In ricordo di Angelo Del Boca

Un contributo di Nicola Labanca

Vent’anni fa, nel 2000, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, Angelo Del Boca scrisse: “Per più di cinquant’anni, prima come giornalista, poi come storico e docente, ho lavorato per fornire informazioni agli altri. È stato un lavoro particolarmente gradevole, perché secondato da una inesauribile curiosità e dal piace di tradurre in parole, in immagini, in verità a volte scomode, ciò che ho visto da ‘inviato speciale’ o scoperto da studioso nelle carte degli archivi. È stato soprattutto un grande bisogno di testimoniare, di denunciare menzogne e mistificazioni, che mi ha fatto scegliere quelle professioni. Penso che continuerò fino alla fine, fintantoché mi resterà un lettore e un contestatore, ad esercitare il mio diritto-dovere di informare”. Il passo è un po’ lungo, ma chiarisce perfettamente l’approccio, il taglio, il senso del suo lavoro.

Angelo Del Boca (Novara 1925-Torino 2021) è assai noto in Italia per le discussioni, diventate polemiche non per sua volontà, suscitate dalle sue pubblicazioni. Nel 1966 raccolse in volume una serie di corrispondenze giornalistiche che indagavano la guerra fascista d’Etiopia a trent’anni dalla sua fine. Pochi ne avevano parlato, ed era ancora troppo vicina per farne la storia. In quegli anni Del Boca dovette difendere quello che aveva trovato nei documenti dagli assalti rancorosi degli ambienti nostalgici di alcuni circoli combattentistici. A distanza di trent’anni, di fronte ad un’Italia che aveva dimenticato il passato coloniale e in particolare la vicenda fascista, nel 1996 Del Boca raccoglie gli studi già esistenti sul ricorso ai gas nelle colonie (fondamentali quelli, precedenti, di Giorgio Rochat). Di nuovo salì la polemica e se ne fece attore il giornalista Indro Montanelli, già volontario in Africa orientale, negando quel ricorso. Più tardi Montanelli avrebbe ammesso che i documenti trovati dagli storici erano indiscutibili: ma nel frattempo Del Boca era stato denunciato da una parte degli italiani come un denigratore antinazionale, mentre un’altra (e maggioritaria) parte lo ringraziava non solo per i contributi scientifici ma per quanto, nella coscienza civile nazionale, significava la presa in carico di un passato nazionale dalle pagine controverse. A seguito di queste discussioni pubbliche, che Del Boca sapeva ingaggiare e tenere vive con numerose interviste agli organi di stampa quotidiani, il suo lavoro di maggior successo editoriale fu certamente nel 2005 il suo Italiani, brava gente?, una carrellata nella storia nazionale in cui egli decostruiva il mito nazionale relativo agli italiani sempre buoni sempre e dovunque, un mito che non lo aveva mai convinto e che aveva imparato a demolire leggendo i documenti della storia coloniale italiana.

Ma Angelo Del Boca non cercava la polemica, era l’Italia che non voleva ricordare o sapere che ingaggiava, e perdeva, queste discussioni. D’altronde, era l’Italia che voleva sapere, che voleva ricordare e che anche voleva cambiare il proprio presente e futuro in base ad una più attenta conoscenza del passato che conosceva il suo nome, leggeva i suoi libri e lo ringraziava per le sue fatiche. Del Boca, come aveva scritto nel 2000, voleva solo informare, aveva piacere e sapeva informare.

Due altri elementi, però, vanno ricordati, soprattutto ora che Angelo Del Boca se ne è andato.

Il primo riguarda le sue conoscenze. Egli, parlando in pubblico o rispondendo alle domande dei giornalisti sulla guerra d’Etiopia o sul ricorso dei gas in Africa o della pericolosità del mito degli ‘Italiani brava gente’, sapeva di cosa si stava parlando. Da buon inviato nella storia, si era documentato. Alle spalle dei suoi scritti più puntuti, ci stavano i suoi studi storici sul colonialismo italiano. Fondamentali sono stati i suoi quattro volumi su Gli italiani in Africa Orientale, 1976-84, e i due volumi su Gli italiani in Libia, ivi, 1986-88: tutti editi da Laterza, così come con Laterza aveva fatto anche altre pubblicazioni prima e dopo di queste. E rispetto a quanto gli italiani sapevano, in quegli anni, del passato coloniale nazionale, questi sei volumi rappresentarono un eccezionale passo in avanti. È aspetto poco ricordato, ma a quella data – grazie ai volumi di Del Boca – anche nel contesto della memoria europea del colonialismo l’Italia recuperava un ritardo quasi quarantennale: prima di quei volumi, infatti, per la storia del colonialismo italiano, c’erano solo i volumi degli storici coloniali del regime fascista.

Il secondo elemento tocca un tema più ampio. Molti, in questi tristi giorni che seguono la sua scomparsa, certamente o ricorderà per le sue polemiche e le sue pubblicazioni storico-coloniali. È inevitabile, ed è giusto. Ma Angelo Del Boca fu molto più che questo. Era stato scrittore di racconti, giornalista, inviato speciale, redattore centrale di quotidiani importanti, presidente di un Istituto della rete degli Istituti di storia della Resistenza, direttore di riviste di storia. Insomma molto più che i soli gas in Etiopia.

Perdendo dopo una vita lunga e ricca protagonisti come Angelo Del Boca il panorama culturale, giornalistico, storico democratico italiano perde un altro di quei giovani che tre quarti di secolo fa, magari partiti da altre idee, avevano poi da partigiani contribuito a costruire l’Italia democratica. Giovani che erano rimasti tali anche crescendo, che lungo i suoi decenni avevano mantenuto la schiena dritta, ognuno nei propri campi: Del Boca, scrivendo e ricordandoci pagine del nostro passato nazionale che molti non conoscevano e che troppi volevano fossero dimenticate.

Nicola Labanca

07.07.2021