Come una bufala diventa “verità”

Giulio Busi legge Francesca Trivellato

Nel ‘600 Étienne Cleirac sostenne che «i furbi infami» avevano inventato le lettere di cambio, con le conseguenti speculazioni: tesi che si è sedimentata negli anni

Giulio Busi | Domenica – Il Sole 24 Ore | 5 dicembre 2021

La storia si fa con i fatti o la si racconta mettendo una leggenda dopo l’altra, come si montano le tessere di un mosaico irreale, misterioso?

La maggior parte di noi, senza pensarci troppo su, risponderebbe sicura che uno storico deve tenersi il più lontano possibile da invenzioni, favole, apologhi. A ciascuno il suo mestiere. Al romanziere le novelle, allo storico i dati verificabili, questa la vulgata corrente. E un’opinione sensata, che vale nella maggior parte dei casi ma non sempre. Nel suo Ebrei e capitalismo, uscito per Laterza, Francesca Trivellato ci offre un esempio di ottima storiografia imbastita su fraintendimenti e stereotipi.

Tutto è “serio” e ben documentato, ci mancherebbe. A essere fuori fase, prive di fondamento sono le fonti, e il compito dell’autrice è risalire, con spirito da esploratrice, lungo le sorgenti bugiarde, per portare alla luce invenzioni e imbrogli. Immaginate il classico sassolino, che si metta a rotolare quasi per caso. Dopo pochi metri, la pietruzza è diventata una cascata di sassi. Più in là, i sassi si sono trasformati in slavina. Il sassolino in questione l’ha gettato, con malizia, un rispettabile giurista francese del Seicento. Etienne Cleirac, questo l’iniziatore di tanto trambusto, un nome che nessuno, o quasi, ricorda più.

Trivellato ha un debole per i personaggi minori, le comparse della storia, e non lo nasconde. Anzi, della ricerca dei contributi dimenticati e delle voci marginali ha fatto uno dei punti di forza del suo metodo. Con scoperte assai interessanti. Del resto, le leggende hanno bisogno dell’ombra per attecchire, e sono più forti se vanno di bocca in bocca, figlie di tutti e di nessuno.

Cleirac, all’età sua, godeva di una certa fama, ma non era sicuramente un gigante intellettuale. Colto ma non troppo, sfoggiava una vena da imbonitore, che gli faceva mescolare con disinvoltura verità e finzione. Il sassolino di cui parliamo si trova in un denso volume sugli usi di mare e sul diritto marittimo. Cosa c’entrano gli ebrei, con la giurisprudenza in mare? Nulla o quasi, e così deve essere, altrimenti che leggenda campata in aria sarebbe mai? Di sicuro Monsieur Cleirac gli ebrei non li poteva soffrire, come del resto non gli stavano simpatici mercanti e uomini d’affari italiani, e tanto gli bastò per lanciare la fatidica pietruzza.

Non si sa bene in che epoca, se nell’alto o nel basso Medioevo, comunque a dar retta al nostro giurista gli ebrei, cacciati dal suolo francese, avrebbero escogitato una trovata ingegnosa: «la necessità insegnò a questi furbi infami a servirsi di lettere segrete, e di biglietti scritti con poche parole e sostanza, come sono ancora le lettere di cambio, indirizzate a coloro cui avevano affidato quei beni, e che tenevano loro bordone. E tutto ciò lo fecero tramite … mercanti stranieri … gli italiani lombardi, spettatori e ministri di questo intrigo ebraico, ne ritennero il formulario [di queste lettere] e da allora seppero ben servirsene». Vi siete persi? E normale, poiché Cleirac ha uno stile involuto e una mente contorta. Il messaggio di fondo è però semplice. Sono stati gli ebrei a inventare le lettere di cambio, e i banchieri “lombardi”, ovvero provenienti dalla penisola italiana, famosi per aver diffuso questo sistema di pagamento, sarebbero stati solo gli allievi della “malizia giudaica”.

Per quanto strampalata e priva di fondamento, la trovata pseudo storica, escogitata a metà Seicento dal nostro pietruzzaro, ha cominciato a rotolare di libro in libro. Trivellato ricostruisce minuziosamente prestiti, scopiazzature, fraintendimenti di fraintendimenti. Oltre a una sciarada di altri illustri sconosciuti, c’è qualche grande, come Montesquieu, che prende per buona la sparata di Cleirac ma ne ribalta il tono. Con l’introduzione delle lettere di cambio, afferma, gli ebrei avrebbero permesso al commercio di eludere la violenza e di mantenersi ovunque.

Sono le capriole a rendere così insidiosi gli stereotipi. Positivi, negativi, neutri, poco importa, basta che riescano a rigirarsi, ovvero a moltiplicarsi e a trasformarsi in luogo comune. Se anche gli autori che simpatizzano con gli ebrei attribuiscono loro l’ideazione di un metodo finanziario così sofisticato e sfuggente come le lettere di cambio, in grado di spostare grandi somme per vie invisibili, senza lasciare tracce, allora sarà vero che le leve del denaro sono saldamente e occultamente nelle loro mani, o almeno così pensano in molti nell’Ottocento, e lo vanno declamando a piena voce.

Di stupidaggine in malevolenza, di benevolenza in partito preso, la frase avvelenata di Cleirac è diventata una valanga quasi inarrestabile. «La cambiale è il Dio reale dell’ebreo. Il suo Dio è soltanto la cambiale illusoria». Lo scrive Karl Marx nel 1844. Rampollo di una dinastia di rabbini, fresco convertito al protestantesimo, grande rivoluzionario e ancor più grande credulone, almeno per quanto riguarda le leggende sulle cambiali, Marx s’impossessa di un abbaglio storico e lo trasforma in propaganda politica.

La ricerca di Trivellato è una lettura istruttiva, puntuale, documentata. Ed è anche un esperimento con un materiale altamente pericoloso. La storia è lastricata di leggende e di travisamenti. False le leggende, vere le violenze e le persecuzioni.

 

Il libro: