Ritorno dall’esilio

Gian Luca Favetto su “Zanzotto”, di Cortellessa

Gian Luca Favetto | il venerdì – la Repubblica | 3 settembre 2021

Che cos’è la poesia? È quella ricerca, quella traduzione del sentire in un’altra forma, che muove: smuove anche da fermi. È un suono, un senso che si fa pensiero; sono parole che generano immagini e mettono in movimento, un movimento interiore che poi diventa andare: verso le cose e le persone, dentro i sentimenti, a cavallo delle emozioni.

Se si vuole andare dalla A alla Z della poesia italiana, la cosa più semplice in questa fine estate è andare in Friuli, a Pordenone. Tra meno di due settimane. Fra il 15 e il 19 settembre. Prendersi un paio di giorni per abitare quella festa del libro con gli autori che è Pordenonelegge, giunta alla XXII edizione. Lì si potrà viaggiare da Dante Alighieri fino ad Andrea Zanzotto. Da un lato, ci si unisce alle celebrazioni del 700° anniversario del grande fiorentino; dall’altro, arrivano al culmine le manifestazioni dedicate al poeta veneto nel centenario della nascita, 10 ottobre 1921, un lungo omaggio cominciato a marzo nel suo paese natale, Pieve di Soligo, 11 mila abitanti in provincia di Treviso, nel cuore del territorio del Prosecco.

La sezione del Festival dedicata alla poesia va “Dai maestri al futuro”. E due grandi maestri, senza i quali non ci sarebbe futuro, sono proprio Dante e Zanzotto, di cui a ottobre ricorre anche il decimo anniversario della morte. Con la loro opera rimangono saldi nel presente della nostra poesia, della nostra letteratura. E vale la pena leggerli, rileggerli. Il padre Dante forse non ne ha bisogno, ma Andrea Zanzotto, «il più importante poeta italiano dopo Montale», come lo definiva il critico Gianfranco Contini, ha certo bisogno di essere scoperto o riscoperto. Uno che di sé dice: «Da un eterno esilio/ eternamente ritorno». Merita di non rimanere esiliato negli scaffali degli accademici.

Pordenonelegge gli rende omaggio attraverso un incontro e la presentazione di tre libri in uscita questo mese. Si comincia mercoledì 15 con Zanzotto 100, dedicato alla eredità del poeta. L’idea è di Andrea Cortellessa, che porta sul palco quattro poeti contemporanei (Stefano Dal Bianco, Giovanna Frene, Nicola Gardini, Marco Munaro) e li spinge a confrontarsi con il pensiero e la lezione formale di Zanzotto. Nei giorni seguenti, poi, vengono presentati la monografia Zanzotto. Il canto della terra edita da Laterza e scritta proprio da Cortellessa, nonché due volumi ricchi di inediti pubblicati da Mondadori: Andrea Zanzotto, Traduzioni Trapianti Imitazioni a cura di Giuseppe Sandrini, e Andrea Zanzotto, Erratici. Poesie disperse e altre poesie 1937-2011 a cura di Francesco Carbognin e Simona d’Orazio.

«Sin dalle prime edizioni Zanzotto è il nostro nume tutelare», dice Gianmario Villalta, poeta, scrittore, insegnante, dal 2002 direttore artistico di Pordenonelegge, co-curatore del Meridiano Mondadori dedicato all’autore di Pieve di Soligo. «Non si deve pensare che alla prima lettura dei suoi versi portiamo a casa tutto» avverte. «Per conoscerlo veramente, bisogna evitare di lasciarsi impressionare dalla sua perizia e peculiarità linguistica. Bisogna abbandonarsi alla sua grande libertà e cercare nei versi le semplici cose di cui parla, i fatti legati alla sua vita che uniscono le vite di tutti». Seguire il suo sguardo, tener dietro alla sua voce. È così che puoi rimanere sorpreso dal suono sottile di una chiocciola che mangia una foglia o vedere una pioggia che cancella l’orizzonte o sentire il rumore della neve che cade.

Per riassumerlo senza pretesa di classificarlo, si può dire che Zanzotto sia il poeta del paesaggio, della natura («Che grande fu/ poterti chiamare Natura/ ultima, ultime letture/ in chiave di natura, su ciò che fu detto natura/ e di cui sparì il nome»). Anche della reinvenzione della lingua, attraverso un trevigiano rustico, lingua della memoria che diventa strumento di visioni e interpretazione della realtà. «C’è in lui la dimensione dell’idillio con la natura» nota Villalta, «sempre disturbato però dalla violenza della guerra, dalle ingiustizie sociali e civili, da ciò che l’uomo produce. Si tratta di accogliere la reciproca donazione fra uomo e natura, di rifiutare quel rapporto di padronanza, sfruttamento e visione catastale che si è purtroppo generato. Su questo Zanzotto si confronta con Leopardi, Heidegger, Lucrezio, naturalmente con Dante». In fondo, è dall’incontro-scontro fra uomo e natura che si genera cultura.

A Dante, di cui è profondo conoscitore, è legata la sua intera opera, suddivisa in una dozzina di raccolte, da Dietro il paesaggio, primo significativo titolo uscito nel 1951, a La Beltà (1968), da Il Galateo in Bosco (1978) a Idioma (1986), da Sovrimpressioni (2001) a Conglomerati (2009). Nel settembre del 2011, poi, un mese prima che Zanzotto muoia, Mondadori pubblica l’Oscar con tutte le poesie. Sono 1200 pagine di scoperte, giochi verbali, approfondimenti, divertimenti, sperimentazioni, illuminazioni, lingua e dialetto, sogno e realtà, uomini e paesaggi, erudizione e quotidianità. Poesia colta e popolare. Difficile. Perché la comunicazione poetica, sosteneva Zanzotto, non è immediata. Passa attraverso impulsi sotterranei, fonici, ritmici. Il fatto nuovo della poesia, diceva, è frutto di attrito, resistenza, sforzo, fatica del sentire e della lingua, che è pur sempre «lode e collaudo del mondo».

Uno degli ultimi componimenti si intitola Parola, silenzio. Comincia così: «Siccome un bel tacer non fu mai scritto/ un bello scritto non fu mai tacere./ In ogni caso si forma un conflitto/ al quale non si può soprassedere». Dopo una seconda quartina, che parla del pro e del contro e gioca con ossimori e manfrine, l’ultimo verso è un beato sorriso: «Sì parola, sì silenzio: infine assenzio». Che fa il paio con un’altra accorata invocazione tutta zanzottiana: «Mondo, sii, e buono;/ esisti buonamente». Più che una preghiera, una necessità.

 

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