Brevetti sui vaccini: le (tante) ragioni di Biden

Massimo Florio sul Corriere della Sera

La pandemia ci costringe a riconsiderare la relazione fra ricerca pubblica e privata. Il tema che pone è se l’unica posizione negoziale dei governi nei prossimi venti anni sulle tecnologie che stanno alla base dei vaccini, create con il concorso stesso dei governi, sia solo quella di firmare uno dopo l’altro contratti di acquisto

Massimo Florio | Corriere della Sera | 18 maggio 2021

 

La mossa a sorpresa del Presidente Biden sul possibile sostegno alla sospensione dei brevetti sui vaccini Covid-19, ha avuto vasta eco. Molti, a cominciare dalle imprese farmaceutiche, si sono precipitati a dire che in questo modo si uccidono gli stimoli all’innovazione, non si aumentano la disponibilità di dosi, si crea confusione sul mercato azionario, si dovrebbero piuttosto sbloccare le esportazioni, si sta facendo una mossa geopolitica, ed altro ancora. In un libro in corso di pubblicazione per Laterza (“La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli”) sostengo che la pandemia ci costringe a riconsiderare la relazione fra ricerca pubblica e privata.

Converrebbe riflettere su cinque fatti.

1) In primo luogo Biden sa che alcuni brevetti relativi a vaccini a mRNA sono crucialmente collegati a due fondamentali scoperte sostenute dalla ricerca pubblica: il concetto di modifica del mRNA (presso l’ Università della Pennsylvania, da parte di Weissman e Karikò) e soprattutto la tecnologia di trattamento delle proteine virali «spike» da parte di Graham ed altri, presso National Institutes of Health, in particolare presso il NIAID, l’istituto diretto da Fauci ( si veda Prefusion Coronavirus Spike Proteins and Their Use, U.S. Pat: 10,960,070 issued 2021-03-30). NIH, in un comunicato ufficiale, ha dichiarato che «scienziati del NIAID hanno creato proteine spike stabilizzate per lo sviluppo di vaccini contro i coronavirus, incluso SARS COV-2… », di avere depositato brevetti a riguardo «per proteggere i diritti del governo su queste invenzioni» e di avere adottato un approccio di licenza non-esclusiva a favore di diverse società private, fra cui Moderna (NIH Statement to Axios). A quanto risulta, anche Biontech, ed altri hanno ottenuto questa licenza (le condizioni non sono note). Come spesso accade, le conoscenze e le innovazioni e la proprietà intellettuale sono concatenate.

2) Secondo il Bayh-Dole Act (la legge che regola la materia dei brevetti ottenuti con il concorso del governo federale USA), se il prezzo del farmaco ed altre condizioni non sono «ragionevoli», il governo potrebbe recuperare i propri diritti ed entrare direttamente in campo (clausola di «march-in») con proprie iniziative. Questa opzione, non menzionata da Biden, ma ben nota agli addetti ai lavori, sarebbe molto più radicale della temporanea sospensione dei brevetti. Discussioni a riguardo sono state rese note anche dal New York Times (21 Marzo 2021 e 7 Maggio 2021) e confermate da altre fonti autorevoli.

3) In terzo luogo, nel caso di Moderna, lo sviluppo a valle della ricerca è stato finanziato da un’altra agenzia federale (BARDA, Biomedical Advanced Research and Development Authority) con un miliardo di dollari, che ha largamente coperto i costi. Non a caso per Moderna ci si riferisce spesso come ad un vaccino co-sviluppato con NIH, cioè con il settore pubblico. Ma anche altri vaccini non sarebbero stati possibili senza l’intervento senza precedenti per scala e velocità delle infrastrutture pubbliche di ricerca e senza forse dieci miliardi di dollari che hanno sborsato.

4) Inoltre il de-risking a favore dei privati inoltre è stato decisivo, con acquisti pubblici, anche prima delle autorizzazioni, per miliardi di dollari (per Moderna e Pfizer con larghi margini di profitto, che si sono ampiamenti riflessi nel valore delle azioni).

5) Infine, i tempi di autorizzazione da parte della Food and Drug Administration (ed altre agenzie del farmaco) a causa dell’emergenza sono stati inferiori ad un anno. Poiché i brevetti durano venti anni, questo lascerebbe forse per 19 anni, quasi una intera generazione, il pianeta a dipendere dal monopolio legale su vaccini di alcune imprese private. La tecnologia legalmente protetta da questi brevetti (e da altri basati su approcci più convenzionali, ma pure sostenuti quasi integralmente da fondi pubblici, come nel caso del vettore virale di Oxford AstraZeneca) servirà con ogni probabilità anche per campagne future in presenza di varianti, il cui emergere è a sua volta favorito dalla lentezza estrema con cui le vaccinazioni procedono nei paesi in via di sviluppo, come denunciato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità. Si sta quindi parlando di qualcosa di fondamentale per molti anni.

Biden ha ogni ragione a sollevare il tema della proprietà intellettuale. Per quanto le soluzioni pratiche e legali nel breve periodo possano essere varie, la sua amministrazione, con A. Fauci, l’uomo chiave della strategia sui vaccini come consulente, ed Eric Lander di MIT (uno dei più celebri genetisti del mondo) a capo dell’Office of Science del governo federale, dispone di poderose infrastrutture pubbliche in campo biomedico come NIH e BARDA. Queste operano su una scala che neppure ci sogniamo in Europa (il bilancio annuale di NIH vale 40 volte quello del CERN per avere un metro). Biden quindi non ha certo bisogno di farsi spiegare dall‘amministratore delegato di Pfizer e dagli uffici stampa del settore che produrre un vaccino è complesso, sia per le materie prime, che per le macchine, che per le professionalità. Il tema che pone è se l’unica posizione negoziale dei governi nei prossimi venti anni sulle tecnologie che stanno alla base dei vaccini, create con il concorso stesso dei governi, sia solo quella di firmare uno dopo l’altro contratti di acquisto con un oligopolio, che per prezzi, tempi di consegna, controllo della catena del valore avrebbe un potere enorme, senza peraltro essere in grado di garantire la vaccinazione del pianeta intero. Più generale, dal mio punto di vista, viene sollevato il tema della privatizzazione della conoscenza che a monte nasce come bene pubblico e a valle si incorpora nei valori azionari (il tema del mio libro).

Biden ha spiazzato tutti perché il governo degli USA sa di avere delle leve strategiche e conta di usarle sia per sedersi al tavolo del WTO (dove formalmente si potrebbero sospendere i brevetti con una procedura molto complessa) che per negoziare in altre sedi da posizioni di forza. La lezioncina scolastica sul ruolo dei brevetti per stimolare l’innovazione, ripetuta da tanti, ce la possiamo risparmiare se quei brevetti si basano anche su altri brevetti che vengono dalla ricerca pubblica, se la ricerca privata è stata cofinanziata dai contribuenti, se il rischio di impresa è stato spostato sui governi, se le autorizzazioni dalle agenzie pubbliche sono state concesse a tempi record in emergenza, se non si riesce a battere sul tempo e su scala planetaria le mutazioni. Non è «business as usual» e le società farmaceutiche farebbero meglio ad assumere consulenti alle relazioni esterne che suggeriscano loro di dire: «Signor Presidente, parliamone».

 

Massimo Florio è professore di Scienza delle finanze presso l’Università degli Studi di Milano, dove si occupa di economia del benessere applicata, analisi costi-benefici, privatizzazioni e impresa pubblica, infrastrutture di ricerca, politiche regionali e industriali dell’Unione Europea. Tra i suoi libri, Investing in Science. Social Cost-Benefit Analysis of Research Infrastructures (MIT Press 2019). In autunno per i tipi di Laterza uscirà La privatizzazione della conoscenza. Tre proposte contro i nuovi oligopoli.