La generazione capace di preveder la fine di un’epoca

Claudio Natoli legge Fabio Fabbri

L’alba del Novecento, alle radici della nostra cultura

Claudio Natoli | L’Indice dei Libri del mese | febbraio 2023

Ha scritto Eric Hobsbawm in Il Secolo breve che la prima guerra mondiale rappresentò il crollo della civiltà occidentale dell’Ottocento: una civiltà che “si gloriava dei processi della scienza, del sapere e dell’istruzione e che credeva nel progresso morale e materiale” ed era anche “profondamente persuasa della centralità dell’Europa, luogo di origine delle rivoluzioni nelle scienze, nella arti, nella politica e nell’industria”, mentre nel contempo “la sua economia si era diffusa in tutto il mondo così come i suoi soldati avevano conquistato la maggior parte dei continenti”. Per la verità l’affermazione del liberalismo era all’epoca tutt’altro che compiuta e la realtà europea era caratterizzata da profonde diversità sul piano dei sistemi politici e degli assetti di potere, da una persistente influenza e capacità di resistenza da parte delle forze dell’ancient régime e da una configurazione delle classi dominanti che vedeva, più che una contrapposizione tra borghesia e ceti nobiliari, una rafforzata compenetrazione e una convergenza volta a sbarrare la strada al progredire del socialismo e all’avvento della democrazia. Cosicché, se si esclude la Gran Bretagna, le classi dirigenti dell’Europa si muovevano alla vigilia del 1914 in una logica di restaurazione conservatrice all’interno e di accentuata conflittualità internazionale ancora di segno Ottocentesco: valga per tutti il fatto che anche la prospettiva di una conflagrazione tra le grandi potenze veniva affrontata perlopiù nel segno di una guerra breve e vittoriosa, cosicché, riguardo agli avvenimenti dell’estate 1914, Christopher Clark ha intitolato il suo libro più noto I sonnambuli. L’intuizione del ministro degli Esteri britannico Edward Grey, secondo cui lo scoppio della guerra segnava lo spegnersi delle “luci sull’Europa” costituì un caso molto raro. Non erano per converso mancati soggetti capaci di percepire per tempo i segni premonitori di una catastrofe incombente, ma essi si collocavano nel vivo della società, in una sfera lontana dai vertici del potere, ed essi vanno individuati da una parte nella precorritrice denuncia dell’imperialismo e del pericolo di una guerra generale da parte della II Internazionale (peraltro destinata anch’essa al crollo di fronte alla prova dell’”unione sacra”), e dall’altra dalle avanguardie nel campo della letteratura, delle arti e della scienze.

Proprio a quest’ultimo tema è dedicato il volume di cui qui si discute. Il filo conduttore della ricerca è che la generazione degli anni ottanta, nei suoi esponenti di primo piano della letteratura, della pittura, della musica, della scienza e della tecnica, del cinema e del teatro, con la sue idee, le sue realizzazioni e le sue scoperte, non meno che nel modo di rapportarsi alla realtà politica e sociale esistente e al suo sistema di valori consolidati, non solo dimostrò una straordinaria percezione dell’imminente fine di un’epoca, ma pose le radici stesse della futura cultura del Novecento, e cioè di quella che si sarebbe affermata dopo il 1914 e nei decenni successivi. Come scrive l’autore, è “sulle idee generate durante il ventennio che va dal 1895 al 1914 che poggiano, in ogni campo del sapere umano, le radici della rivoluzione culturale da cui si è generata tutta la civiltà del Novecento”. Nella scienza e nell’arte, nella letteratura e nella tecnologia, nella filosofia e nel pensiero sociale e politico, si imposero principi e trasformazioni da cui fu impossibile recedere. Ciò che ne risulta è un quadro ricchissimo, che non solo segue la nascita e l’evoluzione delle avanguardie artistiche, letterarie, musicali, filosofiche e nel campo delle scienze nei principali centri dell’Europa nel periodo considerato, ma ne ricostruisce le reciproche interrelazioni, rompendo le barriere dei singoli settori disciplinari.

Si possono così seguire le nuove correnti espressive del postimpressionismo (da Cézanne a Matisse), la rottura segnata dalle Secessione viennese (da Klimt a Schiele, a Kokoschka) e gli albori dell’architettura funzionalista (Adolf Loos e Otto Wagner), la nascita dell’espressionismo tedesco (da Kirchner a Nolde), del cubismo e dell’astrattismo (da Picasso a Kandinskij e a Klee) sino all’irrompere del futurismo, le nuove frontiere nel campo della poesia e della letteratura (da G.B. Shaw a Wilde, a Gide, Schnitzler, Musil, Hofmannsthal, Rilke, Joyce, Kafka) e naturalmente in quelle della musica impressionistica, atonale e dodecafonica (Debussy, Mahler, Schonberg, Stravinskij, sino ai primi vagiti del jazz), Il tutto intrecciato con la scoperta freudiana dell’inconscio e la nascita della psicanalisi in quello straordinario laboratorio artistico e intellettuale che fu la Vienna di inizio secolo e con tutte le sue ricadute nel campo della filosofia e della sociologia (da Bergson a Husserl, da Durkheim a Simmel), a cui si potrebbe aggiungere l’affermarsi della moderna antropologia (Mauss). E infine, la vera rivoluzione nel campo delle scienze, dalla teoria della relatività alla matematica e alla fisica quantistica, con la ridefinizione dei concetti di spazio e di tempo: il tutto accompagnato da una serie di sensazionali innovazioni tecnologiche, dalla radiotelegrafia al motore a scoppio e all’aeroplano, dalle molteplici applicazioni dell’elettricità alla chimica sintetica, sino all’inaugurazione della prima fabbrica fordista. Al di là delle diverse sensibilità, il tratto che accomunava gran parte di queste esperienze artistiche e intellettuali fu la volontà di rottura con le tradizioni accademiche rivolte al passato e i sistemi di convenzioni e di valori dominanti, nonché la dissacrazione dei tabù e la ricerca di nuove forme espressive attente ai conflitti dell’interiorità: il tutto unito a una visione della modernità che aveva al centro le trasformazioni legate alla tumultuosa crescita dell’industria e delle grandi città, libera dai limiti positivistici del progresso e volta piuttosto a rimarcare il passaggio a una nuova epoca storica carica di incertezze, di lacerazioni e di conflitti, nel quadro dell’incombere della fine, se non della catastrofe, di un’intera civiltà. In questo le avanguardie artistiche e intellettuali dimostrarono una sensibilità e una capacità di percezione ben maggiore delle classi dirigenti europee. Più in generale, come scrive l’autore riprendendo la cornice interpretativa tracciata da Hobsbawm in L’età degli Imperi, il nuovo clima culturale che emergeva già prima del 1914 precorreva per molti importanti aspetti il secolo breve.

In uno scenario già così ampio e basato in massima parte su un vasto spoglio della letteratura secondaria, la contestualizzazione storica più ampia è affidata ai vivaci resoconti di alcuni quotidiani in occasione di eventi che all’epoca colpirono in misura maggiore l’immaginario collettivo (le esposizioni universali di Parigi, la prima trasvolata della Manica, il naufragio del Titanic, la cometa di Halley), mentre la “grande storia” compare attraverso alcuni brevi excursus sul colonialismo, la rivoluzione russa e le guerre balcaniche. Ciò non diminuisce il merito dell’autore di aver proposto, in una riuscita prospettiva interdisciplinare, una riflessione di ampio respiro su un tema di grande rilevanza nella storia del Novecento.