Indice Estratto

Edizione: 2016, II rist. 2017
Pagine: 354, con ill.
Collana: Economica Laterza [768]
ISBN carta: 9788858123904
ISBN digitale: 9788858125403
Argomenti: Attualità culturale e di costume

Beatles vs Stones

John McMillian

trad. di F. Galimberti e G. Seller

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Versione Ebook

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Sympathy for the Devil, Norwegian Wood, Shimmy Shake, Love Me Do, As Tears Go By, See My Friends, Hey Jude...
La domanda è fatidica: Beatles o Stones? La risposta non è una semplice sfida tra band musicali, ma una linea di faglia nella storia culturale.
Con la raffinatezza di uno storico, le abilità narrative di un giornalista e l’entusiasmo di un appassionato, John McMillian esplora lo scontro tra i due titani della musica. Quanto fosse realmente in competizione, quanta rivalità sia stata creata ad arte, quanto i cliché corrispondessero al vero lo sapremo leggendo questa vera miniera di rivelazioni. Un libro che ha un approccio nuovo e straordinario alla storia del rock'n'roll, come uno stereo portatile da cui vengono fuori sorprese a ripetizione.

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Edizione: 2017
Pagine: 354
Collana: Economica Laterza
ISBN: 9788858123904

L'autore

John McMillian

John McMillian è assistant professor di Storia all’Università statale della Georgia. Per la Oxford University Press è autore di Smoking Typewriters: The Sixties Underground Press and the Rise of Alternative Media in America. Collabora a riviste e importanti quotidiani come il “Washington Post”, il “New York Observer”, il “Boston Globe”.

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¹Tony Sanchez, Up and Down with the Rolling Stones, John Black, London 2011, pp. 93-94 [trad. it., Su e giù con i Rolling Stones, Mondadori, Milano 1980, p. 86]. L’aneddoto è stato raccontato anche da Paul McCartney e da Marianne Faithfull, e ne ha parlato anche l’addetto stampa dei Beatles, Tony Barrow. Ci sono però pareri discordanti sulla data: Sanchez sostiene che la festa si svolse il giorno stesso del compleanno di Mick, il 26 luglio, ma Hey Jude in quell’epoca probabilmente non era ancora stata ultimata, dato che fu missata in stereo il 2 agosto e in mono l’8 agosto.

²Cit. in Sean O’Mahony (a cura di), Best of the Beatles Book, Beat Publications, London 2005, p. 214.

³Cfr. www.scotsman.com/lifestyle/music/news-and-features/beatles-or-the-stones-choose-both-1-513103.

⁴Cit. in Peter Fornatale, 50 Licks: Myths and Stories from Half a Century of the Rolling Stones, Bloomsbury, New York 2013, p. 45.

⁵Molti altri autori hanno delineato una dicotomia di questo tipo fra i Beatles e gli Stones; cfr. l’osservazione di Philip Norman: «A prescindere dall’infatuazione passeggera per questo o quell’altro gruppo di moda, essere un appassionato di musica pop nella Gran Bretagna degli anni Sessanta ruotava intorno a una domanda di fondo: ‘Sei per i Beatles o per gli Stones?’. La domanda veniva posta con la violenza inquisitoria di una tifoseria calcistica, ma schierarsi da una parte o dall’altra in questo caso aveva molte più implicazioni: se eri ‘per i Beatles’ voleva dire che eri una persona affabile, di buoni sentimenti, che credeva nella capacità del successo di produrre conformismo; se eri ‘per gli Stones’ significava, più succintamente, che volevi mettere sottosopra l’intero Regno Unito» (Philip Norman, The Stones.The Acclaimed Biography [1984], HarperCollins, London 2012, p. 129).

⁶«C’è poca amicizia al mondo», sottolineava Francis Bacon, «e pochissima fra eguali». Gore Vidal sosteneva la stessa tesi quando ammetteva che «quando un amico ha successo, c’è qualcosa in me che muore». Sia Bacon che Vidal sono citati nel trattato On Friendship di Joseph Epstein, Houghton Mifflin, New York 2006, p. 8 [trad. it., Amicizia, Il Mulino, Bologna 2006, p. 20].

⁷Cfr. Sigmund Freud, Civilization and Its Discontents, Norton, New York 1961, pp. 58-63 [tit. orig., Das Unbehagen in der Kultur, 1930; trad. it., Il disagio della civiltà, Scienza Moderna, Roma 1949, p. 48].

⁸Detto questo, alcuni dei confronti più interessanti e stravaganti tra Beatles e Rolling Stones si possono trovare nelle frange più marginali della cultura intellettuale e popolare. Nel 1997 il filosofo Crispin Sartwell si conquistò un pizzico di notorietà per aver escogitato scherzosamente una formula matematica che a suo dire dimostrava in modo definitivo la superiorità degli Stones. Nel 2006 il rocker marxista postpunk Ian Servonius nel suo opuscolo The Psychic Soviet, Drag City, Chicago 2006, ha sottoposto i due gruppi a una strampalata analisi («La dialettica ‘Beatles contro Stones’ di fatto era la sovietologia industriale di Lennon/McCartney contro il maoismo agrario di Mick e Keith», è la conclusione di Servonius). Nel 2010 il romanziere Alan Goldsher ha pubblicato Paul Is Undead, Gallery, New York 2010, un racconto dell’orrore comico postmoderno (sotto forma di storia orale), in cui i Beatles sono raffigurati come zombie che vogliono dominare il mondo; la trama si infittisce quando il più importante cacciatore di zombie inglese, Mick Jagger, si mette alle costole dei Fab Four.

⁹Marianne Faithfull, As Years Go By, in «The Guardian», 5 ottobre 2007.

¹Cfr. Andrew Loog Oldham, Stoned: A Memoir of London in the 1960s, St Martin’s Press, New York 2000, p. 256 [trad. it., Stoned: come s’inventa la più grande rock ’n’ roll band del mondo, Arcana, Roma 2001, p. 265].

²Oldham ricorda di aver conosciuto O’Mahony quando quest’ultimo lavorava per Robert Stigwood, il futuro impresario musicale. Dopo, Oldham presentò O’Mahony a Eric Easton, e i due diventarono rapidamente amici.Cfr. Oldham, Stoned cit., pp. 216, 266 [trad. it. cit.].

³Cfr. Mark Lewisohn, Foreword to the 1995 Reprint, in Michael Braun, Love Me Do! The Beatles Progress [1964], Penguin, New York 1995, p. 6.

⁴Cit. in Ray Coleman, The Man Who Made the Beatles: An Intimate Biography of Brian Epstein, McGraw-Hill, New York 1989, p. 323.

⁵Cit. in Oldham, Stoned cit., p. 256 [trad. it., p. 265].

a Da scouse, originariamente uno stufato di carne consumato dai marinai, con cui si indica anche il dialetto locale [N.d.T.].

⁶Cit. in Beatles, The Beatles Anthology, Chronicle Books, San Francisco 2002, p. 8 [cfr. trad. it., The Beatles Anthology, Rizzoli, Milano 2000].

⁷Steven D. Stark, Meet the Beatles: A Cultural History of the Band that Shook Youth, Gender and the World, HarperCollins, New York 2005, p. 113.

⁸Hunter Davies, The Beatles [1968], Norton, New York 2002, p. 189 [trad. it., The Beatles, Longanesi, Milano 1970].

⁹Stark, Meet the Beatles cit., p. 42.

¹⁰Cit. in David Pritchard e Alan Lysaght (a cura di), The Beatles: An Oral History, Hyperion, New York 1998, p. 17.

¹¹Cit. in David Sheff, Interview with John Lennon and Yoko Ono, in «Playboy», gennaio 1981. Uno dei primi libri sui Beatles, pubblicato dal giornalista del «Record Mirror» Peter Jones sotto lo pseudonimo di Billy Shepherd, prometteva di raccontare «la vera storia dietro l’ascesa [dei Beatles] dalle periferie degradate di Liverpool alla fama improvvisa». Cfr. Billy Shepherd, The True Story of the Beatles, Bantam, New York 1964, prima pagina non numerata.

¹²All’età di sei anni Ringo ebbe una rottura dell’appendice che fece insorgere una peritonite, che lo mandò in coma per dieci settimane. Poi, all’età di tredici anni, sviluppò una pleurite cronica, che lo tenne in ospedale per quasi due anni. Questi problemi di salute ebbero effetti devastanti sulla sua scolarizzazione, con la conseguenza che il più povero dei quattro Beatles era anche il meno istruito. In uno dei primi comunicati stampa, scrisse enyone invece di anyone. E durante il primo tour americano dei Beatles, nel 1964, un cameriere che servì i membri del gruppo in un ristorante elegante disse che Ringo sembrava incapace di ordinare piatti da un menù ed era sconcertato dalla parola oven [forno] invece di cooker [cucina a gas]. Anche la sua famiglia era poco istruita: Freda Kelly, la segretaria del fan club dei Beatles, ricorda che una volta Ringo le chiese di dargli una mano con le lettere dei fan. «Gli chiesi se stesse scherzando: ‘Fallo fare a tuo padre e tua madre. I genitori degli altri fanno così’. Ma lui rimase lì con aria sconsolata e disse: ‘Mia madre non sa che cosa scrivere’».

¹³Jon Wiener, Come Together: John Lennon in His Time, University of Illinois Press, Champagne-Urbana 1990, p. 56.

¹⁴Victor Bockris, Keith Richards: The Unauthorized Biography, Hutchinson, London 1992, p. 7 [trad. it., Keith Richards, Odoya, Bologna 2012, p. 15].

¹⁵Cit. in Stark, Meet the Beatles cit., p. 40.

¹⁶Ibid.

¹⁷Cit. in Pritchard e Lysaght, Beatles Oral History cit., p. 51.

¹⁸Ivi, p. 89.

¹⁹Cit. in Debbie Geller, In My Life: The Brian Epstein Story, a cura di Anthony Wall,St. Martin’s Press, New York 2000, p. 85.

²⁰Cit. in Davies, The Beatles cit., p. 59 [trad. it., p. 18]; cit. in Stark, Meet the Beatles cit., p. 53.

²¹Ray Coleman, Lennon: The Definitive Biography, Pan Books, London 1995, p. 83.

²²Ivi, p. 97.

²³Ivi, p. 199.

²⁴Pete Shotton e Nicholas Schaffner, John Lennon: In My Life, Henry Holt, New York 1987, p. 61.

²⁵Davies, The Beatles cit., p. 59.

²⁶Lennon: «Stavo giusto ripensando a quella volta che avevo messo la mano sulla tetta di mia madre a [One] Bloomfield Road. Avevo circa quattordici anni. Marinai la scuola, lo facevo in continuazione per starmene senza far nulla a casa sua. Eravamo stesi sul letto e io stavo pensando: ‘E se facessi qualcos’altro?’. Era un momento strano, perché in realtà avevo una cotta per una tipa abbastanza dozzinale che viveva dall’altra parte della strada. Penso sempre che avrei dovuto farlo. Presumo che [o ‘Presumibilmente’] me lo avrebbe lasciato fare».

²⁷Cit. in Philip Norman, John Lennon: The Life, HarperCollins, New York 2008, p. 146 [trad. it., John Lennon: la biografia, Mondadori, Milano 2009, p. 80].

²⁸Geoffrey Giuliano, Blackbird: The Life and Times of Paul McCartney, John Blake, London 1991, p. 17.

²⁹Ivi, p. 15.

³⁰Cit. in Geoffrey Giuliano, Dark Horse: The Life and Art of George Harrison, Bloomsbury, New York 1989, p. 10.

³¹Cit. in Bob Spitz, The Beatles: The Biography, Little, Brown, Boston 2005, p. 120 [trad. it., The Beatles, Sperling & Kupfer, Milano 2006, p. 77].

³²Ivi, p. 335 [cfr. trad. it. cit.].

³³Philip Norman, Shout! The True Story of the Beatles (1981), Fireside, New York 2005, p. 92 [trad. it., Shout! La vera storia dei Beatles, Mondadori, Milano 1981, p. 124].

³⁴Richard Buskin, The Complete Idiot’s Guide to the Beatles, Alpha, New York 1998, p. 109.

³⁵Parlando del sesso in Inghilterra, George Harrison ha raccontato che alla fine degli anni Cinquanta «non era così facile farlo. Le ragazze portavano tutte reggiseni e corsetti che sembravano fatti di acciaio rinforzato. Non riuscivi a infilarti da nessuna parte. Ti fratturavi la mano se cercavi di slacciare qualcosa. Ricordo delle feste in cui limonavo con una ragazza ed ero in erezione per otto ore, tanto che l’inguine arrivava a farmi male, e senza speranza di trovare sollievo. Era sempre così. Quelli no che non erano tempi!».

³⁶Cit. in Giuliano, Blackbird cit., p. 46.

³⁷Cit. Beatles, The Beatles Anthology cit., p. 53 [trad. it., p. 53].

³⁸Cit. in Giuliano, Blackbird cit., p. 38.

³⁹Ibid.

⁴⁰Cit. in Coleman, Lennon cit., p. 275.

⁴¹Norman, John Lennon cit., p. 216.

⁴²Cit. in Beatles, The Beatles Anthology cit., p. 57 [trad. it., p. 57].

⁴³Liz Hughes, cit. in Pritchard e Lysaght, Oral History cit., p. 72.

⁴⁴Cit. in Andrew Solt e Sam Egan (a cura di), Imagine: John Lennon, Macmillan, New York 1988, p. 37.

⁴⁵Coleman, Lennon cit., p. 241.

⁴⁶Cit. in Gareth L. Pawlowski, How They Became the Beatles: A Definitive History of the Early Years, Macdonald, London-Sydney 1990, p. 35.

⁴⁷Pauline, la sorella minore di Stuart, ha sostenuto nelle sue memorie (The Beatles’ Shadow: Stuart Sutcliffe and His Lonely Hearts Club, Macmillan, London 2002) che l’aggressione fatale al fratello fu opera di Lennon e che ebbe luogo ad Amburgo, non a Liverpool. Pauline ha affermato anche che McCartney aveva assistito all’aggressione, e che lei lo aveva saputo direttamente da Stu. McCartney, tuttavia, nega di aver assistito a questo litigio, e la fidanzata di Stu, Astrid, dubita che sia mai avvenuto, «perché Stuart me lo avrebbe detto». Lennon era sempre stato più vicino a Stu di tutti gli altri membri del gruppo, e tutto sommato l’accusa della sorella di Sutcliffe non appare molto credibile.

⁴⁸Cit. in Oldham, Stoned cit., p. 293 [trad. it., p. 304].

⁴⁹Cit. in Bill Wyman, Rolling with the Stones, DK Publishing, New York 2002, p. 19 [trad. it., Rolling with the Stones, Mondadori, Milano 2002, p. 19].

⁵⁰Cit. in David Dalton (a cura di), The Rolling Stones: The First Twenty Years, Knopf, New York 1981, p. 12.

⁵¹Cit. in Bill Wyman, Stone Alone, Da Capo, New York 1997, p. 77.

⁵²Cit. in Philip Norman, The Stones, Penguin,New York 1994, p. 54.

⁵³Cit. in Wyman, Stone Alone cit., p. 103. Il fotografo Nicky Wright, autore della copertina dell’album England’s Newest Hit Makers, ricordava che una volta Brian era venuto da lui a dirgli: «‘Tieni: ho un regalo per te’. Dentro c’erano dei dischi meravigliosi: Howlin’ Wolf, Lightnin’ Hopkins, John Lee Hooker. Vent’anni dopo ho scoperto che appartenevano a Long John Baldry, quando ho letto in una rivista una sua intervista in cui diceva di aver prestato a Brian una pila di dischi della Chess e che lui non glieli aveva mai restituiti!».

⁵⁴Ivi, p. 107.

⁵⁵Ivi, p. 82.

⁵⁶Norman, The Stones cit., p. 51.

⁵⁷Christopher Sanford, Keith Richards: Satisfaction, Headline Books, London 2003, p. 39.

⁵⁸Cfr. George Harrison sulla sua infanzia a Liverpool: «Non riuscivamo a comprarci un etto di zucchero, figuriamoci un disco rock».

⁵⁹Cit. in Christopher Sanford, Mick Jagger: Rebel Knight, Omnibus Press, London 2003, p. 16.

⁶⁰Cit. in David Dalton e Mick Farren (a cura di), The Rolling Stones: In Their Own Words, Omnibus Press, London 1980, p. 11.

⁶¹Cit. in Aaron Edward Hotchner, Blown Away: The Rolling Stones and the Death of the Sixties, Simon & Schuster, New York 1990, p. 52.

⁶²Il giornalista George Melly descriveva gli istituti d’arte inglesi degli anni Cinquanta come «il rifugio dei ragazzi brillanti ma non accademici, dei dotati, degli anticonformisti, dei pigri, dei creativi, degli indecisi: di tutti quelli che non sapevano cosa volevano, ma sapevano che non era un lavoro d’ufficio». L’elenco dei musicisti famosi che hanno frequentato l’istituto d’arte è impressionante: oltre a John Lennon e Keith Richards ci sono Ray Davies, Eric Clapton, Jimmy Page, Pete Townshend, David Bowie, Brian Ferry dei Roxy Music e Dick Taylor, che per brevissimo tempo suonò con gli Stones prima di diventare uno dei fondatori dei Pretty Things.

⁶³Sanford, Keith Richards cit., p. 34.

⁶⁴Wyman, Stone Alone cit., p. 91.

⁶⁵James Phelge, Nankering with the Stones: The Untold Story of the Early Days, A Capella Books, Chicago 2002, p. 44 [trad. it., Io e gli Stones: la nascita della leggenda, Arcana, Roma 2012, pp. 46-47].

⁶⁶Wyman, Stone Alone cit., p. 111.

⁶⁷Ivi, p. 112.

⁶⁸Ibid.

⁶⁹Quando su «Jazz News» fu annunciata la loro prima serata, il gruppo fu indicato erroneamente come «The Rolling Stones», ma loro volevano essere chiamati «Rollin’ Stones», con l’apostrofo di elisione dopo la N, e così hanno continuato a chiamarsi fino all’incontro con Andrew Loog Oldham, nella primavera del 1963.

⁷⁰Cit. in Oldham, Stoned cit., p. 207 [trad. it., p. 217].

⁷¹Wyman, Stone Alone cit., p. 131.

⁷²Cit. in Stephen Davis, Old Gods Almost Dead: The 40-Year Odyssey of the Rolling Stones, Broadway Books, New York 2001, p. 52. Inoltre, il rock era associato alla classe operaia. «Gli studenti per bene e rispettabili delle grammar school preferivano il jazz», mi ha scritto Peter Doggett in un’email informale, «quindi i Rolling Stones sono arrivati al blues da quella strada. Negli anni Cinquanta amare il rock equivaleva ad ammettere di essere una specie di teppista, o che volevi essere visto come una specie di teppista. Molti ragazzi di famiglie borghesi fingevano di non amare il pop e il rock, perché i loro amici li avrebbero presi in giro se avessero ammesso che gli piaceva quel tipo di musica».

⁷³Cit. in John Strausbaugh, Rock ’Til You Drop, Verso, London-New York 2001, p. 40.

⁷⁴Coleman, The Man Who Made the Beatles cit., p. 29.

⁷⁵Cit. ivi, p. 76.

⁷⁶Brian Epstein, A Cellarful of Noise,Doubleday and Co., New York 1964, p. 39 [trad. it., Una cantina piena di rumore: l’autobiografia dell’uomo che inventò i Beatles, Arcana, Roma 2013, p. 59].

⁷⁷Ibid.

⁷⁸Ibid.

⁷⁹Cit. in Brian Epstein: Inside the Fifth Beatle, Passport 2004, Dvd.

⁸⁰Beatles, The Beatles Anthology cit., p. 65 [trad. it., p. 67].

⁸¹Cit. in Pritchard e Lysaght, An Oral History cit., p. 86.

⁸²Una volta, intorno al 1963, mentre i Beatles stavano lavorando Epstein si presentò a sorpresa, di sera tardi, in compagnia di uno dei suoi amanti occasionali negli studi di registrazione di Abbey Road. Probabilmente per cercare di far colpo sul suo accompagnatore, si avvicinò all’interfono e diede a Paul un suggerimento sulla sua parte. Gli rispose tonante la voce di Lennon: «Tu pensa alle tue percentuali, Brian. Noi ci occupiamo della musica». Erano le classiche risposte che facevano vacillare la fragile psiche del manager dei Beatles.

⁸³Cit. in Geller, In My Life cit., p. 58.

⁸⁴Cit. in Beatles, The Beatles Anthology cit., p. 67 [trad. it., p. 67].

⁸⁵Cit. in Pritchard e Lysaght, An Oral History cit., p. 87. I Beatles, a quanto sembra, erano talmente riluttanti a indossare i completi proposti da Epstein che il 5 aprile del 1962, al Cavern Club, per la prima metà del concerto si esibirono nei loro tradizionali completi in pelle, poi tornarono sul palco per la seconda parte vestiti con abiti di sartoria.

⁸⁶Cit. in Geller, In My Life cit., p. 43.

⁸⁷Cit. in Pritchard e Lysaght, An Oral History cit., p. 49.

⁸⁸Cit. in Geller, In My Life cit., p. 42.

⁸⁹Cit. in www.thebeatlesinmanchester.co.uk/page16.htm.

⁹⁰Cit. in Coleman, Lennon cit., p. 268.

⁹¹Cynthia Lennon, John, Three Rivers Press, New York 2006, p. 106 [trad. it., John, Coniglio, Roma 2006, p. 107].

⁹² Cit. in Oldham, Stoned cit., pp. 294-295 [trad. it., p. 304].

⁹³Ibid.

⁹⁴Ivi, p. 191 [trad. it., p. 200].

⁹⁵Cit. ivi, p. 44 [trad. it., p. 53].

⁹⁶Cit. in James Miller, Flowers in the Dustbin: The Rise of Rock and Roll, 1947-1977,Touchstone, New York 2000, p. 203.

⁹⁷Oldham, Stoned cit., p. 71 [trad. it., p. 80].

⁹⁸Cit. ivi, p. 101 [trad. it., p. 111].

⁹⁹Ivi, p. 95 [trad. it., p. 104].

¹⁰⁰Cit. ivi, p. 99 [trad. it., p. 109]. In un’altra occasione, durante una lite furibonda, Oldham avrebbe fatto cadere sua madre giù per le scale. Secondo uno dei suoi capi, dopo quell’episodio fu inconsolabile per giorni. Andrew dice di non ricordare di aver fatto del male a sua madre, ma non esclude che sia successo davvero e che lui abbia rimosso quel ricordo traumatico.

¹⁰¹Cit. ivi, p. 169 [trad. it., p. 179].

¹⁰²Ivi, p. 175 [trad. it., p. 185].

¹⁰³Era il genere di cose che i Beatles impararono a fare con assiduità, ma solo dopo che Epstein li aveva addestrati in tal senso. «Cercare di convincere i giornalisti a parlare di noi era solo un gioco», ricordava Lennon. «Giravamo senza posa per gli uffici dei quotidiani locali e dei giornali musicali, chiedendogli di scrivere pezzi su di noi, perché era questo che bisognava fare. Era naturale che cercassimo di fare del nostro meglio: dovevamo mostrarci simpatici e gentili con i giornalisti, anche quelli con la puzza sotto il naso, quelli che ci facevano capire che ci stavano facendo un favore; noi gli davamo corda, gli dicevamo che erano molto gentili a parlare con noi. Eravamo falsissimi».

¹⁰⁴Oldham, Stoned cit., pp. 182-183 [trad. it., pp. 192-193].

¹⁰⁵Ivi, p. 184 [trad. it., p. 194].

¹⁰⁶Ivi, p. 185 [trad. it., p. 195].

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Un monito scelto dalla famiglia Laterza come esortazione alla tenacia e ad una costante crescita.

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