Dieci ricette per difendersi da grossolani falsi storici

David Bidussa legge Tommaso di Carpegna Falconieri

David Bidussa | il Sole24Ore – Domenica | 8 novembre 2020

C’è una diffusa domanda di storia. Il problema è nell’offerta: saper individuare tra le molte versioni che ci vengono proposte, quella meno segnata dal falso. È un tema non marginale, tanto da costituire oggi un settore della produzione delle case editrici che hanno assunto la storia come un campo disciplinare connotativo della propria identità. Così, per esempio, l’editore Viella manda in libreria una collana – significativamente il titolo è «L’antidoto» – diretta dallo storico Fulvio Cammarano, che propone ogni volta l’analisi dei falsi propri di un tema al centro della discussione pubblica (il titolo di apertura – Il cielo sereno e l’ombra della Shoah – dello storico Michele Sarfatti ha per tema i falsi o le distorsioni intorno all’antisemitismo del fascismo italiano). Con un intento simile e con uno sguardo volto a segnalare i molti percorsi del falso in storia, invita a riflettere il medievista Tommaso di Carpegna Falconieri con il suo Nel labirinto del passato. Il volume analizza il falso in dieci passaggi: raccontarla grossa; il montaggio del racconto; la cassetta dello storico; l’ambiente in cui calare un racconto; lo spostamento di luogo delle storie; una cronologia inventata; le rimozioni; la storia con i se; la nostalgia.

L’indagine parte da un assunto che Falconieri indica sin dalle prime pagine: «i fatti accadono in un modo e in uno soltanto. Sono le interpretazioni che mutano” [p.6]. Saper distinguere il vero dal falso non serve solo a scartare, ma anche a comprendere come si creano le opinioni, perché i falsi in storia, precisa l’autore, sono sempre esistiti e hanno determinato conseguenze che hanno segnato la vita di chi è venuto dopo. Comunque spesso hanno costruito la storia, come ha richiamato Errico Bonanno (nel suo Sarà vero, Utet).

Il falso si articola in vari modi. Riguarda il montaggio di elementi veri singolarmente, ma orientati nella loro costruzione o successione, tanto da produrre conclusioni non rispondenti al vero. Oppure accredita presunti fatti che nascono dalla creazione del documento su cui si fonda la spiegazione del passato. Un tema non nuovo, all’origine del metodo storico-critico come giustamente richiama Falconieri ricordando la Falsa donazione di Costantino, il saggio con cui Lorenzo Valla, nel 1440, smonta la credibilità e la veridicità del documento che per tutto il Medioevo fu assunto a fondamento giuridico del potere temporale della Chiesa. C’è poi la tecnica della rimozione, giustamente intesa da Falconieri non solo come eliminazione: riguarda quegli attori che la storia l’hanno subita, o che se la sono sentita raccontare dagli altri, senza aver mai diritto di dire la propria. L’esempio più significativo, ricorda l’autore, è quello dell’etnologo e storico Nathan Wachtel che nel 1971 con il suo La visione dei vinti ha raccontato la conquista spagnola dell’America dal punto di vista degli Indios. L’effetto è stato un rovesciamento radicale cui è seguita la riscrittura della storia della colonizzazione. Resta il fatto, cambia il vissuto. Questo non cambia la storia cinquecento anni dopo, ma ci restituisce le sue molte pieghe, ci fa capire alcune tracce del presente, ci obbliga a risalire la corrente per capire l’origine e i bivi da cui il presente ha origine.

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