La «signora con la lampada»

Nel libro di Bruno Cianci la storia di Florence Nightingale

Quella di Florence Nightingale è la storia di una donna straordinaria: riconosciuta come una delle figure più influenti del XIX secolo in Inghilterra e non solo, visionaria e animata da uno spirito indomito, ha trasformato radicalmente il lavoro infermieristico contribuendo a salvare le vite di intere generazioni di donne e di uomini. La ricostruisce Bruno Cianci, in Una lanterna nel buio. Florence Nightingale, la prima infermiera. Qui un estratto.

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Ogni giorno, intorno all’una, si procedeva alla sepoltura dei cadaveri. I cimiteri erano due e si trovavano entrambi nelle vicinanze della caserma-ospedale Selimiye; uno di questi, come si può evincere dalle litografie e dalle stampe dell’epoca, era ingentilito da alti cipressi le cui punte, come immancabilmente capita in quei lidi a questa famiglia di piante gimnosperme, si flettono sotto la forza gagliarda del poyraz, il vento dominante che spira da nord-nordest.

Visto il grave stato d’emergenza, Flo si vide costretta a richiedere delle nuove infermiere per fermare l’emorragia di vittime che la guerra sembrava mietere senza soluzione di continuità. I turni di lavoro e le responsabilità associate alla figura di sovrintendente prevedevano che Florence si occupasse di quasi tutto. Chiedeva pure di essere presente alle operazioni chirurgiche – amputazioni, ricomposizioni di fratture, suture di ferite ecc… –, il che qualche volta generava tensioni con lo staff medico se lei non era subito reperibile, perché a volte occorreva tempo per trovarla e l’attesa generava addizionali sofferenze nei pazienti. La pretesa di Flo di essere consultata, però, non era frutto di un mero capriccio e dava senz’altro dei frutti. Un aneddoto del 1887 lo dimostra. Quell’anno, infatti, un reduce della battaglia di Inkerman, tale Samuel Atkins, spedì una lettera a Florence con la quale ringraziava la donna per avergli salvato il braccio destro che un medico troppo superficiale gli avrebbe voluto amputare a Scutari.

Florence gestiva pure, tra molte difficoltà, le donazioni che giungevano copiose in Oriente. Spesso si trattava di cose utili, come indumenti, lenzuola, vettovaglie, stoviglie; a volte di oggetti privi di alcuna utilità pratica. In ogni caso si trattava di materiale che lei stessa doveva inventariare e custodire sottochiave in locali dedicati.

Tutto era una potenziale fonte di tensione con una parte del personale medico militare e con le stesse infermiere. Alcune, un po’ perché avevano bisogno di evadere dalla spaventosa realtà in cui erano costrette a operare (…) iniziarono (oppure ripresero) a bere scadenti bevande alcoliche facili a procurarsi nelle bettole gestite da greci e armeni nell’area di Scutari, con scontate ripercussioni sulla reputazione del contingente capitanato da Florence. In più occasioni la donna dovette ricorrere al pugno di ferro per mantenere la disciplina tra le sue sottoposte, come del resto alcune espulsioni testimoniano.

Un fatidico giorno di quell’incredibile inverno, il più duro e intenso della sua vita, Florence Nightingale prese un paio di forbici e iniziò a utilizzarle: stavolta, però, lo fece su se stessa. Non è dato sapere se lo abbia fatto di fronte a un frammento di specchio, alla luce di un pallido sole o al lume di una candela o di una lampada a olio; fatto sta che aveva preso una decisione che se da un lato aveva una valenza pratica, da un altro ne aveva una fortemente simbolica: il tempo dei capelli lunghi, “marchio di fabbrica” di una femminilità di cui non era mai andata orgogliosa e allegoria di una serie di convenzioni sociali che aveva sempre aborrito, finì per sempre.

A Scutari, Flo si cimentava anche in lunghissime ronde. «Le scene notturne ricordano un po’ Rembrandt» scrisse il buon Bracebridge a Parthe in una lettera. Per i toni cupi e l’uso sapiente della luce, difficilmente l’accostamento tra le atmosfere del maestro fiammingo del XVII secolo e quelle degli ospedali di Scutari di notte avrebbe potuto essere più azzeccato. Per gli occhi imploranti dei soldati agonizzanti, in preda a febbri, polmoniti o divorati da cancrene, vedere la fioca luce della lanterna di Flo nel cuore di una notte che per alcuni di loro sarebbe stata l’ultima divenne una sorta di visione mistica. Leggenda vuole che i feriti “baciassero”, in senso letterale, l’ombra di Florence Nightingale generata dallo stesso lume che reggeva, talvolta aiutata in questo dagli assistenti che l’accompagnavano nelle ronde.

Il valore simbolico di questa lanterna che si aggirava per le camerate e i corridoi bui come la pece, dispensando del cristiano conforto ai soldati, non sfuggì ai corrispondenti di guerra né, soprattutto, ai direttori dei giornali inglesi. Sabato 24 febbraio l’«Illustrated London News» pubblicò un articolo corredato da un’immagine – una delle molte che ingentilivano questo settimanale da mezzo scellino – che rappresentava Florence in visita ai feriti proprio durante una delle sue proverbiali ronde notturne. La riproduzione, realizzata con tecnica xilografica, si basava probabilmente su uno schizzo di Joseph A. Crowe, corrispondente dalla Crimea e critico d’arte, oltre che inviato da Vienna ai tempi della guerra d’indipendenza italiana.

Nell’illustrazione Flo reggeva una lampada a olio simile a quelle dell’età classica o, se si preferisce, a quella del genio delle Mille e una notte. Come sappiamo oggi, l’oggetto non rispecchiava in modo fedele la tipologia di lampada di Flo, che nella realtà usava una lanterna turca a soffietto di foggia cilindrica – dotata superiormente di una maniglia, di un gancio e di un foro che consentiva il passaggio dell’aria – all’interno della quale bruciava una candela. Quella raffigurata nell’«Illustrated London News» e sopra descritta era il frutto di un errore o forse di una licenza artistica finalizzata alla volontà di rendere efficace il messaggio che si desiderava trasmettere. Come ha scritto Mark Bostridge, «il ritratto di Florence Nightingale con la sua lampada, durante la sua veglia notturna nei reparti di Scutari, divenne rapidamente parte della sua mitologia personale e una potente metafora visiva dell’ideale di femminilità cristiana che era preposta a rappresentare». Da quel 24 febbraio 1855 Florence, assurta ora ad «angelo custode» dei feriti, divenne per tutti la «signora con la lampada». Sarebbe bello conoscere la reazione di Fanny e di Parthe quando incapparono in quest’illustrazione, ma non è dato sapere quale sia stata. Di sicuro, però, trassero in seguito un gran piacere dalla sopraggiunta popolarità di Flo.

Altrettanto certo è che la xilografia scatenò un’ondata di pubblica adulazione in Gran Bretagna come non si era mai visto. L’appetito per l’immagine di Florence Nightingale divenne insaziabile, tant’è che a rimorchio sorse una vera e propria industria di gadget che contemplava manifesti, statuette di ceramica di Staffordshire, lavori in pizzo e sacchetti di carta decorati che erano opera di artigiani che non avevano mai visto Florence dal vero e che, pertanto, la rappresentavano senza una particolare accuratezza. In un certo senso – ha detto Caroline Worthington, ex direttrice del Museo Florence Nightingale – Flo fu la prima «mega-celebrità» del tempo, la prima donna non appartenente alla famiglia reale a diventare oggetto di una straordinaria adorazione. Suo malgrado, verrebbe da aggiungere, perché Florence aborriva la notorietà in ogni forma.