamente intrigante di quello di Eugénie, meno disturbato dalla frustrazione subita. Come sempre, comunque, anche questo racconto non va letto come la biografia di un breve periodo della sua vita, ma come la descrizione di un sentimento, di un dolore, che Conrad ha serbato dentro di sé. Un riferimento biografico concreto è l’affare involontario e quindi fortunato che realizza prima della partenza. Proprio da Henri Rénouf acquista malvolentieri ma a buon prezzo – forse Henri voleva farsi perdonare qualcosa – un carico di patate, da rivendere in Australia; tornato a Melbourne, il 5 gennaio 1889, scopre che una carestia ha fatto rialzare notevolmente il prezzo dei tuberi, e così ottiene per i suoi armatori un notevole guadagno. Loro, a questo punto, sono ancora più entusiasti del proprio comandante: oltre che marinaio di gran classe, ha dimostrato una rara abilità commerciale. Dopo un altro breve viaggio per imbarcare a Port Spencer un carico di grano da portare a Port Adelaide, entrambi nel Sud dell’Australia, decide di chiudere con la sua esperienza di comandante dell’Otago. Concluso quell’ultimo viaggio, gli propongono infatti di tornare all’isola di Mauritius, in vista di un altro carico di zucchero da portare in Australia. Lui però non sopporta l’idea di tornare a Port Louis, ed è stanco di quella vita. È arrivato a trentun anni senza conseguire risultati memorabili: non ha comandato grandi navi, solo l’Otago, il piccolo brigantino a palo di 345 tonnellate. Delusioni a parte, a Port Louis aveva ritrovato qualcosa che gli pareva di aver dimenticato: conversazioni brillanti, cultura, donne belle ed eleganti, possibilità. Nel mare, nel viaggiare senza fine da un porto all’altro, per compensi modesti, vede una vita, la propria, che scorre via per giorni, mesi e anni senza una prospettiva di lungo periodo.

A questo proposito, scrive il suo biografo Najder: «Doveva essersi sentito oppresso dalla sensazione di essere tagliato fuori dall’Europa, privato di giornali, libri e notizie aggiornate. Perfino le possibilità di migliorare il suo inglese erano scarse: uno dei suoi ufficiali sull’Otago era tedesco e l’altro era finlandese»⁴⁹.

Negli ultimi mesi, intanto, zio Tadeusz si era fatto sentire raccomandandosi ancora e più volte affinché Józef definisse, una volta per sempre, le pratiche della cittadinanza inglese con la burocrazia zarista. Solo una chiusura della pratica anche da parte russa, non solo da parte britannica, poteva garantirgli un ritorno sicuro in Polonia, per rivedere lo zio prima che fosse troppo tardi. Tadeusz non manca, infatti, di aggiornarlo su parenti e conoscenti scomparsi, portati via dall’età o dai malanni, e di evidenziare che i suoi peggiorano con il passare del tempo. Vorrebbe tanto rivederlo un’ultima volta. In una lettera del 12 settembre 1888 scrive: «Non intendo influire affatto sulla tua decisione di prolungare o meno la tua permanenza là[in Australia, ndr]ma per una persona anziana è estremamente attraente e interessante fare i conti col tempo che le rimane da vivere e con l’attesa: fino a quando le riuscirà di vedere le persone che le sono care a

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