Tre tombe che sarebbe stato meglio non profanare

Allegra Iafrate racconta tre spaventosi ritrovamenti di tesori nascosti

Nani, fate, grifoni, statue, draghi: la tradizione occidentale è affollata di presenze inquietanti, entità sovrumane o animali fantastici posti a custodia dei più preziosi tesori.

I guardiani più immediati dei tesori sepolti, però, sono “per naturale prossimità” i morti che gli riposano accanto: nonostante la paura superstiziosa suscitata da sempre dai contesti funerari, la profanazione delle tombe è stata infatti una pratica sistematica per i cercatori di tesori.

“Le ricchezze nascoste, a cui queste creature sono intimamente legate, sono esse stesse entità fuori dall’ordinario, perché poste oltre a quella soglia invisibile che segna il confine fra il noto e l’ignoto, una linea che il cercatore deve superare, a rischio della vita, se vuole averle: scendere in una grotta, mettere la testa in una fonte, calarsi in una tomba sono tutte metamorfosi dello stesso viaggio pernicioso. A diretto contatto con i defunti, celati in una dimensione sotterranea e oscura, i tesori acquisiscono tratti sinistri, per la contiguità con il mondo dei morti e degli spiriti inferi. Appartati rispetto alla realtà dei vivi, sigillati in un altrove che è fisico ma in fondo anche temporale, sono quindi percepiti come speciali, dotate di una vitalità e di un potere che si riverbera, a volte in modo nefasto, su chi cerca di appropriarsene.”

Nel suo libro Cercar tesori, Allegra Iafrate racconta tre guardiani, tre morti con caratteristiche differenti ma ugualmente spaventose: la mummia, il vampiro e il fantasma.

 

1. La mummia

“Un caso famoso è quello dell’apertura della cripta della cattedrale di Aquisgrana in cui riposavano le spoglie di Carlo Magno, voluta dall’imperatore Ottone III nell’anno Mille. Stando a quel che raccontano le cronache, il sovrano viene trovato seduto su un trono di marmo, con la corona e le vesti imperiali, lo scettro in mano e il libro dei Vangeli aperto sulle ginocchia.

‘Non aveva perduto nessuna delle sue membra, a parte solo la punta del naso. L’imperatore Ottone lo rimpiazzò con dell’oro, prese un dente dalla bocca di Carlo Magno, murò l’ingresso alla camera e si ritirò’, si legge nella Cronaca di Novalesa basata sul resoconto di un testimone oculare, il conte Ottone di Lomello.

La scena, così come la ricordano le fonti alto-medievali, echeggia altre storie, venate però di mistero. Un primo parallelo si può istituire con il ritrovamento della regina Tadmura, con i suoi ori e i suoi gioielli, nella leggendaria città di bronzo. Un secondo, forse ancora più stringente, è attestato per la prima volta in un testo arabo che si data all’825 d.C. in contesto abbaside, il Kitab Sirr al-Haliqa, il Libro del segreto della Creazione. Il passo descrive il rinvenimento della cosiddetta tavola di smeraldo da parte di Balinus, cioè il mago Apollonio di Tiana (ma altre versioni indicano Alessandro Magno) nella tomba del re-sacerdote Ermete Trismegisto, in una cripta sotto la statua di Thot, dio egizio della sapienza con cui Ermete viene spesso associato e sovrapposto. Secondo la tradizione, tutti i principi e i segreti fondamentali delle operazioni alchemiche erano stati incisi su una tavola di smeraldo che, al momento della scoperta, riposava sulle ginocchia del vecchio Ermete che ancora teneva in mano lo stilo di diamante con cui li aveva scritti.

[…] In tutti questi esempi, quindi, la figura della mummia assisa in trono protegge qualcosa di prezioso. È la stessa posizione del defunto, peculiare di alcune sepolture di rango, che segnala il prestigio del ritrovamento.”

 

2. Il vampiro

“Un secondo esempio è narrato nei Gesta Danorum, opera del XII secolo di Sassone il Grammatico. Il cronista racconta la disavventura di una banda di guerrieri svedesi sbarcati sulle coste della Norvegia, i quali scoprono un tumulo funerario e decidono di profanarlo per estrarne i tesori. Si tratta della tomba del nobile principe Asvito, da poco sotterrato con il suo cavallo e il suo cane. Con lui, tuttavia, è stato seppellito vivo anche l’amico Asmundo, a causa di un giuramento di fedeltà che lo lega al defunto anche nella morte. Questo, però, gli svedesi non lo sanno. Forano la collina e scoprono l’ingresso a una caverna molto profonda. Con una corda calano allora uno degli uomini in un canestro: appena questo tocca il fondo, Asmundo è veloce a sostituirsi a lui e a risalire alla luce del sole, dove la sua apparizione viene presa per quella di un fantasma. Segue allora un dialogo estremamente potente, in cui Asmundo racconta agli astanti inorriditi come nelle notti precedenti lo spirito del morto si sia risvegliato e abbia divorato prima il cadavere del cane, poi il cavallo e infine abbia attaccato con ferocia anche lui, staccandogli di netto un orecchio e tentando di cibarsi del suo sangue.

L’episodio del draugr, il vampiro, riecheggia soprattutto nel folklore e trova paralleli anche in altre saghe del Nord. È un tema spesso legato alle violazioni delle sepolture, protette non solo dalle leggi degli uomini ma anche da una serie di credenze in eventi soprannaturali che riflettono le conseguenze tremende che avrebbero potuto scatenarsi all’atto sacrilego della profanazione.”

 

3. Il fantasma

“Un terzo caso interessante riguarda le presunte apparizioni del fantasma di Attila nei pressi del suo sepolcro. […] Dopo le esequie, i festeggiamenti e il banchetto rituale, il corpo di Attila sarebbe stato posto in una bara di ferro, protetta da altri due coperchi, uno d’argento e uno d’oro, e sepolta in una località segreta assieme a un ricco corredo. Su questa base documentaria fioriscono nei secoli innumerevoli leggende che rimangono nelle tradizioni dell’Ungheria, della Slovenia, del Friuli, dell’Istria ma anche nel territorio veronese e che tendono a localizzare la tomba in vari luoghi: l’area vicina al fiume Tibisco, fra la Mura e la Drava, o nei pressi di Tolmino. Nel folklore sloveno (ma non solo) la storia della tomba di Attila si lega poi a quella dell’apparizione del suo spettro che ogni notte torna a contare le monete del proprio tesoro, per essere certo che nessuno le abbia portate via. L’idea che le anime in pena aleggino nei pressi di un tesoro, manifestandosi spesso sotto forma di fiammelle, è un elemento che ritorna nelle credenze di moltissimi popoli e con innumerevoli varianti. Può essere l’antico proprietario che non lascia per avidità le proprie ricchezze nemmeno dopo morto: è la sua stessa avarizia a dannarlo.

Altre volte è lo spirito di qualcuno che al tesoro è legato in modo violento, come chi è stato ucciso perché non rivelasse il nascondiglio e che diventa, suo malgrado, custode del sito fino a che un eventuale scopritore non lo liberi dal vincolo, ottemperando ad alcune particolari condizioni, come il fatto che una ragazza perda la verginità sul luogo del misfatto in una certa notte.”

 

 

“Tre morti, dunque, con caratteristiche differenti: la mummia, il vampiro e il fantasma. Fra questi, il primo è quello che presenta il minore scarto dalla realtà materiale, la maggior approssimazione, se così si può dire, rispetto a quella che può essere l’apparenza effettiva di un cadavere che, per qualche ragione, non si sia decomposto: ne mantiene le sembianze ma non si muove. Il morto-vivente, invece, è un corpo che si anima quel tanto che basta per nutrirsi e mantenersi in un’esistenza larvale e parassitaria. Il fantasma, poi, è un’immagine disincarnata, un’ombra. Tre diversi avatar, insomma, che si distinguono sostanzialmente per le diverse gradazioni di corporeità che mettono in scena e che ribadiscono, con variazioni sul tema, il ruolo centrale del defunto nel ruolo di guardiano.”

 

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