L’assurdo mito di un popolo incorrotto

Un estratto da “Passatopresente”, il nuovo libro di Simona Colarizi

Nel 1992, trent’anni fa, cominciava il crollo della prima Repubblica e il passaggio alla seconda, segnato dalla scomparsa di un’intera classe politica che dal 1945 in poi aveva governato la democrazia repubblicana; un passaggio cruciale che nell’opinione pubblica italiana resta legato alle inchieste sulla corruzione del pool Mani Pulite.

Attraverso una scrittura agile e un linguaggio sintetico, in Passatopresente Simona Colarizi ricostruisce una fase cruciale della storia d’Italia che ha lasciato una così difficile eredità nel presente.

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Relativamente poco percorsa nelle analisi sulla caduta del sistema, l’ondata populista è invece a mio giudizio centrale non solo per interpretare l’ultima fase della prima Repubblica, ma anche per una lettura della seconda Repubblica, nella quale gli elementi di continuità con il passato sono così numerosi da ridurre la portata della rottura intervenuta nel ’92-’93 alla pura e semplice liquidazione forzata dei partiti al potere. Non a caso alle modalità del crollo va legata la gran parte dei fenomeni caratterizzanti il nuovo sistema politico, a cominciare dalla difficoltà di uscire dalla transizione aperta dopo il ’94 che solo in superficie era sembrata chiusa con il nuovo secolo. A tutt’oggi restano evidenti infatti le fragilità dei soggetti politici presenti sulla scena alla continua ricerca di una solida identità mai raggiunta, mentre non si restringe la divaricazione della forbice tra gli elettori e i loro rappresentanti, come testimonia l’astensionismo dilagante insieme alla sfiducia nella classe politica al governo e all’opposizione.

Debolezza dei partiti che rende inefficace la governance di fronte alle sfide e alle crisi del nuovo secolo – ad esempio quella devastante del 2008 – con risultati allarmanti per la tenuta del tessuto democratico. Lo dimostrano i fenomeni, in continua crescita dopo il ’94, di populismo, giustizialismo, razzismo, xenofobia, oblio dei diritti, delle libertà e dei valori civili; ma anche l’evolversi delle polemiche antipartitiche o per meglio dire antiestablishment che si riassumono in un antagonismo pregiudiziale contro chi ha istruzione, competenze, educazione e persino fede nei valori non negoziabili alla base del vivere civile. Pulsioni antipolitiche estese anche ai governanti europei, gli “spregevoli burocrati di Bruxelles” contro i quali si scagliano i sovranisti.

Un magma antidemocratico e qualunquista era sempre esistito in una democrazia giovane come l’Italia, ma la responsabilità di averlo fatto lievitare pesa sulle forze politiche che hanno abbattuto la prima Repubblica. Il lievito principale è stata la leggenda di una società politica malata in contrapposizione a un paese sano, per quarant’anni dominato da partiti corrotti, collusi con la criminalità organizzata, colpevoli di averne dilapidato le risorse economiche e persino di aver tramato contro le istituzioni democratiche. Accuse infamanti, risuonate sul palcoscenico delle Tv pubbliche e private, reati veri e propri contestati dai magistrati inquirenti, ingigantiti dalla stampa, potente cassa di risonanza delle inchieste giudiziarie.

Si era così consolidato – e si perpetuava poi anche negli anni a venire – l’assurdo mito di un popolo incorrotto contro l’evidenza, invece, di una cittadinanza afflitta dagli stessi mali dei suoi governanti, con i quali per mezzo secolo aveva stretto patti taciti che ai cittadini garantivano una sorta di diritto all’evasione, ma anche assunzioni e promozioni nel pubblico impiego svincolate da meriti e da esigenze di servizio, nonché il posto a vita, l’assenteismo, l’inefficienza, il passaggio ereditario del ruolo tra i membri delle famiglie, clientele fedeli dei politici al governo. Per non parlare di quanto fossero diffuse piccole illegalità e pratiche spartitorie in tutte le istituzioni pubbliche, nei sindacati, nell’associazionismo privato. Molto spesso a rileggere le cronache degli anni precedenti alla caduta del sistema non sembra esserci alcuna differenza tra passato e presente, persino in relazione alla degenerazione del linguaggio e della gestualità volgari e violente in Parlamento o tra gli “odiatori” della rete oggi, del popolo dei fax ieri.

 

Il libro: