I Promessi Sposi, un romanzo di lotta e un atto d’amore di Manzoni per l’Italia

Francesco Mannoni intervista Roberto Bizzocchi

Roberto Bizzocchi, in un saggio a 150 anni dalla morte dello scrittore, analizza gli aspetti più profondi dell’opera: «Al centro ci sono i diritti dei deboli contro gli abusi dei potenti. Il lavoro sulla lingua unì la penisola»

Francesco Mannoni | L’Eco di Bergamo | 4 gennaio 2023

Oltre all’ispirazione cristiana, nei «Promessi Sposi» di Alessandro Manzoni, c’è ben altro, e precisamente: «Identità pubblica nazionale in chiave europea e non nazionalista; morale privata basata sulla libertà di scelta e sulla responsabilità individuale, e ciò sia per gli uomini che per le donne; illuminato senso della misura nella valutazione delle cose del mondo, ma con una percezione acuta della giustizia e dell’ingiustizia dei contesti sociali e delle azioni dei singoli che vi operano».

Questa particolarità critica, nel centocinquantenario della morte di Alessandro Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – 22 maggio 1873) la sostiene Roberto Bizzocchi, docente di storia moderna dell’Università di Pisa, in un saggio che analizza con il microscopio d’una critica attenta e sottile gli aspetti più autentici e profondi del grande «Romanzo popolare» (Laterza, 200 pagine, 20 euro, ebook 12,99 euro), spiegando, con un procedimento diagnostico, «Come i Promessi Sposi hanno fatto l’Italia».

Una rilettura appassionante dei «Promessi Sposi» la sua, professore, che ci fa vedere un mondo che forse ci era sfuggito. Alla luce del suo studio approfondito, i «Promessi Sposi» è un romanzo o più un trattato socio-politico?

«È un romanzo, e bellissimo, ma con una caratteristica forte, che lo distingue dagli altri bellissimi romanzi dell’Ottocento europeo: non racconta gli eventi e i personaggi e le loro azioni in modo oggettivistico, limitandosi a riprodurre la realtà, ma vi aggiunge sempre il suo giudizio morale. Gli uomini possono comportarsi bene o male, le cose che succedono possono essere giuste o ingiuste; e noi dobbiamo avere ben viva la coscienza di ciò, perché la Provvidenza non esime gli uomini dalle loro responsabilità individuali. In questo atteggiamento il cattolico Manzoni resta un uomo dell’Illuminismo, la cultura in cui si era formato, la quale insegna a non arrendersi mai di fronte alle storture del mondo, bensì a combatterle, per rendere meno brutta la nostra vita. Quindi, senza parlare di trattato, si può dire che il romanzo ha un deliberato intento programmatico e pedagogico».

Da quali elementi di rilievo inizia la sua radiografia dell’opera manzoniana?

«Sono partito dall’impressione di “romanzo di lotta” che i Promessi Sposi mi hanno sempre fatto, fin dalla mia prima lettura ginnasiale, e poi sempre di più nelle letture in età matura. Bisogna liberarsi dal pregiudizio su Manzoni moderato e accomodante, mettendo subito in chiaro che il rifiuto della violenza e l’obbligo del perdono – quelli che padre Cristoforo ricorda a Renzo – sono, semplicemente, coerenti con la fede di un vero cristiano, quale Manzoni fu. Per il resto, il quadro della società del Seicento è severo fino all’indignazione: governanti cialtroni (quasi tutti), signorotti prepotenti (don Rodrigo), funzionari e avvocati (Azzecca-garbugli) asserviti al malaffare, intellettuali condizionati da sciocche superstizioni (don Ferrante), per non dire del parroco don Abbondio inadempiente per vigliaccheria. Manzoni moderato? A me pare un radicale, perfino troppo duro nella rappresentazione di un secolo che – gli storici di oggi ce l’insegnano – non aveva solo brutture».

Quali fatti e azioni rendono l’epoca dei «Promessi Sposi» vicina in qualche modo ai nostri giorni? Possiamo dire che tante deficienze sono ancora presenti nel nostro super mondo in cui pandemie e guerre ancora imperversano e si ripetono le solite ingiustizie di sempre?

«In effetti proprio l’intransigenza di Manzoni ha fissato nel romanzo delle descrizioni che sembrano eterne. Impossibile non pensare ad alcune drammatiche vicende che abbiamo vissuto negli ultimi anni, quando rileggiamo le pagine grandiose sulla tragedia della peste, e anche sullo smarrimento umano di fronte a calamità che sembrano inarrestabili. Oggi abbiamo strumenti di difesa ben maggiori; ma i Promessi Sposi contengono un ammonimento doloroso sulla nostra fragilità, che non dovremmo dimenticare».

Manzoni, secondo lei, era cosciente del ritratto epocale che tracciava nel romanzo o agiva solo da romanziere ispirato?

«Coscientissimo. Il romanzo è frutto di un’ispirazione meravigliosa, ma ciò non toglie che Manzoni avesse un intento programmatico e pedagogico. Teniamo presente che negli anni Venti dell’Ottocento, quando concepì e scrisse il suo capolavoro, i patrioti come lui speravano in un’Italia unita e libera dal dominio straniero. Gli altri letterati del tempo ambientavano di preferenza i loro romanzi nel Medioevo, cioè prima della perdita della libertà italiana; invece Manzoni volle trattare proprio il periodo più buio della decadenza e della soggezione, perché era giustamente convinto che per costruire la cultura letteraria e politica della nuova Italia del Risorgimento bisognasse fare i conti con le epoche peggiori della nostra storia».

Come anticipano la Storia d’Italia le pagine dei «Promessi Sposi»? In che cosa individuano la storia del Paese?

«Pensiamo al tema cruciale del cattolicesimo della Controriforma. Molti intellettuali europei contemporanei di Manzoni, e liberali illuminati come lui, rimproveravano all’Italia e agli Italiani come una colpa irrimediabile il fatto che dal Cinquecento il Paese e il suo popolo si fossero piegati all’obbedienza alla Chiesa. Attenzione: Manzoni era italiano non meno che cattolico; pensava che il potere temporale del Papato dovesse cedere al diritto dell’unità d’Italia; sapeva peraltro che il cattolicesimo era, oltre che la sua personale fede, un carattere saliente dell’identità italiana. Nei Promessi Sposi ha avuto il coraggio di rappresentare la Chiesa cattolica nelle sue luci – il cardinale Federigo, padre Cristoforo – ma anche nelle sue ombre, perché oltre a don Abbondio c’è il Provinciale dei cappuccini che trama col Conte Zio rendendosi complice di un crimine».

Renzo, Lucia, Agnese, don Abbondio e tutti i deboli protagonisti, specchio d’un potere sempre più organizzato che ha in Don Rodrigo e in altri esponenti i maggiori rappresentanti dell’iniquità sociale?

«Come ho detto, ritengo i Promessi Sposi un romanzo di lotta; e la lotta per i diritti dei deboli contro gli abusi dei potenti è la sigla forse più tipica del libro. Manzoni è stato un denunciatore fervente dell’ingiustizia sociale. E non dimentichiamo che – più in esteso nella Storia della colonna infame, collegata al romanzo – ha attaccato anche l’ingiustizia delle istituzioni nel processo aberrante contro i pretesi untori. Aggiungo un altro aspetto importantissimo: ha denunciato anche l’ingiustizia di genere. Quella di don Rodrigo che pretenderebbe far suo il corpo di Lucia; ma anche quella del padre di Gertrude, che violenta la volontà della figlia imponendole il monastero. Manzoni tocca non a caso i vertici della sua arte nel ribellarsi contro il sacrificio di una giovane donna soggetta al sopruso di un maschio padrone».

Lei parla di messaggio ideologico al cuore del romanzo: come potremmo riassumerlo? Come un messaggio d’amore?

«Amore per l’Italia, e proprio perché chi la ama davvero esamina impietosamente le fasi e gli aspetti peggiori della sua storia per prepararne il riscatto. Anche la famosa risciacquatura dei panni in Arno, cioè la riscrittura fiorentineggiante dei Promessi Sposi per l’edizione definitiva del 1840 – quella che di solito leggiamo – è un atto d’amore: oltre che un po’ fiorentinizzata, la lingua del 1840 è molto più popolarizzata rispetto alla precedente stesura, enormemente di più rispetto ad altre opere letterarie del tempo. Manzoni ha fatto una rivoluzione culturale che è anche politica: ha scelto per primo due popolani come protagonisti del suo capolavoro, e lo ha scritto in un modo che anche gli uomini e le donne del popolo potessero, una volta alfabetizzati, leggerlo».

Visto nell’ottica di questa rilettura, chi era veramente Manzoni? Solo uno scrittore o anche un grande analista del tempo in cui viveva?

«Un analista geniale, che ha messo il suo sommo talento letterario al servizio del progetto più generoso: permettere a tutti gli uomini e le donne della nuova Italia di riflettere insieme con lui sulla nostra storia, la nostra identità, la nostra religione dominante; e anche, più in generale, sui temi fondamentali della vita: giustizia, ingiustizia, responsabilità individuale, libertà di coscienza. I Promessi Sposi contengono un messaggio alto, impegnativo e sempre valido e attuale».