Natura e uomini creano i boschi (che in Italia sono raddoppiati)

Danilo Zagaria legge Mauro Agnoletti

Le foreste della penisola censite nell’«Atlante» di Mauro Agnoletti, pubblicato da Laterza

Danilo Zagaria | Corriere della Sera | 4 gennaio 2023

A sei chilometri dalla città di Mantova sorge una selva che prende il nome, bosco Fontana, da una fonte che risale al Medioevo. È di piccole dimensioni — non supera i 250 ettari — ma la sua storia è un bignami delle vicende lombarde e italiane. Dopo essere stata una riserva di caccia dei Gonzaga, passò agli austriaci, che fecero della foresteria una polveriera e poi un loro quartier generale. Durante le Grande Guerra le farnie, i carpini e gli ontani furono fondamentali per il contrattacco italiano sul Piave, che venne attraversato grazie ai ponti costruiti col legname mantovano. Oggi, dopo una devastante tempesta nel 1949 il bosco Fontana è una riserva naturale fra le cui fronde trovano riparo diverse specie di mammiferi e di uccelli.

La storia della riserva Fontana, insieme a quelle di altri cinquanta boschi nostrani, dalle selve alpine della Valle d’Aosta ai castagneti lucani, è raccolta nel nuovo libro di Mauro Agnoletti, Atlante del boschi italiani, in libreria per Laterza. Il volume è una carrellata di storie ma, soprattutto, è il racconto di come i boschi della penisola, soprattutto quelli caratterizzati da un alto valore paesaggistico, siano il risultato di un intreccio durato secoli. Agli eventi naturali si sono infatti sommate varie tipologie di gestione artificiale, dando luogo a scenari unici che mostrano l’influenza delle attività umane — dall’agricoltura alla pastorizia, dalla gastronomia alla politica — sulla componente arborea.

L’Atlante di Agnoletti, docente di Storia del paesaggio e Pianificazione forestale all’Università di Firenze, è un libro che regala le sorprese migliori quando viene aperto a caso e proietta il lettore nel bel mezzo di un bosco di cui fino a poco tempo prima ignorava l’esistenza. È così che si viene a conoscenza, ad esempio, dell’importanza che la «civiltà del castagno», fondamentale nella relazione fra gli italiani e i boschi, ha avuto nel plasmare le aree verdi della penisola. I castagneti che si arrampicano sui versanti dell’antico vulcano del Vulture, in provincia di Cosenza, sono fra i più rinomati, così come quelli calabresi che sorgono sul monte Reventino, già ammirati dal poeta inglese Henry Swinburne durante il suo Grand Tour alla fine dell’Ottocento. Non sono da meno le sugherete galluresi, situate nel nord della Sardegna, epicentro dell’economia nazionale del sughero, o il bosco della Partecipanza di Trino, posto fra le risaie del vercellese, nel cui nome si nasconde un’antica forma di gestione collettiva del bosco e dei suoi prodotti.

Ma l’ultima fatica di Agnoletti (del quale sarebbe opportuno recuperare anche Storia del bosco. Il paesaggio forestale italiano, edito sempre da Laterza) non è soltanto un concentrato di storie regionali e curiosità boschive. Col passare delle pagine e delle cartine emergono infatti un paio di tendenze che l’autore ha voluto rimarcare sia nell’introduzione che nelle varie schede dedicate ai boschi. La prima è piuttosto sorprendente, soprattutto se si pensa alle notizie sullo stato in cui versano le foreste terrestri. I boschi italiani, in controtendenza rispetto ai dati raccolti in molti Paesi, sono raddoppiati nel corso dell’ultimo secolo. Se nel 1936 coprivano un’area di territorio di poco superiore ai 5 milioni di ettari, oggi la loro estensione arriva a ben 11 milioni. La spiegazione risiede nella svolta epocale verificatasi nella seconda metà del secolo scorso, quando gli italiani abbandonarono in massa monti e campagne per andare a vivere nelle città. La ripresa del bosco, come spiega l’autore, è avvenuta «soprattutto in montagna e in collina, sviluppandosi naturalmente su aree agricole e pascoli un tempo coltivati e poi abbandonati».

A questo dato ne va però aggiunto un altro, attorno al quale si sviluppa l’intero progetto dell’Atlante di Agnoletti. Le forme di tutela che oggi vengono attuate per salvaguardare i boschi italiani vanno tutte in una direzione ben precisa: «Conservare e ricercare il massimo grado di naturalità». Se però teniamo presente che nessun bosco italiano può essere considerato scientificamente naturale, perché la sua storia è stata influenzata dall’uomo, allora è palese che restano escluse dalla tutela tutte quelle attività e quelle caratteristiche che hanno reso il bosco un tutt’uno con le popolazioni che l’hanno abitato, gestito, sfruttato e conservato. In questo senso l’Atlante è un vero e proprio strumento di testimonianza, dato che racconta una complessità nazionale destinata a sfibrarsi e a sparire nel corso del tempo.