Sommario

Premessa

L’intervista è uno dei principali procedimenti d’indagine della sociologia empirica. Conseguentemente, esistono in letteratura numerosi testi dedicati a questo tema e tutti i manuali di metodologia della ricerca sociale riservano ad esso ampio spazio. Non sempre, tuttavia, vengono adeguatamente trattati o comunque approfonditi due aspetti che rivestono invece, a mio modo di vedere, una notevole importanza dal punto di vista sia teorico sia metodologico.

Il primo aspetto è relativo alla conduzione dell’intervista, qualunque sia la procedura – standardizzata o meno – in essa utilizzata per la raccolta delle informazioni. Nel primo capitolo di questo volume rivolgo particolare attenzione a questo aspetto e prendo in esame il rapporto tra intervistatore e intervistato considerandolo alla stregua di una qualunque interazione sociale, per come essa viene intesa nelle teorie dell’azione che pongono l’accento sui processi di produzione di senso: come ogni interazione sociale, anche la relazione tra intervistatore e intervistato può essere considerata e studiata come interazione simbolica e, dunque, come comunicazione¹.

1 Spunto e traccia per la stesura di questo capitolo è una conferenza (Perché rispondere? Dinamiche motivazionali e strategie d’interazione tra intervistatore e intervistato) che ho tenuto a Firenze, nel febbraio 2002, alla Quarta Scuola Invernale di Metodologia diretta da Alberto Marradi.

Considerare l’intervista come interazione significa esaminarne lo svolgimento ponendo l’accento sui processi di negoziazione tra i protagonisti, in un rapporto a due vie il cui esito dipende dalla definizione delle reciproche aspettative di ruolo e dall’intervento di fattori non solo razionali ma anche emotivi, non solo interni ma anche esterni all’intervista stessa. Come l’interazione sociale, anche l’intervista può svolgersi all’insegna della cooperazione oppure della competizione, con la conseguente necessità – per l’intervistatore – di mettere in atto strategie volte a favorire l’una e ad annullare, o quanto meno a ridurre, l’altra. Ad esempio, per favorire la cooperazione da parte dell’intervistato, l’intervistatore dovrà controllare l’influenza dei fattori che determinano l’eventuale diversità, da un lato, delle rispettive appartenenze sociali e culturali e, dall’altro, delle rispettive competenze comunicative. Dovrà inoltre non solo informare l’intervistato, ma anche rassicurarlo e sollecitarlo a collaborare e a rispondere, attivando dinamiche motivazionali e di comunicazione favorevoli in vista dell’obiettivo da perseguire.

Da questa impostazione deriva un modo di considerare l’intervista centrato appunto sulla conduzione prima che sullo strumento in essa utilizzato, sia esso una semplice traccia costituita da un elenco di argomenti o un questionario strutturato a domande «chiuse» con alternative di risposta precodificate. Infatti, quando è presente l’intervistatore, a un livello elevato di standardizzazione dello strumento non deve corrispondere necessariamente una modalità altamente direttiva di conduzione dell’intervista. In ragione della prospettiva che qui intendo far valere, la conduzione dell’intervista non può che essere sempre aperta, flessibile, dialogica. Detto altrimenti, lo strumento è, appunto, strumento, mezzo per rendere omogenea la rilevazione, e non vincolo obbligato e, meno ancora, «stimolo» considerato a priori uguale per tutti per come è formulato, con la presunzione che a uguale formulazione debbano necessariamente corrispondere uguale comprensione e uguale reazione da parte di tutti coloro ai quali viene sottoposto.

Porre a un intervistato una domanda di un questionario è un atto di comunicazione che implica spesso una mediazione della standardizzazione, ovvero un lavoro di «traduzione» della formulazione della domanda stessa, un lavoro che l’intervistatore compie in relazione alle competenze linguistiche e tematiche del proprio interlocutore, alle sue eventuali richieste di chiarimento e spiegazione, alle sue modalità d’interazione nel corso dell’intervista. Chi ha pratica di «somministrazione»²di questionari sa bene che il compito dell’intervistatore non è quello di semplice lettore di domande e di passivo classificatore e codificatore di risposte. L’intervistatore, infatti:

2 «Somministrazione» è un termine improprio in rapporto al punto di vista che sostengo, in quanto non si accorda con l’impostazione dialogica che dovrebbe caratterizzare anche l’intervista che fa ricorso al questionario. Ma si tratta di un termine di uso corrente e per questo anch’io continuo a utilizzarlo.

a) deve formulare la domanda nel modo che ritiene più adeguato caso per caso, per far sì che effettivamente tutti la comprendano in funzione di ciò che essa è destinata a rilevare;

b) deve ascoltare attentamente la risposta e, se necessario, intervenire per dare e/o ricevere chiarimenti e per sollecitare approfondimenti;

c) deve interpretare la risposta, sintetizzarla e classificarla, riconducendola a una delle categorie che costituiscono le alternative che «chiudono» la domanda. Questa sorta di istantanea analisi del contenuto di un testo orale (cioè la risposta, per come essa risulta non solo da un’affermazione più o meno pertinente dell’intervistato, ma anche dal lavoro semiotico che questa stessa affermazione può attivare tra i due interlocutori) richiede competenza, esperienza, disposizione al dialogo, capacità ermeneutica, esattamente come accade o dovrebbe accadere per le interviste senza questionario.

Quanto all’intervistato, egli non deve prendere visione del questionario e non deve leggere domande e alternative di risposta, se non in casi del tutto particolari decisi dal ricercatore (scale d’atteggiamento, tecniche proiettive, test di personalità, ecc.). Per quanto attiene alla sua interazione con l’intervistatore e alle modalità con cui fornisce le informazioni che gli vengono richieste, il fatto che lo strumento utilizzato per condurre l’intervista sia un questionario o, al contrario, una procedura assai meno strutturata e standardizzata, non dovrebbe fare alcuna differenza. Nella somministrazione del questionario una domanda «chiusa» con alternative di risposta precodificate e una domanda «aperta» senza alternative di risposta precodificate sono, per l’intervistato, esattamente la stessa cosa³.

3 Ovviamente ben altra è la situazione in cui non è possibile ricorrere all’operato di intervistatori preparati ed esperti e il questionario è compilato direttamente dagli intervistati. L’autosomministrazione è, in realtà, una soluzione di ripiego, alla quale si è talvolta costretti dalla scarsità delle risorse generalmente disponibili per la ricerca sociale.

Da questo modo d’intendere l’intervista con questionario, là dove sia presente l’intervistatore, credo possano derivare argomenti convincenti per respingere le accuse che tradizionalmente vengono ad essa rivolte dai sostenitori più estremisti dell’approccio «non standard». Possiamo riassumere queste accuse nei punti seguenti:

a) l’intervista con questionario è una modalità «inquisitiva» di fare ricerca, perché ha la pretesa di estorcere agli intervistati una «verità» prestabilita. Anzi, non è neppure un’intervista ma una tecnica costrittiva imposta «dall’alto»;

b) gli intervistati, infatti, non sono liberi di rispondere alle domande come meglio credono, ma sono obbligati a scegliere in un elenco preconfezionato di risposte;

c) l’intervistato, quindi, è considerato e trattato alla stregua di un «oggetto», di una «cavia», per come è di fatto costretto a dare sostegno empirico a paradigmi teorici definiti a tavolino, a confermare ipotesi astratte formulate a priori, a riprodurre un sapere conservativo sordo alla novità e all’eccezione.

Inoltre, il questionario e in genere gli strumenti di ricerca tipici dell’approccio «standard» imbriglierebbero anche il ricercatore che li usa, sospingendolo senza scampo nel circolo vizioso di pretendere di indagare un determinato fenomeno per come è, usando tuttavia procedimenti che invece determinano essi stessi che cosa quel fenomeno sia o debba essere. Ovviamente, a questa considerazione si può facilmente controbattere che qualunque strumento di conoscenza, a qualunque livello di standardizzazione esso si ponga, opera inevitabilmente una riduzione di complessità, semplificando la «realtà» e costringendola entro schemi concettuali prestabiliti.

Il secondo aspetto che a mio avviso merita particolare attenzione riguarda il rapporto tra l’intervista e i problemi di metodo di ordine più generale da essa implicati, problemi talvolta tralasciati nella manualistica per dedicare più spazio a questioni di carattere immediatamente tecnico e/o pratico. A questi problemi di metodo riservo, nel secondo capitolo, uno spazio per quanto possibile esteso. Ad esempio, nel caso di un’intervista con questionario, va considerato che ogni domanda è parte di un più generale processo di costruzione di una variabile, oppure che una domanda cosiddetta «chiusa» (con alternative di risposta precodificate) è, di fatto, un sistema di classificazione e come tale va di conseguenza elaborata e utilizzata, ovvero conoscendo e applicando le regole della classificazione e ricorrendo a soluzioni tecniche atte a garantire il rispetto di quanto da esse è stabilito.

L’approfondimento di questi due aspetti risponde a un’esigenza di carattere generale che costituisce il tema conduttore del volume: presentare al lettore l’intervista e le procedure che la caratterizzano con un adeguato livello di problematicità, evidenziando la complessità delle operazioni necessarie per costruire e utilizzare tali procedure. Tutto ciò in opposizione alle pratiche ingenue e/o disinvolte, dal punto di vista metodologico, diffuse in una parte non irrilevante della ricerca sociale «commerciale». Intendo alludere, soprattutto, alla ricerca condotta in ambito non accademico per una committenza interessata a risultati immediati e facilmente spendibili, come ad esempio accade per taluni sondaggi d’opinione ai quali viene attribuito ampio spazio nei mezzi di comunicazione di massa, e in particolare in televisione, all’insegna del sensazionalismo e della spettacolarizzazione.

Sulla base di queste premesse e di questi intendimenti, affronto nel terzo capitolo il tema delle interviste senza questionario e, nel quarto, quello delle interviste con questionario, prendendo in considerazione i principali problemi di ordine tecnico e pratico che si incontrano nell’un caso e nell’altro con le possibili soluzioni operative per ciascuno di essi: come costruire una traccia d’intervista, come formulare correttamente una domanda, come individuare – e se necessario specificare – le alternative di risposta se la domanda è «chiusa», come sollecitare nel corso dell’intervista risposte adeguate e pertinenti da parte dell’intervistato, come tentare di «smascherare» risposte che sembrano essere non veritiere, e così via.

L’aver optato per la semplice distinzione tra intervista senza e intervista con questionario non è stato, per me, un fatto casuale. Considero infatti questa distinzione meno vincolante e, anche, meno fuorviante di altre basate su criteri che coinvolgono il livello di strutturazione, il livello di standardizzazione e il livello di direttività, spesso sovrapposti l’uno all’altro. Abbiamo, così, tipologie in cui compaiono interviste nel contempo non strutturate, non standardizzate e non direttive, a un estremo; e interviste nel contempo strutturate, standardizzate e direttive, all’altro. In realtà, se si fa riferimento alla struttura, tutte le interviste sono «strutturate» (con la sola eccezione dell’intervista cosiddetta «libera») perché tutte utilizzano uno strumento più o meno articolato e complesso, sia esso una traccia che si configura come un elenco di temi oppure un questionario. Se poi si fa riferimento alla standardizzazione dello strumento, abbiamo visto che essa non va considerata di per sé, ma in relazione alla modalità di conduzione da parte dell’intervistatore, conduzione che dovrebbe essere sempre flessibile e commisurata alle competenze comunicative dell’intervistato e ai suoi atteggiamenti e comportamenti nel corso dell’intervista. Al livello di standardizzazione dello strumento non corrisponde, dunque, un equivalente livello di direttività della conduzione. Stante la mediazione della standardizzazione di cui ogni intervistatore è inevitabilmente protagonista nella concreta prassi dell’intervista, tutte le interviste sono o dovrebbero essere non direttive o tendenzialmente tali, anche quelle che utilizzano uno strumento altamente standardizzato qual è un questionario con domande «chiuse».

1. L’intervista come interazione sociale

L'intervista nella ricerca sociale

L'autore

Gianni Losito

Un monito scelto dalla famiglia Laterza come esortazione alla tenacia e ad una costante crescita.

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