Indice Estratto

Edizione: 2001, III rist. 2008
Pagine: 154
Collana: Universale Laterza [802]
ISBN carta: 9788842063087
ISBN digitale: 9788858121542
Argomenti: Storia contemporanea

Il Novecento

Interpretazioni e bilanci

Mariuccia Salvati

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Il secolo che si è appena concluso è oggetto di un vivace, a volte aspro, dibattito tra gli storici. La sua eredità è controversa, la memoria ancora divisa. Il volume di Mariuccia Salvati è un'agile guida alle idee, alle passioni e alle diverse interpretazioni del Novecento.

Estratto

Edizione: 2008
Pagine: 154
Collana: Universale Laterza
ISBN: 9788842063087

L'autore

Mariuccia Salvati

Mariuccia Salvati insegna Storia contemporanea all'Università di Bologna. È autrice, tra l'altro, di Stato e industria nella ricostruzione (Milano 1982), Da Berlino a New York. Crisi della classe media e futuro della democrazia (Bologna 1989, ristampato a Milano 1999) e L'inutile salotto. L'abitazione piccolo-borghese nell'Italia fascista (Torino 1993); ha recentemente curato l'edizione italiana di un classico del totalitarismo: Emil Lederer, Lo stato delle masse (Milano, 2004)

Scopri l'autore

¹ Paul Valéry, La crisi del pensiero (1919), in Id., La crisi del pensiero e «altri saggi quasi politici», Il Mulino, Bologna 1994, p. 41.

² Cfr. Novecento-Arte di Palma Bucarelli e Novecento-Letteratura, in Enciclopedia Italiana, vol. XXIV, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1934; Novecento, in Enciclopedia dell’architettura, Garzanti, Milano 1996.

³ Luisa Mangoni, La cultura: periodizzazioni e apocalissi, in «Parolechiave», n. 12, poi in Claudio Pavone (a cura di), ’900. I tempi della storia, Donzelli, Roma 1997, p. 203.

⁴ Sul carattere anti-democratico, selettivo e trasversale, nello schieramento destra-sinistra, assunto dalla ricezione europea della cultura della tecnica e della produttività (rispetto all’adesione entusiasta dell’intera cultura americana) aveva già richiamato l’attenzione nel 1970 Charles S. Maier, riconducendo le sue varianti al fragile impianto liberale dei paesi di adozione (Between Taylorism and Technocracy: European ideologies and the vision of industrial productivity in the 1920s, ora in In search of Stability: Explorations in Historical Political Economy, Cambridge University Press, Cambridge 1987). Per il caso Italia, è sufficiente pensare ai capiscuola della propaganda di futurismo e Novecento (Filippo Tommaso Marinetti e Margherita Sarfatti) e alla loro «carriera» nell’ambito del fascismo.

⁵ Ho avuto occasione di sviluppare questi aspetti in L’inutile salotto. L’abitazione piccolo borghese nell’Italia fascista, Bollati Boringhieri, Torino 1993.

⁶ E l’affermazione così proseguiva: «La guerra e il travaglio del 1919-20 bruciarono fino alla cenere più impalpabile gli ultimi avanzi delle ultime degenerazioni del romanticismo» (cit. in Luisa Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Laterza, Roma-Bari 1975, p. 127).

⁷ Ivi, p. 129; cfr. Alberto Asor Rosa, Bontempelli Massimo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XII, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1970.

⁸ Cfr. Giulio Ernesti (a cura di), La costruzione dell’utopia. Architetti e urbanisti nell’Italia fascista, Ed. Lavoro, Roma 1988.

⁹ Cfr. Giuseppe Giarrizzo, Storiografia. Età moderna e contemporanea, in Enciclopedia Italiana, Appendice V, vol. V, Roma 1995.

¹⁰ È ancora Giarrizzo a notarlo nella sua voce, alla quale si rinvia per un approfondimento di un dibattito molto attuale; cfr. anche, ivi, la voce Postmoderno a cura di Giorgio Patrizi e Maria Anita Stefanelli (Postmoderno-Letteratura), Stefano Chiodi (Postmoderno-Arte), Ada Francesca Marcianò (Postmoderno-Architettura). Per alcune recenti discussioni nel campo specifico della storia, si veda il dibattito apertosi con un intervento di Lawrence Stone (History and Post-Modernism) in «Past and Present», n. 131, maggio 1991, e proseguito nei nn. 133 e 135 della stessa rivista, e la discussione avviata da Arthur Marwick, Two Approaches to Historical Study: the Metaphysical (including ‘Postmodernism’) and the ‘Historical’, in «Journal of Contemporary History», XXX, n. 1, 1995, con interventi successivi, nella stessa rivista, tra i quali quello di Hayden White (n. 2, 1995).

¹¹ Cfr. Cesare De Michelis, Un secolo doloroso, in ’900. Un secolo innominabile. Idee e riflessioni, Marsilio, Venezia 1998, p. 31.

¹² Cfr. David Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano 1993, p. 21, che riprende Jean-François Lyotard (La condition post-moderne: rapport sur le savoir, Minuit, Paris 1979). Per una estesa ricostruzione della storia del dibattito, cfr. Jeffrey C. Alexander, Modern, Anti, Post, and Neo, in «New Left Review», n. 210, 1995. Sempre sulla periodizzazione del modernismo, in questo caso dell’arte, cfr. Malcom Bradbury (Prefuturismo, in «Liberal», n. 34, gennaio 1998) che propone la sintesi seguente: «Il modernismo ha coinciso così sia con le ultime riforme dell’età vittoriana, con il liberalismo progressista, con l’avvento del socialismo e della moderna società di massa, sia, dopo il 1917, con l’affermazione del nazionalsocialismo, del fascismo e del bolscevismo»; esso incarna da un lato «quel grande senso futuristico di una radicale trasformazione della storia e degli uomini che costituisce uno degli aspetti più tipici della sensibilità dei primi anni del secolo; dall’altro ha incarnato il disagio europeo, la percezione della crisi, il senso di dissoluzione sociale e culturale che hanno segnato gli anni tra le due guerre». Si veda invece Göran Therborn (European Modernity and Beyond. The Trajectory of European Societies 1945-2000, Sage, London 1995) per una impostazione incentrata sulla modernità delle società in quanto tutte «volte al futuro».

¹³ Jules Verne, Parigi nel XX secolo, a cura di Maurizio Grasso, Newton Compton, Milano 1995 (la prima edizione francese è del 1994).

¹⁴ È quasi superfluo evidenziare il nesso tra modernità ed elettrificazione: questo nesso nel romanzo di Verne è già duplice, perché contempla non solo la sostituzione della incerta luce delle lanterne a gas con le lampade elettriche, ma anche l’avvento della produzione di forza motrice trasportabile a distanza. Del resto, proprio Parigi sarà nel 1881 la sede di una Esposizione internazionale dell’elettricità, ma gli stessi anni vedranno la celebrazione della nuova era attraverso le più diverse forme artistiche, dalla letteratura alla pittura, alla musica e al balletto (cfr. Andrea Silvestri, Annamaria Galbani, L’immaginario dell’elettricità, Scheiwiller, Milano 1999; vedi anche Wolfgang Schivelbusch, Luce. Storia dell’illuminazione artificiale nel secolo XIX, Pratiche, Parma 1994).

¹⁵ Basterà ricordare l’incipit di Dialettica dell’illuminismo (Einaudi, Torino 1980, p. 11) di Max Horkheimer e Theodor W. Adorno: «L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura».

¹⁶ Sulla teoria della modernità di Benjamin, cfr. David Frisby, Frammenti di modernità. Simmel, Kracauer, Benjamin, Il Mulino, Bologna 1992.

¹⁷ Cfr. i saggi raccolti in Die Verborgene Tradition (1948) e in Men in Dark Times (1968) e, in italiano, in Il futuro alle spalle, a cura di Lea Ritter Santini, Il Mulino, Bologna 1981; ma si veda anche, per un efficace racconto delle affinità elettive tra messianesimo ebraico e utopia libertaria, Michael Löwy, Redenzione e utopia. Figure della cultura ebraica mitteleuropea, Bollati Boringhieri, Torino 1992.

¹⁸ La futurologia di fine Ottocento vede come principali protagonisti, oltre a Verne, anche l’inglese Herbert G. Wells e l’americano Edward Bellamy (con Looking Backward, 2000-1887, Ticknor and Company, New York 1887), ma del clima di attesa di cambiamento fa pure parte l’ampia circolazione delle teorie economiche di Smith, Malthus e Marx (cfr. Alan Brinkley, Immaginare il Novecento. Due ‘fins de siècle’ a confronto, in «Novecento», n. 2, 2000, p. 12) e più in generale delle teorie del mutamento sociale (cfr. Wendell Bell, Futuro, in Enciclopedia delle scienze sociali, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1994).

¹⁹ «Vorrei spiegare brevemente questo processo. La cosiddetta ‘epoca moderna’ è stata elevata al proprio concetto, al concetto cioè di ‘tempo nuovo’, solo verso la fine del secolo XVIII. Nel concetto di ‘progresso’ che allora coincideva ampiamente con quello di ‘storia’ era implicito un tempo storico che superava continuamente se stesso. Ora, la funzione comune svolta dai due concetti stava nel tracciare un nuovo orizzonte di aspettativa del futuro» (Reinhart Koselleck, Sulla disponibilità della storia, in Id., Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Marietti, Genova 1986, p. 228). Il tema è ampiamente ripreso in Geschichte, in Otto Brunner, Werner Conze, Reinhart Koselleck (a cura di), Geschichtliche Grundbegriffe, Klett, Stuttgart 1975 (trad. fr. Le concept d’histoire, in L’expérience de l’histoire, Gallimard-Le Seuil, Paris 1997, in particolare pp. 82 sgg., L’ouverture d’un abîme entre l’expérience et l’attente).

²⁰ Per i riflessi degli squilibri demografici sull’andamento dei termini di scambio commerciali nel decennio prima della guerra, si veda il magistrale capitolo introduttivo di John Maynard Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Treves, Milano 1920. Per le prospettive rovesciate di questa fine secolo, cfr. Massimo Livi Bacci, Abbondanza e scarsità. Le popolazioni d’Italia e d’Europa al passaggio del millennio, in «Il Mulino», n. 6, 1997.

²¹ Il tema della decadenza nella letteratura post-darwiniana in Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia è oggetto di continui studi e rivisitazioni: cfr. Edward J. Chamberlain, Sander L. Gilman, Degeneration, Columbia University Press, New York 1985; più di recente, Daniel Pick, Faces of Degeneration: A European Disorder, 1848-1918, Cambridge University Press, Cambridge 1989, che sottolinea utilmente, a fine Ottocento, lo spostarsi dell’interesse medico-psichiatrico dal singolo individuo «malato» alla folla, cioè alla società stessa; ma cfr. anche i saggi contenuti in «Journal of Contemporary History», XVII, n. 1, 1982 (dal titolo Decadence, a cura di Eugene Weber) e nella stessa rivista, su Nordau, i saggi di George Mosse (n. 4, 1992) e di Steven E. Ascheim (n. 4, 1993).

²² Cfr. Guglielmo Ferrero, L’Europa giovane. Studi e viaggi nei paesi del Nord, Treves, Milano 1897, pp. 203-205. Su Ferrero e il clima del suo tempo, nella crisi del liberalismo segnata dal «fenomeno Crispi», cfr. Luisa Mangoni, Una crisi fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Einaudi, Torino 1985.

²³ Ivi, p. 421.

²⁴ Si veda per una recente rapida contestualizzazione dell’opera di Daniel Halévy (noto soprattutto per il suo La fine dei notabili), Giuseppe Galasso, Il castigo della decadenza, in «Il Sole-24 Ore», 6 luglio 1997.

²⁵ Cfr. Jay Winter, Il lutto e la memoria. La Grande Guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna 1998.

²⁶ Cfr. Domenico Conte, Introduzione a Spengler, Laterza, Roma-Bari 1997 e la prefazione di Stefano Zecchi a Oswald Spengler, Il tramonto dell’occidente: lineamenti di una morfologia della storia mondiale, Guanda, Parma 1991. Fu già Ernst Cassirer (Il mito dello Stato, Longanesi, Milano 1950 [ed. or. Yale University Press, New Haven 1946], p. 422) a parlare per l’opera di Spengler di un successo sensazionale mai prima di allora ottenuto da un’opera filosofica. E le ragioni? Stavano nel titolo più che nel contenuto («una scintilla elettrica che infiammava l’immaginazione dei lettori»), nel momento della pubblicazione (luglio 1918, alla fine della guerra, quando molti avevano compreso «che c’era qualcosa di marcio nelle condizioni della nostra tanto esaltata civiltà occidentale»), nello stile («Non era affatto un libro scientifico. Spengler disprezzava, e anzi sfidava apertamente, tutti i metodi della scienza»), nel proporre un nuovo metodo (nella prefazione affermava: «In questo libro si tenta per la prima volta l’avventura di predeterminare la storia. Di seguire le fasi ancora non sviluppate del destino di una cultura...»), nel cercare il futuro della «cultura europeo-americana dell’occidente» nel destino, nel fato, inseparabile dal pensiero mitico (Cassirer parla di analogia fra il libro di Spengler e alcuni trattati astrologici del Rinascimento italiano).

²⁷ «La crisi dell’idea di progresso – ha scritto Paolo Rossi, Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Il Mulino, Bologna 1995, p. 94 –, l’identificazione di quell’idea con un mito ottocentesco sono legate alle prospettive della cultura europea del secondo e del terzo decennio del Novecento, al senso dell’‘inutile massacro’ della prima guerra mondiale, alla grande crisi degli anni Trenta. La grande guerra e la crisi hanno distrutto il mondo della sicurezza. [...] I temi presenti in Spengler ritornano, quasi ossessivamente, nella cultura del Novecento: la servitù dell’uomo contemporaneo, la dissacrazione della persona, la responsabilità delle macchine, la violazione empia dell’intatta natura. Ciò che è moderno non coincide più con ciò che è umano».

²⁸ Spengler (ha osservato Gennaro Sasso, Tramonto di un mito: l’idea di progresso tra Ottocento e Novecento, Il Mulino, Bologna 1984) riesce a conferire espressione a «molte delle voci pessimistiche che da decenni si intrecciano nella polifonia europea».

²⁹ Cfr. Luciano Cafagna, Un futuro che abbiamo perduto?, in Europa a confronto. Innovazione, tecnologia, società, a cura di Antonio Ruberti, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 439-79. Sulla passione anti-borghese e anti-liberale della cultura europea, si vedano anche le osservazioni di François Furet in Il passato di un’illusione, Mondadori, Milano 1995.

³⁰ Proprio richiamandosi a Nordau e alle migliaia di pagine scritte da filosofi, psichiatri, antropologi, sociologi, letterati negli ultimi decenni dell’Ottocento sul tema della degenerazione, Paolo Rossi ribadisce il suo pensiero sulla inconsistenza delle costruzioni epocali e contesta la fede nel progresso come asse portante dell’epoca positivista (De progressu rerum cogitata et visa, in Id., Naufragi senza spettatore cit., p. 118).

³¹ Cfr. Walter Laqueur, Fin-de-siècle: Once More with Feeling, in «Journal of Contemporary History», XXI, n. 1, 1996, pp. 11 sgg. Ancora più trasgressivo del canone artistico classico che imponeva la separazione tra sacro e profano, tra bellezza e virtù, appare il quadro coevo dello stesso Munch, dall’inquietante titolo Eredità, in cui una madre con un bambino sifilitico in braccio offrono una versione blasfema della iconografia della Madonna.

³² Per la tesi dell’influenza tedesca (Nietzsche, Schopenhauer, Wagner) sulla cultura francese ed europea di fine secolo, si veda il classico di Walter Binni, La poetica del decadentismo, Sansoni, Firenze 1949, uno studio che ben si inseriva nel clima culturale europeo all’uscita dal trauma della seconda guerra mondiale. Un clima intriso di esistenzialismo e dunque di «decadentismo», ha osservato Eugenio Garin (Mezzo secolo dopo, in «Belfagor», n. 2, 1998), il quale ricorda come sul nesso tra filosofia dell’esistenza ed esa

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