Indice Estratto

Edizione: 2009, II rist. 2016
Pagine: 154
Collana: Economica Laterza [503]
ISBN carta: 9788842089759
ISBN digitale: 9788858134238
Argomenti: Antropologia ed etnologia, Storia d'Europa

I rom d'Europa

Una storia moderna

Leonardo Piasere

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Includerli o escluderli, accoglierli o marginalizzarli: la questione dei rom riempie le cronache, radicalizza le opinioni, infiamma il dibattito politico. Ma chi sono e quale identità hanno i rom? In questo libro la storia e la cultura di un popoloche ha perseguito il sogno di vivere in un mondo senza nazioni. E l’ha pagata cara.

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Indice Estratto

Edizione: 2016
Pagine: 154
Collana: Economica Laterza
ISBN: 9788842089759

L'autore

Leonardo Piasere

Leonardo Piasere ha insegnato Etnologia e Antropologia culturale nelle Università di Bari, Firenze e Verona. Ha condotto studi sull’epistemologia e l’ermeneutica etnografica, sull’antropologia della parentela e dell’educazione e sulla storia delle antropologie. Specialista dell’antropologia sociale del mondo rom, ha condotto ricerche etnografiche ed etnostoriche e ha co-diretto diversi progetti di ricerca europei sulle condizioni di vita di rom e sinti e sulle manifestazioni di antiziganismo. Ha tenuto corsi e conferenze in università europee e americane e i suoi studi sono pubblicati in diversi Paesi. Per Laterza è autore di L’etnografo imperfetto. Esperienza e cognizione in antropologia(2002).

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Premessa

Ci sono almeno due modi di guardare e descrivere i rom e gli altri gruppi detti «zingari». Il primo ruota intorno ai concetti di integrazione e anomia, anche quando tali termini non sono apertamente pronunciati. Tale approccio vede essenzialmente i rom appunto come «zingari», come marginali che vanno recuperati socialmente e riconciliati con il resto della popolazione facendo in modo che ad essa vengano assimilati. Il secondo considera il rapporto tra rom e non zingari come fortemente radicato nel continuum spazio-temporale della modernità europea e come suo momento strutturale profondo.

In questo libro seguirò questa seconda modalità descrittiva, cercando di evitare di parlare dei diversi gruppi rom come se fossero entità avulse dai processi storici e territoriali in cui si sono trovati o si trovano a vivere. Le culture rom sono il frutto dei processi di incontro e di scontro che si sono storicamente determinati tra quelli che gli uni chiamano zingari e gli altri «gagé». I confini stessi tra rom e gagé, come pure quelli tra rom e rom, sono sempre stati altamente negoziati, a prescindere dalle ideologie identitarie dei singoli o delle comunità. Il concetto stesso di «gruppo zingaro», molto usato, è problematico.

Fin da quando, nel 1776, Samuel Augustini ab Hortis¹ comunica nelle Anzeigen aus sämmtlich-kaiserlich-königlichen Erbländern di Vienna la scoperta casuale fatta da Stephan Vali circa la parentela del romanes con le lingue dell’India, le ricerche sull’origine indiana dei rom si sono susseguite. Ammantate di una buona dose di orientalismo, scadute qualche volta nel mito che le ha create e sorrette, queste ricerche hanno proposto soluzioni non definitive ai diversi quesiti indagati (quando i rom lasciarono l’India? da quale regione in particolare provenivano? quali le cause della diaspora originaria? a quale casta appartenevano? e così via)². Benché l’«Indian connection» – come è stata chiamata – resti un punto fermo quando si presenta la storia e la fisionomia dei rom, benché non sia stata trascurata nella ricerca odierna e sia diventata rilevante soprattutto nei discorsi identitari dei simpatizzanti e dei politici rom degli ultimi trent’anni, l’intera questione sarà qui tralasciata: vi accennerò soltanto quando parlerò dei movimenti politici odierni. Mi limiterò a dire che i rom, nella loro migrazione dal subcontinente indiano, si sarebbero lasciati alle spalle i lom in Armenia e i dom nel Medio Oriente, gruppi con i quali erano «imparentati» linguisticamente³. In Europa, poi, avrebbero incontrato altri gruppi nomadi di origine locale, con i quali si sono a volte confusi.

¹ Sull’identificazione di Samuel Augustini ab Hortis come autore della famosa serie di articoli sugli zingari apparsi anonimi nelle Anzeigen aus sämmtlich-kaiserlich-königlichen Erbländern nel 1775-1776, cfr. Urbancová (1994) e Willems (1997: 63-65).

² Per informazioni sulla provenienza indiana cfr. Kenrick (1995) e Fraser (1992a: 10-44).

³ Sui rapporti storico-linguistici tra rom, lom e dom cfr. Hancock (1988).

Questa mia indagine – che si occupa essenzialmente dei rom d’Europa – prende avvio da alcuni documenti del basso Medioevo che mostrano come, fin dall’inizio, tutto fosse in qualche modo già avvenuto nei rapporti tra rom e non rom europei. La successiva storia politica e culturale dei rom appare così una sorta di grande postilla a quanto narrano quelle prime testimonianze.

L.P.

Un ringraziamento particolare va a Francesco Remotti per i suoi sempre generosi consigli e per aver voluto ospitare questo volume nella serie da lui diretta.

Avvertenza

Per la traslitterazione dei termini in romanes viene qui usata una forma molto semplificata dell’alfabeto adottato dal quarto Congresso mondiale rom nel 1990 (cfr. cap. 6). Si tenga presente in particolare:

c come in italiano azione

come in italiano ciao

come in italiano giorno

h come in inglese home (anche dopo k, p, t)

ñ come in italiano ragno

come in italiano scimmia

x come in tedesco Buch

z come in italiano rosa

come in francese jour

Come si vedrà nel capitolo primo, il termine «zingari» si riferisce a un «vortice» di persone variabile nello spazio e nel tempo. Il termine verrà utilizzato quindi solo in senso generale ma, considerata la sua connotazione negativa, il suo impiego sarà il più possibile limitato e contestualizzato; verrà sostituito con «rom», inteso in modo altrettanto generale e includendo anche gruppi che si denominano altrimenti (sinti, romanials ecc.), senza tuttavia cadere in un uso politically correct estremizzato. Quando il termine «rom» non avrà un significato generale, ma si riferirà a gruppi particolari, sarà sempre scritto in corsivo.

Il termine «zigani» verrà usato solo in riferimento a contesti d’uso specifici; quello di «gitani» si riferirà esclusivamente ai gruppi spagnoli o di provenienza spagnola.

Negli ambienti romologici italiani vi è una ricercata tendenza a scrivere «Rom», «Sinti», «Zingari» ecc., con la maiuscola, per sottolineare il riconoscimento di un’identità non riconosciuta e il rispetto verso persone non rispettate. Alcuni studiosi raccomandano di scrivere «Rrom» (cfr. cap. 6). In questo libro, adattandoci a una convenzione ampiamente in uso in italiano per i nomi di popoli, utilizzeremo la minuscola senza per questo declinare un atteggiamento irrispettoso.

Quando non diversamente specificato (ad esempio nel capitolo secondo), il termine «rom» sarà usato in forma indeclinata sia come sostantivo che come aggettivo.

Per la loro frequenza, si trascriveranno con la grafia italiana i termini «gagió», «gagí», «gagé» quando non inseriti in frasi in romanes. In riferimento alla lingua useremo il termine «romanes», in luogo di «il romani» o «la romani», usuale nella letteratura anglofona e nei discorsi dei politici rom ma non nell’uso quotidiano. Letteralmente, romanes, che è un avverbio, significa «al modo dei rom».

1.
Europe zingare

1.1. Zingari: una categoria «politetica»

Il termine «zingari» rientra in un tipo di categoria che gli antropologi chiamano «politetica»¹. Le categorie politetiche non sono ben definibili, dal momento che non presentano tratti sufficienti e necessari a individuarle. Esse sono costituite da elementi che «si assomigliano» in qualcosa, ma per tratti diversi. Così, ad esempio, un fratello può assomigliare al proprio fratello perché entrambi hanno i capelli neri, diversamente da un terzo fratello che li ha biondi; questo, a sua volta, assomiglia al primo per via del naso aquilino, che non possiede il secondo, il quale tuttavia è simile al terzo avendo entrambi gli occhi verdi, diversamente dal primo che li ha marroni.

¹ Sulla struttura politetica della categoria «zingari» cfr. Piasere (1995).

Questo modo di categorizzare per «arie di famiglia» è molto comune, poiché favorisce un’alta flessibilità nelle associazioni mentali. E risulta particolarmente visibile nelle categorie transculturali, come quella di «zingari». In tutte le lingue europee è presente un termine più o meno equivalente all’italiano «zingari» (tsiganes, gypsies, gitanos, cigani ecc.), anche se è evidente che le persone così denominate non sono le stesse da un paese all’altro. La flessibilità della struttura concettuale ha permesso di includervi storicamente una varietà abbastanza composita di persone, con diversità culturali anche notevoli, il cui unico tratto comune è consistito, forse, in una stigmatizzazione negativa da parte di chi non si considerava zingaro. Tale atteggiamento negativo diffuso a livello di senso comune si è spesso accompagnato a una visione letteraria romanticizzata dello zingaro tutto passione e libertà: la figura della zingara, in particolare (la Zemfira di Puškin, la Carmen di Mérimée, l’Esmeralda di Hugo...), incarnava ambiguamente il binomio «amore e morte» così caro all’Occidente². La categoria di «zingari» appare dunque una costruzione esterna, da decostruire per poi ricostruirla inglobandovi movimenti rom di diverso tipo; ma da questa costruzione «esterna» dovremo partire poiché è in seguito ad essa che i rom hanno condiviso sorti analoghe in Europa.

² Sulle eroine zingare nel Romanticismo cfr. Piasere (2003b).

1.2. Popolazione

Sul numero degli zingari presenti in Europa non esistono censimenti precisi; d’altra parte, finché dichiararsi zingari o rom comporterà il rischio di essere stigmatizzati, tali censimenti non verranno mai effettuati, dal momento che molti preferiscono dichiarare identità meno compromettenti. Nonostante ciò, le stime sulla loro presenza non mancano. E poiché entrano direttamente nel dibattito politico per il riconoscimento dell’identità rom di tanti movimenti di rivendicazione, nei discorsi a volte nazionalistici di ricercatori in competizione con ricercatori dei paesi vicini, nelle richieste delle associazioni di volontariato per l’accesso a fondi di enti vari, pubblici o privati, tali stime sono sempre più oggetto di contestazione, per cui è veramente difficile dire se il numero complessivo degli zingari in Europa si aggiri attorno ai cinque milioni – come si asseriva fino a dieci-quindici anni fa – o se raggiunga gli otto-dieci milioni, come oggi si tende a dire da più parti. Ed è altrettanto difficile stabilire se tale crescita sia dovuta al giusto riconoscimento di un numero sempre sottostimato o alla varie lotte per l’identità che tendono ad amplificarlo.

Quella che invece mi pare sia cambiata poco nel corso degli anni è la stima sulla percentuale degli zingari presenti nelle varie regioni europee; ma è proprio questa a interessarci in quanto storicamente e socialmente importante.

Dovendo scegliere, partirò dalle stime presentate qualche anno fa da Jean-Pierre Liégeois nel riaggiornare un Rapporto europeo sulla scolarizzazione. Nel Rapporto si indica il numero minimo e massimo di zingari stimato in ciascuno Stato d’Europa. Prendendo in considerazione le stime minime, che sono comunque molto più alte di altre stime simili, e sommandole, risulterebbe in Europa (compresa la Federazione Russa, la Turchia e Cipro) un totale di 6.750.600 zingari. La figura 1 mostra come questi circa 7 milioni sarebbero distribuiti nei vari Stati. La cartina è stata costruita tenendo presente anche la percentuale della popolazione zingara all’interno dei singoli Stati³.

³ La stima sulla presenza zingara si trova in Liégeois (1999: 36), mentre il calcolo delle percentuali per ogni Stato è mio. Sviluppo nel corso di tutto questo capitolo e del seguente quanto abbozzato in Piasere (2003a).

Figura 1 – Le Europe zingare

Prima Europa zingara Verifichiamo così l’esistenza di una prima Europa costituita da un insieme di Stati situati nell’Europa carpato-balcanica, in cui la popolazione zingara può andare dal 3,8% all’11% della popolazione totale di un paese. Questo insieme costituisce quello che chiamo il «nucleo duro» ed è indicato nella tabella che segue:

Stato	Popolazione zingara (stima minima)	% sulla popolazione totale	PIL pro capite in dollari (nel 2000)
Romania	1.800.000	8	4.310
Bulgaria	700.000	8,4	4.010
Ungheria	550.000	5,4	7.200
Slovacchia	480.000	8,9	7.910
Serbia, Montenegro, Kosovo	400.000	3,8	1.510
Macedonia	220.000	11	3.210

Questa prima Europa zingara comprende da sola il 61,5% dell’intera popolazione zingara europea. In essa risaltano le situazioni della Romania, con il 26,6% della popolazione zingara d’Europa, e della Macedonia, che presenterebbe il rapporto più alto tra popolazione zingara e non zingara. L’indicazione del PIL pro capite fornita nella quarta colonna mostra come gli zingari si concentrino nei paesi più poveri d’Europa (si pensi, ad esempio, ai 21.260 dollari di PIL pro capite della Germania).

Questo nucleo duro è circondato da un alone di Stati, in cui i dati, in particolare quelli della terza colonna, vanno via via degradando. Questo alone può essere suddiviso in due sfumature, secondo la tabella seguente:

I
Repubblica Ceca	250.000	2,4	10.510
Grecia	160.000	1,5	12.769
Albania	90.000	2,8	2.120
Bosnia-Erzegovina	40.000	1,1	1.086
II
Turchia	300.000	0,5	6.350
Croazia	30.000	0,6	4.895
Moldavia	20.000	0,5	1.500
Slovenia	8.000	0,4	11.800

Come si vede, la prima sfumatura comprende i paesi in cui gli zingari rappresentano dall’1 a quasi il 3% della popolazione globale; il secondo quelli in cui la percentuale va dallo 0,4 allo 0,6%. Questa prima Europa zingara, costruita su un nucleo duro che sfuma a mano a mano, è molto diversa dalle altre Europe zingare.

Seconda Europa zingara Una presenza relativamente cospicua si ritrova in una zona lontana dai Balcani, nella regione atlantica d’Europa e sembra comprendere l’Irlanda, la Francia e la penisola iberica. Anche se in termini assoluti le cifre della Spagna pongono questo paese fra quelli con una più alta presenza zingara in generale, in termini di rapporto percentuale con il totale della popolazione l’intera regione si colloca ai livelli che abbiamo riscontrato nella zona-alone della regione carpato-balcanica:

Spagna	650.000	1,6	15.930
Francia	280.000	0,5	22.030
Portogallo	40.000	0,4	14.270
Irlanda	22.000	0,6	20.710

La specificità di questa seconda Europa zingara, che da sola comprende circa il 14,7% dell’intera popolazione zingara, è che si tratta di una zona ricca, come indica la quarta colonna, in cui risalta la situazione della Spagna, che è l’unica nell’Europa non balcanica a presentare una percentuale di zingari superiore all’1% della popolazione totale. Il Portogallo e la Francia potrebbero essere visti come una sorta di prodotto-alone della situazione spagnola, ma se questo è vero per il Portogallo, il caso francese resta abbastanza eccentrico, e ancora più eccentrico è quello dell’Irlanda, con la sua popolazione di travellers. In realtà, come vedremo nel capitolo terzo, questa seconda Europa zingara subirà un’azione di decostruzione che mostrerà come siano diversi i percorsi storici dei singoli paesi.

Terza Europa zingara Anche se possiamo trovare qualche altro Stato in cui la popolazione detta «zingara» è cospicua, come la Russia con i suoi 220.000 individui (ma di fatto tale numero risulta un’inezia rispetto alla vastità del paese e al numero dei suoi abitanti, tanto che la Russia si allinea completamente alla situazione degli altri Stati di questa rimanente parte d’Europa), nella terza Europa la popolazione zingara può raggiungere al massimo il livello dello 0,2% rispetto alla popolazione totale di un paese (come in Bielorussia). Potremmo prendere come caso emblematico la situazione di Regno Unito, Germania e Italia, dove tale percentuale si aggira intorno allo 0,10-0,15%. Questa terza Europa, che raccoglie complessivamente solo il 10,5% dell’intera popolazione zingara, è quella che ci è forse più familiare ed è quella da cui proviene la valutazione della «situazione degli zingari» in generale, con serio pregiudizio della comprensione del fenomeno. Se, infatti, la situazione degli zingari in questa terza Europa è quella condivisa da un maggior numero di Stati, essa interessa comunque una minoranza della popolazione zingara.

1.3. Presenze concentrate e disperse

Proprio perché raramente ai rom, ai sinti ecc. conviene dichiararsi zingari e agli Stati ammettere di avere molti zingari entro i propri confini, le stime ufficiali, quando ci sono, danno cifre e percentuali ampiamente inferiori a quelle fornite dalle associazioni rom, da quelle di volontariato o dai ricercatori. Ad esempio, se nella stima di cui mi sono servito gli zingari in Romania rappresentano l’8% della popolazione, essi risultano essere solo l’1,8% nel censimento del 1992⁴. Il fatto da sottolineare, in questo caso, non è tanto il divario tra cifre ufficiali e stime ufficiose, quanto quello che più di 400.000 rom hanno avuto il coraggio di dichiararsi zingari in un paese in cui dopo il 1989 si sono verificati dei veri e propri pogrom antizingari. Un divario simile si trova in Macedonia, dove la popolazione rom, per questioni chiaramente politiche, è ufficialmente data intorno al 2-3% della popolazione totale.

⁴ I dati riguardanti la Romania provengono da Pons (1995) e Achim (1998); quelli sulla Bulgaria da Marushiakova e Popov (1997); per l’Andalusia cfr. Gamella (1996); sulla situazione di Skopje cfr. Tripodi e Conti (1999).

Un altro aspetto da tener presente è il pregiudizio di base su cui sono costruite queste cifre ufficiali e non, costituito dalla griglia della suddivisione per Stati. Come ci si deve attendere, la distribuzione degli zingari all’interno di un territorio statale non è mai omogenea, ci sono sempre regioni in cui la concentrazione è maggiore e altre in cui è minore. Così, in base al censimento del 1992, in Romania abbiamo la maggiore concentrazione di persone autodichiaratesi igani nelle province transilvane di Târgu Mure (5,7%) e Sibiu (4,1%); esse superano il 3% nella regione che circonda Bucarest, nella pianura del Danubio (province di Giurgiu, Clrai e Ialomia), e sono oltre il 2% in tutte le province frontaliere dell’ovest, ai confini con Serbia e Ungheria.

Un secondo esempio è la Spagna, per la quale disponiamo solo di dati non ufficiali. Qui, più del 40% della popolazione gitana (questa volta su un totale stimato intorno alle 450.000 persone) si concentrerebbe al sud, nella sola Andalusia; poco meno del 30% nell’area costituita dalle regioni di Madrid e di Valenza e della Catalogna, e il restante nelle altre regioni del paese. In Andalusia, poi, si avrebbero punte «balcaniche» nella provincia di Granada (5,4% sulla popolazione totale) e Almería (4,4%). E in alcuni comuni di queste due province, infine, la popolazione gitana raggiungerebbe anche il 25-30% del totale (Vera, Iznalloz, Lanjarón, Deifontes, Colomera, Láchar).

D’altra parte, villaggi e quartieri, se non città, zingari, nei Balcani sono tutt’altro che rari. In Bulgaria, negli anni Settanta, sono stati contati 546 quartieri rom, situati all’interno delle città (mentre gli insediamenti nell’Europa centrale, come in Slovacchia, Polonia carpatica, Ungheria ecc., sono per lo più fuori dai centri abitati dai non zingari). I quartieri rom bulgari costituiscono una parte della struttura delle città del paese, di cui il «quartiere etnico» (mahala) è spesso l’unità costitutiva. Ma nelle grandi città si sono formati anche grandi ghetti rom nelle periferie, come a Sofia, a Varna, a Sliven, a Plovdiv. Nella Bulgaria orientale è vistoso anche il fenomeno dei «villaggi zingari», villaggi rurali abbandonati dai non zingari emigrati in città in cui i rom sono rimasti in grande maggioranza se non gli unici abitanti. I villaggi rom già erano noti in Romania nel periodo interbellico del secolo scorso, e nel censimento del 1930 la città di Urziceni, non lontana da Bucarest, contava ufficialmente oltre il 13% di popolazione rom. Il caso più famoso è, comunque, quello di Suto Orizari, una delle otto municipalità di Skopje, in Macedonia, in cui anche il sindaco è rom. Secondo il censimento del 1994, essa ha 16.907 abitanti, ma stime ufficiose parlano addirittura di 40.000. La cittadinanza è costituita per l’80% da rom e per il resto soprattutto da albanesi e macedoni.

Figura 2 – Divisione approssimativa delle aree a prevalente nomadismo (a nord della linea) e a prevalente sedentarietà (a sud)

1.4. Mobilità e stabilità

Fra i non zingari della «terza Europa» il termine «zingaro» è spesso sinonimo di «nomade». C’è un’immagine-schema – che rimanda al quadretto composto da un carrozzone, un cavallo o un’auto, qualche adulto, tanti bambini e magari dei cani, il tutto accompagnato da un sottofondo di musica, di colori sgargianti e di balli – che costituisce il prototipo della categorizzazione degli zingari. Le scienze cognitive insegnano che le immagini-schema sono di fondamentale importanza nelle modalità di costruzione della conoscenza. L’immagine della famiglia zingara come famiglia nomade (che si distingue dal vagabondo, nomade senza famiglia) è uno schema cognitivo ampiamente condiviso: è uno schema transculturale potente, la cui generalizzazione, però, rischia di essere arbitraria.

Benché stabilità e mobilità costituiscano i poli di un continuum di situazioni di vita in cui è impossibile individuare un confine netto, possiamo a livello intuitivo tenerle momentaneamente separate e pensare come «sedentaria» una famiglia che si sposti poco e viva normalmente in un domicilio fisso, non mobile né trasportabile. Allora possiamo costruire la figura 2, dove in modo molto approssimativo compare un’Europa divisa in due: a sud della linea disegnata troviamo una popolazione zingara in cui la maggioranza delle comunità già prima della Seconda guerra mondiale aveva avuto esperienze di sedentarizzazione; a nord della stessa linea troviamo invece popolazioni zingare in cui la maggioranza delle comunità al tempo della Seconda guerra mondiale era ancora largamente nomade, ossia praticava una mobilità considerevole su un territorio dato. La linea non divide comunità nomadi da comunità sedentarie, ma solo due tendenze: piccoli o grandi gruppi variamente nomadi sono sempre rimasti nelle zone con presenza dominante di famiglie sedentarie, così come famiglie sedentarie nella zona a prevalenza di nomadismo sono state segnalate già in epoca moderna.

D’altra parte, i tempi e le modalità degli insediamenti fissi possono variare molto da una regione all’altra. Anche se si hanno notizie di un insediamento fisso a Napoli già nel Seicento, fuori Porta Capuana, nell’Italia meridionale il processo di sedentarizzazione dei rom ha avuto un’accelerazione a partire dall’inizio del Novecento e nell’estremo sud si è quasi completato negli anni della Seconda guerra mondiale⁵. Diversa è la situazione nella penisola iberica e nei Balcani, dove gli insediamenti fissi sono già numerosi in epoca moderna o, come in Romania, esistono sin da quando fu attestata la presenza dei rom.

⁵ Sulla sedentarizzazione delle comunità dei rom dell’Italia meridionale cfr. i saggi in Pontrandolfo e Piasere (2002) e Pontrandolfo (2003). Sul caso particolare della Sardegna cfr. Aresu (2002).

Come si vede, a sud della linea sono comprese la penisola iberica (e forse alcune zone della Francia meridionale), l’Italia meridionale, tutta la penisola balcanica, su su fino a comprendere il Burgenland austriaco e i Carpazi polacchi e ucraini, ma a esclusione della Slovenia occidentale. Si tratta di una linea indicativa, ripeto, che lascia inesplorate diverse situazioni locali, d’altra parte non sempre ben note. In Bosnia, ad esempio, molte comunità hanno perseguito il nomadismo fino alla guerra degli anni Novanta, in decenni in cui la stragrande maggioranza degli altri rom jugoslavi era sedentaria, a volte da secoli.

Anche se si può pensare che vi sia una tendenza storica, fortemente influenzata dalle politiche degli Stati, che disegna un andamento generale dal nomadismo alla sedentarizzazione, non si deve assolutamente vedervi un processo di tipo evolutivo. I casi inversi di comunità tendenzialmente sedentarie che diventano nomadi sono ben documentati, e non è vero che i rom siano stati sempre e ovunque dei «nomadi per forza», cioè costretti dai gagé a una vita errabonda. A volte è accaduto e accade, ma in tanti contesti è stata ed è una scelta ben precisa. In Bulgaria, ad esempio, è stato notato un aumento del numero di famiglie che spontaneamente ridiventano nomadi dopo il 1989, ossia dopo che si sono allentati i controlli statali antinomadismo⁶. Forme di nomadismo forzato in comunità che non lo praticavano da secoli si possono notare, invece, in Italia, dove i romá profughi dal Kosovo o dalla Macedonia vengono «riziganizzati» alla occidentale e costretti a vivere da una periferia all’altra, scacciati dalle autorità o confinati nei grandi «campi nomadi», la nostra infamia nazionale.

⁶ Sul fenomeno della «rinomadizzazione» in Bulgaria cfr. Marushiakova e Popov (1997).

D’altra parte, la distinzione tra sedentarietà e nomadismo è importante soprattutto per un osservatore esterno; sono diversi gli studi che mostrano come sedentarietà e nomadismo possano essere strategie messe in campo in modo alternativo a seconda delle contingenze storiche. Per molte comunità, specialmente quelle che vivono a nord della linea della figura 2, la distinzione non ha un senso sociale. Momenti di mobilità sul territorio possono essere accompagnati da momenti di stabilità, con una turnazione stagionale, annuale o pluriannuale a seconda della congiuntura economica. In qualche comunità è stata notata una periodizzazione generazionale: una generazione di mobilità, un’altra di sedentarietà, e così via, in modi a volte non prevedibili.

Quello che possiamo constatare è che il quadretto della famiglia zingara nomade, nostra immagine-schema prototipica, nasconde una realtà evidentemente meno visibile: se sovrapponiamo mentalmente la figura 1 e la figura 2 ne risulta che più dell’80% dei cosiddetti zingari in Europa sono da tempo sedentari.

2.
La dimensione romaní

2.1. Un’altra Europa ancora

Gli zingari, in quanto momento dell’alterità costruita in Europa a partire dalla fine del Medioevo, hanno occupato posizioni diverse all’interno delle società in cui si sono trovati a vivere, come vedremo nel prossimo capitolo. Per comprendere il fenomeno nel suo complesso abbiamo bisogno di uno sguardo «pendolare» che tenga contemporaneamente in considerazione le relazioni interne alle comunità zingare e quelle con l’esterno, e come esse si articolino tra di loro. Dopo aver dato uno sguardo dall’esterno alla costruzione «zingari», dobbiamo cominciare a vederne gli «interni».

«Zingari», dicevamo, è un termine che rimanda a una categorizzazione politetica, un termine utilizzato dai non zingari con una coloritura fortemente stigmatizzante e discriminatoria. Ora, se prendiamo in considerazione il modo in cui quelli chiamati zingari si autodenominano, allora possiamo tracciare, sempre in via approssimativa, altre linee sulla carta d’Europa, come appare nella figura 3.

Figura 3 – Ripartizione approssimativa delle autodenominazioni

Possiamo idealmente tracciare una linea che congiunge Roma a Helsinki, toccando Vienna e Praga. Sotto il profilo storico, a est di tale linea troviamo essenzialmente, e in talune regioni esclusivamente, comunità che si denominano rom (con eventuali varianti fonetiche della «r» iniziale). In certi dialetti «rom» è sia singolare che plurale, in altri il plurale può essere «roma» (pronuncia «ròma») o «romá», a volte anche «romi». A ovest della linea, troviamo invece comunità che si denominano con termini diversi; ci sono anche dei rom, ma sono la minoranza. Queste altre autodenominazioni localmente maggioritarie sono: sinti, manu, kale (e kalos), romaniels, ognuna delle quali può avere diverse varianti.

La caratteristica di tutte le comunità che si attribuiscono tali denominazioni è che parlano – o è attestato che parlassero nei secoli scorsi – dialetti variamente intercomprensibili, costituenti appunto il romanes, che i linguisti affermano derivare da varianti popolari del sanscrito e che trovano nelle attuali lingue dell’India del Nord-Ovest la parentela più prossima.

L’aspetto linguistico ci serve per individuare un terzo gruppo di comunità, anch’esse solitamente chiamate zingare o assimilate agli zingari, che invece non parlano – e non risulta che abbiano mai parlato – dialetti neo-indiani. Parlano lingue di derivazione locale, a volte di derivazione arcaica, anche con piccole percentuali di termini romanes e di altre lingue minoritarie della zona in cui vivono. Queste comunità si trovano un po’ in tutta Europa, e sono categorizzate come zingari o per il loro nomadismo o per il loro status di paria. Esse, comunque, sembrano essere numericamente maggioritarie in certe regioni, isolate nella figura 3 dalla linea tratteggiata¹. Così, la penisola scandinava e la «frangia gaelica» (Irlanda e Scozia) sono abitate in prevalenza dai reisende e dai travellers («viaggianti»)², mentre l’Inghilterra e la Danimarca, che contemplano una presenza mista, rappresentano forse situazioni di passaggio. Nell’Europa continentale la Svizzera e l’Olanda sono abitate in prevalenza, rispettivamente, dagli jenische e dai woonwagenbewoners. Gli jenische sono presenti anche in Germania e Francia, ma è nella Svizzera del secondo dopoguerra che hanno subito le persecuzioni più terribili³. Maggioritari sono anche i caminanti, o carchianti, nella Sicilia sud-orientale, che nomadizzano in primavera-estate nel resto d’Italia⁴. Dispersi poi nel mare magnum dei rom balcanici sono i cosiddetti rudari della Romania, conosciuti anche come boja, e in Ungheria come beas⁵. Parlano un dialetto romeno del Settecento e sono presenti anche in Bulgaria, Serbia, Russia e, in comunità minori, nell’Europa occidentale (Italia compresa, arrivati dalla Serbia) e negli Stati Uniti.

¹ Sul problema generale dei rapporti tra zingari e «altri viaggianti» cfr. Rao (1987) e Piasere (1995).

² La migliore monografia su una comunità traveller irlandese è oggi quella di Ní Shuinéar (2003); classici sono gli studi di Barth (1955) e Heimowski (1969) sui reisende scandinavi.

³ Sulla persecuzione degli jenische in Svizzera cfr. l’esperienza diretta narrata da Mariella Mehr (1995).

⁴ Sui caminanti siciliani cfr. Mirabella (2002) e Sidoti (2003).

⁵ Sulla lingua dei beas cfr., fra gli altri, Varga (1997).

Si è molto discusso sui rapporti storici di tali comunità con gli zingari parlanti o ex parlanti romanes. Se in certi casi si può supporre un’origine rom di questi gruppi, come nel caso dei rudari, che per qualche autore sarebbero degli ex rom «rumenizzatisi» per sfuggire alla schiavitù, in altri casi una ricostruzione è ben più difficile. L’Europa moderna ha costruito decine e decine di gruppi stigmatizzati, nomadi e sedentari, formati da famiglie o individui che venivano espulsi dai processi di produzione e pauperizzati e che, letteralmente, venivano buttati sulla strada o ai margini dei villaggi⁶. Non c’è niente di anomalo nel pensare che alcuni di questi gruppi abbiano saputo costruirsi un’identità distinta dalla popolazione maggioritaria e abbiano saputo persistere nel tempo, così come non ci sarebbe niente di anomalo nello scoprire che alcuni di questi gruppi l’abbiano costruita ben prima dell’era moderna (potrebbe essere il caso dei travellers irlandesi). Proporre a priori che tutti gli «zingari» siano di origine indiana significa voler censurare questa capacità di «fabbricare zingari» che l’Europa ha avuto e continua ad avere.

⁶ Il caso degli agotes o cagots spagnoli e francesi studiato da Paola Antolini (1989) è pure esemplare.

La linea Roma-Helsinki si rivela ancor più approssimativa quando si considerino i grandi spostamenti di rom dalla ex Jugoslavia e dalla Romania avvenuti a partire dagli anni Sessanta, ma particolarmente dopo il 1989 e in seguito alle guerre jugoslave, che hanno interessato quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale e l’Italia. Vediamo più in dettaglio i gruppi che storicamente troviamo nella parte occidentale.

2.2. «Sinti» e «manu»

Fin dai primi documenti che li individuano, i sinti appaiono ben attestati nelle regioni tedescofone, dalla Prussia all’Austria, e l’influsso lessicale tedesco nel loro romanes è notevole. Presenti in modo più sporadico anche nei paesi vicini, come l’Olanda, la Polonia, la Boemia o la Danimarca, nel corso della storia moderna conoscono una serie di periodi migratori che li portano soprattutto verso l’Italia e la Francia. Alcune famiglie, seguendo i coloni tedeschi, si insediano nella Russia centrale. Si può congetturare che nell’Italia del Nord, dove sono tutt’oggi maggioritari, arrivino almeno in due fasi successive nel corso dell’era moderna, dando origine ai cosiddetti sinti piemontesi e sinti lombardi, mentre in una terza fase, tra Otto e Novecento, giungono i gruppi di provenienza austriaca e tedesca che si insediano nel nord-est (sintiestraixaria, krasaria, gakane). Nello stesso periodo nomadizzano nell’Italia centrale gli inte rosengre (letteralmente sinti «italiani» o «toscani», dove inte è una rara variante di sinti), un gruppo che sembra oggi scomparso, ma la cui lingua ci è ben attestata. È probabile che gli odierni sinti piemontesi (che ritroviamo anche lungo il Tirreno), storicamente insediati a cavallo delle Alpi occidentali, tra la Savoia, la Svizzera, il Delfinato e il Piemonte, siano il frutto della loro fusione con famiglie anche di altra provenienza, famiglie che nell’era moderna praticavano un nomadismo nord-sud di tipo transnazionale.

Apparentemente strana è la situazione francese. Qui, i sinti che arrivano dalla Germania specie nel corso dell’Ottocento, preferiscono identificarsi come manu, forse per distinguersi dai sinti piemontesi che vanno incontrando nel sud della Francia. Il fenomeno è da notare poiché mostra come possano essere flessibili le autodenominazioni, un fatto su cui ritorneremo. Così, si conoscono famiglie manuche emigrano in Italia agli inizi del Novecento: alcune tornano in Francia dove continuano a chiamarsi manu, altre si uniscono ai sinti italiani e ridiventano sinti. Oggi, famiglie con cognomi francesi si ritrovano sia tra i sinti piemontesi che tra i sinti lombardi, insediati in varie parti d’Italia, Sardegna compresa. Si sa di altre famiglie manu che negli anni Trenta girano la penisola iberica e l’Africa settentrionale⁷.

⁷ Sui movimenti dei sinti nell’era moderna tra Germania e Francia cfr. Reyniers (1992), tra Germania e Italia Piasere (1992), tra Francia e Italia Abbinante (2002), tra Austria e Italia Tauber (2003).

Nei dialetti del romanes, «manu» significa «uomo», denotazione che sembra esser venuta meno nel romanes dei manu stessi, che usano il termine solo per definire il gruppo in quanto distinto dai sinti, dai rom ecc. L’etimologia comunque è chiara, mentre totalmente oscura resta ancora quella di «sinto», anche se fin dall’Ottocento si è fatto derivare il nome da Sindi, Hindi e simili. Si tratta di un’etimologia molto nota ma improponibile, e frutto di un probabile accecamento dovuto all’«Indian connection». Nel romanes dei sinti, «sinto» significa anche «parente»⁸ ed è forse in quella direzione che va cercata la sua origine.

⁸ Sul termine «sinto» con il significato di «parente», in diversi dialetti, cfr. innanzitutto Caccini (2001) sulla lingua degli inte italiani dell’Ottocento, e Tauber (2003) per i sinti estraixaria; cfr. anche Formoso e Calvet (1987) per i sinti piemontesi. Sulla lingua dei sinti cfr. Holzinger (1993), su quella dei manufrancesi Valet (1986).

2.3. «Romaniel(s)»

Le vicende dei romaniel, o forse solo del loro nome, sono pure intriganti. Oggi i romaniel sembrano abitare esclusivamente la Gran Bretagna; da lì, in tempi diversi, molte famiglie sono emigrate nel Nord America e in Australia, dove oggi vivono numerosi discendenti. Il termine si ritrova anche come romanial, romniel e simili. Dal momento che essi oggi parlano un romanes basato sulla grammatica inglese (il cosiddetto anglo-romanes), si usa anche il termine romaniels⁹. È pure attestato l’uso frequente come autodenominazione del semplice Gypsies, corrispettivo inglese di «zingari», o anche di travellers. La varietà dei termini mostra come sia dinamico, aperto e flessibile l’uso delle autodenominazioni e spiega le frequenti incomprensioni e il disaccordo fra i ricercatori. Romaniel, però, è ampiamente attestato specie nei dizionari sinti raccolti nell’Ottocento, dove è registrato come una sorta di etnonimo alternativo. Nella forma romasel (plurale romasele) è tutt’oggi in uso fra i roma della Finlandia, di cui parleremo più avanti. Il termine, inoltre, era usato nelle zone basche francesi ed è ampiamente attestato nei gerghi francesi (sporadicamente anche italiani) in cui è evidentemente arrivato dal romanes. Si può quindi arguire che nell’era moderna il termine fosse molto più in uso in Europa, da solo o in concorrenza con altre autodenominazioni, di quanto non sia oggi e che, specie in Francia, gruppi di romaniel siano stati poi «manuizzati». L’etimologia direbbe che si tratta di parola derivata dalla fusione di romani + el, che significherebbe semplicemente «gente, popolo rom» (romani è l’aggettivo femminile di «rom», mentre el è un termine arcaico, ma ben attestato nell’Ottocento, e di etimologia contestata). Avrebbe, allora, significato affine a quelli di romnisinde e di romnimanu¹⁰, «parenti rom» e «uomini rom», segnalati all’inizio dell’Ottocento in Germania.

⁹ Sui romaniel inglesi i testi classici sono Acton (1974) e Okely (1983); sulla loro lingua cfr. Hancock (1984).

¹⁰ I termini romnimanue romnisinde sono riportati da Graffunder (1835) e Pott (1844).

Potrebbe dunque risalire agli antenati dei romaniel inglesi il primo documento del romanes europeo lasciatoci da Andrew Borde intorno al 1547-1548, tredici frasi in versione inglese e romanes, che cominciavano con un saluto: «Good morow», tradotto con Lach ittur ydyues (una forma all’apparenza sgrammaticata di lao tur dives, «buon giorno»)¹¹.

¹¹ Sulla prima testimonianza del romanes cfr. la versione italiana del volume di Borde (1992: 182-183).

2.4. «Kale», «calós»

Un’autodenominazione molto nota, forse più in uso nella letteratura che fra i locutori stessi, è quella di kale o kalé o kaale, a seconda dei dialetti. In romanes letteralmente significa «neri, negri» e si potrebbe congetturare che essa non sia altro che la traduzione del modo razzista con cui questi zingari venivano spesso chiamati dai non zingari. Fra i gruppi tedeschi dell’Ottocento è attestato un simile mellele o melleliaswqwel, «neri, sporchi», «popolo nero, sporco», sempre come autodenominazione¹². Tutti i primi cronisti sottolineano invariabilmente, infatti, il colore scuro della pelle dei nuovi arrivati; ma la denominazione potrebbe anche essere pre-europea. Allo stesso modo, pare che alcuni gruppi di sinti tedeschi si autodefinissero mellele, «neri, sporchi», e ancora oggi i manu del Massiccio Centrale, in Francia, chiamano thode manu(«manus lavati») i manu che ritengono troppo francesizzati¹³. Troviamo i kale in Finlandia, nel Galles e nella penisola iberica.

¹² Su mellele e melleliel cfr. Bischoff (1827).

¹³ Sui manu «lavati» cfr.

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