Risorgimento atlantico. I patrioti italiani e la lotta internazionale per le libertà 

Un’intervista ad Alessandro Bonvini

Dott. Alessandro Bonvini, Lei è autore del libro Risorgimento atlantico. I patrioti italiani e la lotta internazionale per le libertà edito da Laterza. Il libro offre una visione “allargata” di quel fenomeno che va sotto il nome di Risorgimento, le cui origini si troverebbero nei Caraibi, nella cospirazione contro l’impero borbonico da parte di agitatori e napoleonici che si arruolarono poi sotto le bandiere dei libertadores sudamericani: cosa rappresentò, per la storia dell’epoca e successiva, il patriottismo atlantico?
Il patriottismo del Risorgimento fu un’epopea di “vite globali”, impossibili da contenere dentro i confini della penisola italiana. Per circa un secolo, avventurieri in cerca di gloria e intrepidi condottieri, giovani in camicia rossa e pensatori cosmopoliti si batterono per la causa dei popoli oppressi. Senza mai abbandonare le speranze di unità nazionale, ordirono cospirazioni contro re e imperatori, stabilirono alleanze internazionali per rovesciare il sistema del Congresso di Vienna, guidarono eserciti e legioni multietniche di combattenti, scrissero e teorizzarono immaginando una società fondata sui princìpi di autodeterminazione, sovranità popolare e uguaglianza.

Figure quali Guglielmo Pepe, generale murattiano e leader della Carboneria, Giuseppe Lamberti, instancabile organizzatore della Giovine Italia in esilio, o Ercole Saviotti, garibaldino che combatté nell’esercito messicano di Benito Juárez al tempo dell’invasione francese, concepirono sempre i propri obiettivi alla luce dei grandi processi di modernizzazione che, a partire dall’età delle rivoluzioni, avrebbero messo in crisi il mondo di ancien régime. Inoltre condivisero ideali, esperienze in armi e progetti politici con una comunità che comprendeva i principali protagonisti dell’epoca, da Simón Bolívar a Lord Byron, da William James Linton a Benito Juárez. Fino a trasformare l’Atlantico nel grande proscenio della sfida per le libertà. Dall’intreccio delle loro biografie, allora, il Risorgimento riappare sotto una luce completamente nuova. Non tanto con il suo peso di cocenti delusioni e amare sconfitte, quanto invece come una storia di progresso e di successi: una storia avrebbe aperto all’Italia il cammino verso la modernità.

Quale contributo offrirono alla difesa dei governi costituzionali iberici liberali e mazziniani?
Tra gli anni Venti e Trenta dell’Ottocento la penisola iberica fu uno degli epicentri atlantici della lotta contro l’assolutismo. In circa un decennio, sperimentò quasi tutto il repertorio dell’insorgenza politica: pronunciamenti, conflitti civili e scontri dinastici, guerre di liberazione. Per il patriottismo risorgimentale, la difesa del costituzionalismo iberico costituì una causa profonda. Fu invocata in nome della fratellanza tra nazioni sorelle e rappresentò l’ultima resistenza contro l’ordine di ancien régime. Prese forma tra il 1820 e il 1823, durante il Triennio Liberale, quando esuli del Regno di Sardegna e del Regno delle Due Sicilie furono accolti dal governo delle Cortes. Tra Barcellona e Madrid, pubblicarono cronache dei moti italiani e catechismi politici, organizzarono legioni di combattenti per frenare l’invasione francese e animarono associazioni patriottiche, trasformando la Spagna in una delle piattaforme globali della cosiddetta “internazionale liberale”.

La cooperazione tra patriottismo risorgimentale e patriottismi iberici, tuttavia, non si esaurì con il crollo del regime gaditano. Anzi, si rinsaldò al tempo della Guerra di successione portoghese e della Prima guerra carlista. In Portogallo, circa cento volontari italiani presero le armi per sostenere la reggenza di Maria II contro il tentativo di restaurazione assolutista dello zio Michele. Convinzione comune era che il successo della fazione liberale avrebbe innescato una serie di vittorie a catena ai danni della Santa Alleanza. Ne era certo Manfredo Fanti, uno dei futuri architetti dell’esercito regio, che scrisse: «Di Portogallo seguirà la sorte di Spagna, e l’età provetta di Filippo, e l’ultimo trionfo dei radicali in Svizzera a costo di sangue, fa travedere grandi e prossime complicazioni». Così, quando Don Carlos si autoproclamò reggente, gli italiani dei Cazadores de Oporto sbarcarono in Catalogna per difendere la fazione liberale e riformista di Isabella II. Mentre diplomatici e funzionari dei regni pre-unitari li consideravano pericolosi sovversivi, agli occhi di Mazzini, invece, si presentavano come il nerbo del futuro esercito nazionale: un corpo di soldati-patrioti capaci di rilanciare e guidare la lotta per l’unificazione sulla penisola italiana.

In che modo garibaldini e radicali risposero alla chiamata in armi di Abraham Lincoln?
La Guerra civile americana non fu soltanto uno scontro tra progetti nazionali contrapposti, ma rappresentò un vero e proprio conflitto globale. Da un lato, i repubblicani di tutto il mondo invitarono l’Unione a battersi per l’abolizione della schiavitù, le libertà civili e l’uguaglianza dei cittadini. Dall’altro, conservatori e monarchici speravano che il successo della Confederazione assestasse un colpo definitivo all’azione dei movimenti democratici. Perciò, quando nell’aprile 1861 iniziarono le operazioni militari, New York fu inondata di manifesti per l’arruolamento di volontari. La città – immortalata da Martin Scorsese nell’indimenticabile Gangs of New York – era a tutti gli effetti un microcosmo di etnie, nazioni e religioni, popolato da una massa di disoccupati in cerca di lavoro.

I leader della comunità italiana ebbero un ruolo di rilievo nell’organizzazione dei combattenti stranieri. La prima campagna fu intrapresa dal genovese Alessandro Repetti, ex proprietario della Tipografia Elvetica di Capolago. Nel cuore di Manhattan, invece, il mazziniano Luigi Tinelli fondò i First Foreign Rifles: un corpo formato da unità locali della Guardia Nazione Italiana e reduci della guerra di Crimea. A Broadway, Luigi Palma di Cesnola diede vita alla War School of Italian Army: un’accademia che offriva alle giovani reclute lezioni di diritto militare, organizzazione della fanteria e strategia. Questi corpi non formarono una legione autonoma, ma si unirono nel 39° reggimento, simbolicamente ribattezzato Garibaldi Guard.

Per i volontari italiani, combattere per gli unionisti esaudiva ambizioni e aspirazioni politiche che, quasi automaticamente, tendevano a sovrapporre la questione americana con la causa repubblicana globale. Giovani emigrati e veterani delle guerre d’indipendenza concordavano che il successo del Nord avrebbe inferto un duro colpo all’ordine monarchico e legittimista nel Vecchio Continente. Ciononostante, la spinta all’arruolamento rifletté anche questioni di natura sociale, riguardanti il background, la posizione economica e lo status individuale degli stessi volontari. Il servizio in armi avrebbe legittimato queste adesioni iniziali, oltre a garantire un salario stabile, la futura cittadinanza e un’accelerazione nel processo di integrazione nella comunità nazionale degli Stati Uniti.

La lotta per l’indipendenza di Cuba segna un altro capitolo nella storia dei patrioti universali: quali vicende videro coinvolte i volontari garibaldini?
I rapporti tra patriottismo cubano e patriottismo risorgimentale affondavano le radici nell’età delle rivoluzioni, ma si consolidarono dopo il 1848. A New York, intorno ai circoli della diaspora, esuli italiani e cubani definirono alleanze e strategie per l’acquisto di armi e l’organizzazione di imprese corsare. A questo periodo risalgono alcuni rumors, fatti circolare dalla diplomazia spagnola, che denunciavano addirittura il coinvolgimento di Giuseppe Garibaldi in una missione clandestina diretta a L’Avana. È invece documentata la presenza di un volontario bergamasco della Prima guerra d’indipendenza, Giovanni Placosio, nella spedizione guidata dall’ufficiale ribelle Narciso López e salpata il 2 agosto 1851 da New Orleans, a bordo del piroscafo El Pampero.

Il punto di svolta della solidarietà filo-cubana si registrò nel 1895, quando José Martí annunciò l’inizio dell’insurrezione indipendentista. Il suo grido suscitò un moto di commozione che scosse trasversalmente repubblicani e socialisti. Con la Francia, l’Italia sarebbe diventata la principale piattaforma dell’indipendentismo cubano in Europa. Nell’aprile 1896, i deputati Salvatore Barzilai, Giovanni Bovio, Antonio Fratti e la scrittrice Adele Tondi fondarono a Roma il Comitato italiano per la libertà di Cuba. A coordinarlo fu il medico abruzzese Francesco Federico Falco. In pochi mesi, il comitato aprì liste di arruolamento nazionale, promosse eventi pubblici, raccolse donazioni e finanziamenti, animò un’intensa attività di propaganda su giornali e riviste. Manifesto ideologico del movimento filo-cubano fu il pamphlet La lotta di Cuba e la solidarietà italiana. Scritto e pubblicato dallo stesso Falco, il saggio era intriso di tutti i leitmotiv della retorica risorgimentale. Faceva appello allo spirito romantico delle rivoluzioni nazionali e si richiamava all’eroismo dei grandi patrioti del passato: Santorre di Santarosa, «morente per la libertà della Grecia», Giuseppe Cavallotti e Giorgio Imbriani, «cadenti per la Francia». Era l’esempio del loro sacrifico che avrebbe consacrato l’emancipazione dell’ultimo avamposto dell’impero spagnolo nel Nuovo Mondo.

In che modo le speranze di rinascita italiana facevano da sfondo a questa “militanza” globale?
L’anelito a battersi per la causa di altri popoli si fondava su un paradigma di fratellanza universale, che congiunse in un’unica dimensione lotta nazionale e lotta internazionale. Nel corso dell’Ottocento, alla tradizionale categoria di “patriottismo dell’odio” si affiancò quella di universalismo patriottico, i cui caratteri essenziali erano da ricercarsi nei tratti di comunanza con quei popoli che si reputavano compartecipi dello stesso moto storico. Era il prodotto di una coscienza avanzata, erede dalla cultura illuminista e che sarebbe stata arricchita dai repertori dell’attivismo liberal-costituzionale, per essere, infine, formalizzata dal repubblicanesimo nazionale e recepita anche dalle correnti radicali tardo ottocentesche.

Rimodulando l’universalismo dell’età dei Lumi e anticipando forme di internazionalismo tipiche del XX secolo, carbonari e mazziniani, unitari e democratici, anche prima dell’unificazione, contribuirono a fare dell’Italia un soggetto storico autonomo, al centro dell’arena politica internazionale. Connettere le loro vicende con gli eventi dell’epoca offre la possibilità di rileggere un momento cruciale della storia italiana, nonché di ripensare il Risorgimento alla luce delle trasformazioni che segnarono il passaggio verso l’età contemporanea.

 

Letture.org, 8 febbraio 2022