“La privatizzazione della conoscenza”, di Massimo Florio: un commento di Ugo Pagano

Il libro è molto bello e innovativo. Propone tre infrastrutture di ricerca e produzione europee nel settore biomedico, in quello ambientale e nell’ambito della digitalizzazione e gestione dei dati.

Lo condivido integralmente e ne raccomando caldamente la lettura.

Non è un caso visto che abbiamo attivamente cooperato alla stesura delle due prime proposte del Forum DD che erano strettamente interconnesse.

La prima  partiva dai Trips e da una analisi del capitalismo dei monopoli intellettuali. Prevedeva che il WTO fosse riformato. Non doveva solo tutelare i diritti di proprietà intellettuale ma anche assicurare che vi fosse un minimo investimento in scienza aperta (free-riding).

La seconda sottolineava come l’esistenza di una scienza aperta fosse una condizione necessaria ma non sufficiente per la rottura di questi oligopoli. Questi potevano altrimenti sfruttare la scienza aperta brevettando i processi più a valle del processo innovativo.

Partendo da questa seconda proposta questo libro critica i modi tradizionali di liberalizzare i mercati e suggerisce che un modo diverso di raggiungere questo obiettivo consiste nella creazione delle infrastrutture considerate nel libro.

Io cercherò di illustrare l’importanza e l’urgenza di queste proposte facendo riferimento alla attuale pandemia e l’uso dei brevetti per i vaccini di cui in tanti abbiamo chiesto una sospensione.

Di solito i vaccini non sono molto attraenti per la cause farmaceutiche.

Comportano ingenti investimenti e incerti investimenti in ricerca e si propongono di estirpare il virus che è la fonte dei loro profitti. Salk e Sabin espressero stupore quando…….

Ma più vicino a noi l’influenza stagionale. Ogni anno otteniamo gratuitamente o a un prezzo modesto un vaccino che è stato velocemente prodotto contro un virus che si evolve  velocemente, ben più velocemente del covid 19. Come avviene questo miracolo?

la prevenzione e la produzione del vaccino per l’influenza coinvolgono, oltre alla Organizzazione Mondiale della Sanità numerose istituzioni pubbliche di diversi paesi che costituiscono il Sistema Globale di Sorveglianza e Risposta all’Influenza (il cosiddetto Influenza Network). Si tratta di una modalità organizzativa caratterizzata da una scienza aperta con informazioni e ricerche rese prontamente disponibili all’interno delle istituzioni che ne fanno parte.

L’Influenza Network fornisce due volte all’anno a società farmaceutiche accreditate presso la OMS i dati per produrre vaccino più idoneo a contrastare i ceppi influenzali previsti per la stagione seguente. Il sistema di scienza aperta si integra così con mercati aperti e concorrenziali e fa almeno di brevetti e di mercati monopolizzati.

L’Influenza Network è stata una delle prime iniziative della OMS fondato nel 1947. I primi anni di attività hanno coinvolto una generazione di scienziati che avevano ancora molto presente la terribile esperienza della influenza spagnola. Attualmente il Network include 140 Centri Nazionali per l’Influenza in 110 paesi che cooperano con dottori e ospedali locali per raccogliere dati sulla evoluzione della influenza. Questi dati sono inviati ai centri di ricerca situati a Memphis, Londra, Pechino, Tokyo e Melbourne che condividono tutte le informazioni anche con i Centri Nazionali. Rappresentanti dei Centri di Ricerca e dei Centri Nazionali si riuniscono poi, senza rappresentanti dei produttori, per concordare non solo il vaccino più idoneo contro le mutazioni della stagione ma anche i modi migliori per riprodurlo velocemente.

La veloce condivisione delle ricerche e la disponibilità delle conoscenze a tutti i produttori privati costituiscono un grande vantaggio dell’Influenza Network. Queste modalità di produzione della ricerca permettono  di mettere a confronto in modo rapido, senza segreti e senza interessi privati ipotesi alternative sulla evoluzione della influenza.

Questo meraviglioso sistema non prende in mano la gestione della ricerca del covid 19.

Come mai?

In primo luogo la rottura fra Stati Uniti, che ne escono fuori, indebolisce tutto il network.

In secondo luogo le società farmaceutiche non vedono più la prospettiva di guadagni incerti dovuti di incerta diffusione ma guadagni certi con acquisti garantiti anche in caso di vaccini poco efficienti e enormi sussidi alla ricerca e l’uso di precedenti scoperte fatte da istituzioni pubbliche.

Infine più oltre a tutto questo la possibilità di brevettare i vaccini e monopolizzare un mercato in cui per via della fretta di ottenere il prodotto gli acquirenti possono essere messi in fila in ordine di ricchezza.

Ma c’è un’altra cosa che è mancata al sistema che era ed è ancora (chissà fino a quando) vigente per l’influenza. Esso era in grado di mettere imprese accreditate ma spesso di modeste dimensioni in concorrenza fra di loro ma non aveva nessuna grande impresa pubblica che potesse produrre il vaccino disciplinando le altre.

Questa disciplina che una impresa pubblica può esercitare nei confronti dello oligopolio è proprio parte del Biomed che Florio propone all’Europa. Un sistema diverso ci avrebbe permesso di confrontare l’efficacia di diversi vaccini, di produrli a un prezzo inferiore e distribuirli velocemente e con priorità non di profitto (vaccinare tutto il personale medico in tutti i paesi prima di tutto).

È tardi per questa pandemia. Ma essa non è l’ultima e il libro di Florio mostra come quello biomedico non sia l’unico settore dove valgono queste considerazioni.

Ugo Pagano