“Gente di Trieste”: tre polaroid

Viaggiatori per protesta, inventori sfortunati, artisti dimenticati nei ritratti di Pietro Spirito

Joseph Ressel

Il punto è che a Trieste le macerie, le tracce, i reperti, sono così mischiati e confusi che non è facile ricavarne un ordine lineare, per non dire pacificato. Ogni pezzetto di storia rimanda a un’altra storia, che spesso contraddice la prima, o costringe a ripensare il percorso che ha portato fino a lì. Pochi posti, come Trieste, esibiscono tante verità sfuggenti.  […]  Trieste è piena di personaggi che in qualche modo hanno avuto in sorte la sfortuna di rimanere imbrigliati in questi ingranaggi. Gente che grazie alle opportunità offerte da questa terra liminare avrebbe potuto avere un’esistenza brillante come un fuoco d’artificio, e che invece ha bagnato le sue polveri nelle pozze di una realtà sfuggente e contraddittoria.

Uno di questi signori ce l’ho davanti adesso, ritratto in una vetrina del Museo del Mare che espone una serie di prototipi di eliche per la propulsione navale. È Josef Ressel, lo sfortunato inventore che diede un contributo fondamentale alla realizzazione della prima elica navale.

[…] È dal 1857 che a Trieste si parla di erigere un monumento a Josef Ressel. […] Ma mentre scrivo queste righe ancora non c’è. Se ne parla seriamente da più di un secolo, ma niente da fare. Una statua di Ressel si trova già a Vienna, opera dello scultore Antonio Fernkorn, eretta con fondi raccolti a Trieste e inaugurata il 18 gennaio del 1863, davanti al Politecnico della capitale austriaca, alla presenza dell’imperatore in persona. Il Consiglio municipale di Trieste, invece, allora bocciò la proposta di erigere in città una statua dedicata a Ressel, con il pretesto che la paternità dell’elica in effetti non era chiara. In realtà la ragione era politica: in pieno fermento irredentista la municipalità a maggioranza italofona non aveva nessuna voglia di erigere un monumento a un tedesco. Il problema di Ressel, come di tanti altri triestini, in fondo è e rimane questo: figlio di una terra ibrida, si può considerare un senza patria. […] In più Josef Ressel ha incarnato in sé una di quelle contraddizioni tipiche delle terre segnate dalla modernità: lo stare in bilico tra passato e futuro. […] E questa specie di schizofrenia socio-esistenziale, a Trieste in particolare, era, e forse in parte lo è ancora, più diffusa di quanto si possa pensare.

[…] Se potesse uscire dal quadro, sono sicuro che quest’uomo mi prenderebbe a calci, deluso com’è da tutto e da tutti.

 

 

Alice Zeriali

Conobbi Alice Zeriali, o meglio ciò che rimaneva della sua memoria, il 2 marzo del 1993. Fu l’architetto Marianna Accerboni a telefonare in redazione per avvisare che era appena deceduta, all’età di 83 anni, una pittrice che era stata tra i protagonisti forse minori della grande stagione artistica del Novecento a Trieste, ma comunque una delle ultime testimoni di quel periodo.

Ma poi, chi era Alice Zeriali? […] Alice Elisabetta Luigia Zeriali nasce a Trieste l’11 dicembre del 1909. […] Nel 1928, a 19 anni, Alice prende la licenza alla Regia Scuola di tirocinio del Regio Istituto industriale, con una votazione di novantacinque punti su cento, ed entra all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Gli anni della formazione vedono sfilare anche i primi amori. […] Ma il rapporto più importante, anche per la sua fame di crescita intellettuale, è quello che la giovane Alice avvia dal 1926 con un suo coetaneo e compagno di scuola destinato a una lunga fama, Lionello Zorn Giorni, in arte Savioli. […] Il futuro pittore, sceneggiatore e critico, nonché futuro marito di Linuccia Saba, l’inquieta figlia del poeta Umberto Saba, ha studiato anche lui al Regio Istituto industriale e anche lui si iscriverà al liceo artistico di Venezia.

[…] Intanto, negli anni in cui intreccia la corrispondenza con Lionello Zorn Giorni, a Trieste Alice Zeriali si sta facendo conoscere. […] Per lei sono i primi timidi passi nel titolato mondo dell’arte. Nel 1931 Alice si iscrive all’Associazione delle Belle Arti di Trieste, e nello stesso anno partecipa con una natura morta, Pittura decorativa su panno lenci, alla sua prima mostra permanente. Allo stesso tempo inizia un’intensa attività di illustratrice: nel 1935 realizza scenari e bozzetti per il teatro del Circolo artistico di Trieste, e fra il ’34 e il ’35 illustra il giornale per ragazzi «Mastro Remo». Scrive e pubblica poesie su «Il Popolo di Trieste» e sulla rivista «Il Sagittario». […]  Il lavoro di illustratrice le permette di non perdere di vista il mondo dell’arte. Anzi, proprio grazie alla sua fama di brava disegnatrice entra in contatto con il gruppo culturale istriano d’avanguardia Domani, presieduto dal futurista Marinetti, che le offre un lavoro per la realizzazione di «bozzetti per mode femminili», pagati dieci lire l’uno.

[…] Nel 1937 la giovane pittrice ottiene il diploma di maturità artistica e, nel 1940, il diploma di disegno che la abilita all’insegnamento negli istituti medi. Poi, con altro concorso pubblico, nel 1947 riceve il diploma per l’insegnamento negli istituti classici. Sì, perché l’arte è l’arte, ma bisogna pur lavorare. E già dal 1938 Alice è impegnata come supplente nelle scuole medie. E continuerà a insegnare, entrando tardi in ruolo, per tutta la vita. Durante la seconda guerra mondiale Alice rimane al suo posto di lavoro come insegnante. […]

[…] Fra gli anni Settanta e Ottanta continua in sordina la sua attività di pittrice, pur raccogliendo premi e consensi, dal medaglione bronzeo del Sindacato artisti pittori, scultori e incisori del 1973 fino alla Coppa Premio della Provincia di Trieste del 1985. Schiva e appartata, cauta di fronte alle tendenze trainanti in atto, l’ormai anziana Alice Zeriali continua a seguire una strada in cui quello che il critico Renato Ambrosi ha definito «il tono spirituale di una devozione lieta» diventa – nel sorrisetto dei suoi fantasmini dipinti – la speranza di qualcosa che può ancora arrivare. Nel quadro di segno informale intitolato Canto della prigioniera, una figura di donna, o il suo ectoplasma, sembra costretta in un vaso che la racchiude e la stringe dalla vita in giù. Tuttavia l’espressione della donna dai capelli riccioluti è lieta, quasi ironica. Coraggio, sembra dire, forse il meglio deve ancora venire, la tua vita non è stata facile, questa città non ti ha aiutato, forse hai perso qualche occasione ma c’è ancora tempo per essere liberi e felici.

«La mia testa – si legge in un quadernetto dei primi anni Venti alle cui pagine una giovanissima Alice affidava poesiole e pensieri – è una giostra irrefrenabile, il mio cervello una ruota che sorpassa l’attrito». Senza dubbio, e fino all’ultimo.

 

 

Gli argonauti patrioti

Oggi Trieste guarda al mare con crescente simpatia, lo considera un luogo di salvifica ricreazione e un possibile trampolino di crescita economica sulla scia dei nuovi traffici transeuropei. Quindi il mare disegna sempre con le sue correnti un progetto di rilancio, e la Barcolana, che per una settimana mette la città sotto gli occhi di mezzo mondo, ricorda alla gente di Trieste quanto il mare possa essere fonte di riscatto. Ne era certo anche Glauco Gaber, quando venne a trovarmi per farsi intervistare nel lontano 1988, a quarant’anni dal varo di quel progetto che per lui doveva essere la grande occasione di riscatto di Trieste e dei triestini di fronte alle conseguenze del secondo dopoguerra. Allora Glauco Gaber mi regalò la foto incorniciata della barchetta battezzata Trieste-Italia, ritratta in navigazione nella Baia di Guanabara, davanti a Rio de Janeiro, al termine dell’impresa che avrebbe dovuto far conoscere al mondo intero quanto era ingiusto il Trattato di Pace che toglieva a Trieste e all’Italia le sue terre più preziose per darle alla Jugoslavia del maresciallo Tito.

Ricordo questo signore settantenne, energico, dai modi cortesi, mentre, nel salottino della redazione del quotidiano «Il Piccolo» dove lavoro, mi raccontava la sua avventura, la traversata dell’Atlantico su una piccola scialuppa a vela e a motore assieme ad altri tre compagni. Impresa effettuata nell’arco di due anni, con partenza da Trieste la notte del 16 dicembre 1948, alle 23.30, dal Molo Audace, e arrivo a Buenos Aires la mattina del 24 maggio 1950, dopo un viaggio di 8469 miglia e 1752 ore di effettiva navigazione.

[…] Questo signore adesso mi stava davanti per raccontarmi la sua storia, con quell’aria un po’ fiera e un po’ perplessa di chi pensa di aver lasciato una traccia forse esile ma profonda, una solida memoria, e invece nessuno se lo fila più, la Storia cammina guardando avanti, e ciò che sembrava importante ieri oggi non lo è più né forse tornerà mai ad esserlo.

 

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