Per sconfiggere la Rivoluzione napoletana i Borbonici mangiavano il nemico

Gianfranco Marrone legge Luca Addante

Quando l’esercito di Ferdinando IV entrò a Napoli nel 1799 le violenze culminarono in episodi di antropofagia. Dal tardo Medioevo al secolo d’oro olandese un saggio ripercorre decine di impressionanti massacri

Gianfranco Marrone | TuttoLibri | 11 settembre 2021

«Il bravo storico somiglia all’orco della fiaba. Egli sa che là dove fiuta carne umana, là è la sua preda».

Questa singolare analogia, che Marc Bloch lasciava cadere quasi per caso nella sua Apologia della storia, fa da epigrafe a un libro storiografico a sua volta singolare: per la materia che tratta, per come lo fa, per gli esiti cui conduce. Lo ha scritto Luca Addante, e per farlo ha avuto un coraggio, o se si vuole un fegato, non comuni. Per quale ragione? Sostanzialmente perché ciò che per Bloch era un azzardato termine di paragone in questo libro diviene serissimo oggetto di indagine. Di modo che lo storico non è più come l’orco che fiuta carne umana poiché diviene esso stesso qualcuno che, semmai, va alla ricerca di orchi: e non nell’immaginario fiabesco bensì nel concretissimo passato dell’Europa moderna. Là dove, a dispetto dei tabù e delle reticenze che l’hanno da sempre ammantata, l’antropofagia veniva praticata con una certa regolarità in paesi ed epoche anche molti lontani fra loro.

A lungo si è creduto che il cannibalismo fosse prerogativa dei popoli considerati selvaggi, di quegli «altri» che, anche per questo, occorreva «civilizzare», colonizzare, permeandoli dei nostri illuministici valori europei, di quelle magnifiche sorti e progressive che l’Occidente ha spesso usato come giustificazione dell’imperialismo. Essere selvaggio significava mangiare altri uomini, e praticare il cannibalismo significava essere selvaggio (ricordate il Venerdì di Defoe?). Niente di più facile da comprendere: niente di più fallace da sostenere. Non solo difatti esistono nel mondo molteplici forme di antropofagia (alimentare, politica, magica, rituale, terapeutica…) che, pur mescolandosi fra loro, mantengono comunque significati e funzioni differenti; inoltre, spiega Addante con estrema cautela filologica e inappuntabili prove, tutto ciò non è stato affatto una prerogativa esclusiva dei popoli «selvaggi», quelli studiati dagli antropologi (occidentali), ma anche della nostra civilissima Europa.

Per riprendere un noto titolo di Claude Lévi-Strauss, siamo tutti cannibali. Prendiamone atto, facciamocene una ragione, cercando magari di capire dove, come, quando e perché tutto questo ha avuto luogo. Oggetto specifico dello studio di Addante è la Repubblica napoletana del 1799, durante la quale, com’è poco noto, lo scontro fra le forze giacobine, sostenute dall’esercito napoleonico, e quelle controrivoluzionarie, a difesa del re Ferdinando IV di Borbone (il famigerato Re Lazzarone), fu particolarmente cruento, violento fino all’inverosimile, dove l’inverosimiglianza sta soprattutto, appunto, nei numerosi casi di cannibalismo che vi furono praticati. Napoli non era stata ancora conquistata dai Francesi e già le forze controrivoluzionarie s’erano organizzate. Da Palermo, dove s’era rifugiato già dall’anno precedente, Ferdinando ordina al cardinale Fabrizio Ruffo di Baranello di metter su un esercito per riprendere la capitale; Ruffo risale la Calabria e la Puglia alla volta di Napoli; la sua armata, nel tragitto, si ingrossa sempre di più di irregolari inferociti ai quali, in mancanza di meglio, viene promesso il libero saccheggio dei territori attraversati. L’esercito sanfedista, così battezzato dai suoi avversari, dilaga rapidamente. Ma la situazione sfugge di mano al cardinale, che non riesce a trattenere le brutali violenze, gli stupri continui, le distruzioni generalizzate, i maldestri furti dei suoi uomini. I quali, entrati a Napoli, fanno comunella coi cosiddetti lazzari, popolani sempre pronti a schierarsi in difesa dei loro secolari dominatori, e fanno man bassa di uomini e cose, senza sottilizzare fra giacobini, amici dei giacobini, presunti giacobini, semplici passanti, gente comune, tutti insieme indiscriminatamente colpevoli d’aver rovesciato l’amatissimo Re – lazzarone, si capisce, proprio per questo.

La Repubblica, proclamata il 21 gennaio del ‘99, cade così il 13 giugno dello stesso anno. Pochissimi mesi, cui precedono e seguono lunghi momenti di totale anarchia, dove la mancanza di qualsivoglia autorità, da un lato come dall’altro, lascia il popolo a briglia sciolta. Quel che colpisce è che non ci si limita a uccidere alla rinfusa migliaia e migliaia di persone, ma ci si accanisce sui loro corpi, con sevizie d’ogni sorta che Addante, appoggiandosi su numerose testimonianze d’epoca, descrive accuratamente. In questo contesto gli episodi di antropofagia sono numerosi: corpi lacerati, i pezzi distribuiti fra la folla, che ora li getta per la strada e ora, crudi o cotti, li ingoia con ferocia. Come gli orchi delle fiabe, ma questa volta nella vita vera, la carne umana viene mangiata: non certo per fame, sostiene l’autore, ma per puro spirito di vendetta. Una vendetta per certi versi politica, ritualizzata come un terribile mondo alla rovescia che, una volta rimesso a posto, verrà maldestramente rimosso dalle coscienze europee. Comprese quelle degli storici. Ma su cui adesso occorrerà riflettere a lungo: attendiamo altri libri del genere.

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