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Editori Laterza

Aggiornamento
giugno 2008

Introduzione

1. Le ricerche bibliografiche

2. Information retrieval:
strumenti e strategie

3. Opac e biblioteca virtuale

4. Biblioteche e Opac
nel mondo

5. Biblioteche e Opac
in Italia

6. Biblioteche
e Opac europei

7. Le biblioteche
e gli Opac statunitensi

8. Opac specializzati,
archivi e musei

9. Oltre i cataloghi: i testi

10. Banche dati: archivi
e host computer in Internet

11. Metarisorse generali
e informazioni per bibliotecari

Principali acronimi utilizzati

Bibliografia

Parte terza – Oltre i cataloghi: testi e banche dati

10. Banche dati: archivi e host computer in Internet

[Introduzione]
Banche dati italiane
Host internazionali
Le banche dati della National library of medicine e Medline
Il gateway della National library of medicine
Altri archivi specializzati
Le banche dati dell'Unione Europea
L'informazione giuridica: come orientarsi
L'informazione giuridica: normativa
Informazioni e archivi sui brevetti
La letteratura grigia e le tesi di laurea
Gli «open archives» e l’editoria «open access»
Google Scholar, Scirus e la letteratura accademica


 

In ambiente accademico, soprattutto se di ambito scientifico-tecnologico, la tempestività nella diffusione dei risultati della ricerca è così essenziale da indurre un numero crescente di ricercatori a cercare di superare il collo di bottiglia rappresentato dalla peer review (alla quale si è già accennato trattando degli e-journals nel capitolo 9) imposta dai periodici più autorevoli, nonché dai lunghi tempi di attesa intrinseci a una pubblicazione strutturata in fascicoli cadenzati nel tempo, mettendo gratuitamente on line in appositi depositi denominati «open archives» i loro articoli appena ultimati, mentre sono ancora in attesa di approvazione da parte dei comitati scientifici delle riviste più accreditate nelle varie discipline.

Una ulteriore motivazione che spinge i ricercatori verso questo canale comunicativo alternativo di crescente rilevanza è la stessa che li conduce a fondare e a collaborare con gli «open access e-journals», ovvero il tentativo di contrastare la logica delle concentrazioni editoriali a livello mondiale, che ha messo la maggioranza dei periodici accademici mondiali nelle mani di una ristretta cerchia di soggetti, capaci di imporre prezzi di abbonamento sempre più alti.

Alla base di questo movimento verso il libero accesso alla documentazione scientifica c'è un vero e proprio paradosso. Il ricercatore universitario, stipendiato dal suo ateneo anche per fare ricerca, è fortemente motivato a pubblicare i risultati di tali ricerche nel modo più rapido, autorevole e pervasivo possibile, sia per motivazioni ideali di avanzamento della scienza, sia per più prosaiche questioni di carriera, commisurata appunto alle pubblicazioni stesse. Egli è quindi disposto a cedere gratuitamente i diritti economici sui propri testi agli editori commerciali (alcuni dei quali talvolta gli chiedono addirittura un contributo alle spese) che gli garantiscano le forme di pubblicazione col maggiore impatto, ovvero quelle più note, autorevoli, diffuse e citate. L'editore, che non paga gli autori, vende poi a caro prezzo le sue riviste, acquistate prevalentemente dalle biblioteche di quegli stessi atenei presso cui gli autori lavorano. Il risultato è che le università pagano due volte i risultati della ricerca (prima stipendiando gli autori e poi abbonandosi alle riviste), le biblioteche non possono permettersi i crescenti costi e riducono il numero degli abbonamenti, gli autori perdono il controllo sul proprio lavoro, e agli studenti arriva meno documentazione del dovuto.

Fra le possibili mosse per uscire da questo paradosso, accanto allo sviluppo da una parte di «university press» che mantengano l'intero circuito all'interno degli atenei e dall'altra di periodici «open access» e di altre forme di «editoria sostenibile» che non gravino eccessivamente sulle finanze dei loro lettori, c'è anche la creazione di archivi ad accesso gratuito sia a livello di immissione che di lettura, privi di peer review o di altri controlli di qualità che non siano formali o basati sulla autoregolazione da parte delle comunità scientifiche, dove i ricercatori possano da una parte depositare i propri contributi e dall'altra accedere in modo gratuito, semplificato e tempestivo allo stato dell'arte nel proprio ambito di studi. Si va così creando una particolare forma di letteratura grigia digitale, non nuova in termini assoluti, essendo l'erede degli archivi cartacei di «pre-print» che i fisici già da decenni gestivano, ma che per dimensioni, tasso di crescita e impatto sia sociale che economico, potrebbe presto assurgere a un ruolo centrale nel panorama documentario accademico.

Gli ostacoli più rilevanti che rallentano l'affermarsi di questa nuova forma di diffusione dell'informazione arrivano da parte di molti editori (che vedono incrinarsi il loro monopolio) e autori (che temono ritorsioni da parte degli editori o che comunque non si fidano abbastanza dei canali digitali, soprattutto dal punto di vista della valutazione ai fini della carriera) e dalla difficoltà, soprattutto da parte di lettori inesperti, a distinguere la cosiddetta «auto-archiviazione» provvisoria, ancora non validata da un comitato scientifico di esperti, da una vera e propria «auto-pubblicazione » che potrebbe avere la tentazione di proporsi come unica e definitiva, senza attendere il verdetto di alcun comitato scientifico.

Gli «open archives» possono essere distinti in «istituzionali» e «disciplinari ». I primi sono rivolti essenzialmente, sia per l'arricchimento dei depositi che per la loro fruizione, ai dipendenti di un ente o comunque a tutte le persone ad esso collegate (come per esempio gli studenti di una università) e talvolta vengono utilizzati anche per raccogliere e distribuire materiali non strettamente legati alla ricerca ma a carattere didattico o amministrativo. Gli altri sono dedicati a una sola disciplina o argomento e di solito si concentrano sui veri e propri materiali di ricerca, che vengono depositati da studiosi del settore appartenenti a qualsiasi ente, spesso su base internazionale. Tali archivi disciplinari possono seguire un modello centralizzato, con un unico server, o uno distribuito, collegando fra loro più server gestiti da diverse istituzioni. Per reperire i primi basta navigare sui siti delle varie università ed enti di ricerca, mentre i secondi sono spesso rintracciabili attraverso directories e altri repertori di risorse informative dedicati alle varie discipline.

Dal 1999 entrambe le tipologie aderiscono allo standard Oai (Open archives initiative) <http://www.openarchives.org>, che distingue fra i data provider, ovvero i veri e propri depositi di documenti, e i service provider, che usano i metadati dei data provider come base per la costruzione di servizi a valore aggiunto. I documenti gestiti possono invece essere distinti in pre-print, destinati a una successiva pubblicazione sottoposta a peer review, post-print, ovvero versioni aggiornate di testi già apparsi su periodici o atti di convegni, ed e-print, un termine più ampio, che include sia le versioni elettroniche dei due precedenti, sia, genericamente, ogni sorta di contributo anche multimediale finalizzato alla distribuzione esclusivamente attraverso «open archives» o similari strumenti digitali privi di peer-review.

Fra i servizi a valore aggiunto più utili permessi da Oai va ricordato il cosiddetto metadata harvesting, ovvero la raccolta periodica, da parte di un service provider, dei metadati dislocati su una serie di data provider selezionati in base a caratteristiche disciplinari, istituzionali o lin- guistiche, in modo da permettere una metaricerca complessiva unica relativa a tutti i documenti da essi conservati. Esistono anche harvester che, più in generale, cercano di coprire l'intera rete mondiale degli «open archives», come ad esempio Oaister <http://oaister.umdl.umich.edu/o/oaister>, gestito dall’Università del Michigan, che ad aprile 2005 permetteva di recuperare oltre 5 milioni di documenti ospitati da 458 istituzioni; da notare la rapidissima crescita, considerando che solo a luglio 2004 i documenti erano meno di 3 milioni e mezzo da 327 istituzioni.

Un tentativo, per ora incompleto, di censimento di tutti gli «open archives » esistenti è costituito dall'Institutional archives registry <http://archives.eprints.org>, navigabile anche per paese, che ad aprile 2005 ne includeva 416, 15 dei quali italiani. Il punto di riferimento principale per gli «open archives» italiani è però quello disponibile a <http://www.openarchives.it>del portale Pleiadi, dedicato alla letteratura scientifica elettronica italiana.

Per quanto riguarda invece l'editoria «open access», i punti di riferimento principali sono la Public library of science <http://www.publiclibraryofscience.org>, la Directory of open access journals <http://www.doaj.org>, già citata nel precedente capitolo, la lista degli Earth's largest free full-text science archives <http://highwire.stanford.edu/lists/largest.dtl>, curata dalla Highwire Press, e le Repository resources <http://www.arl.org/sparc/repos>, prevalentemente istituzionali, elencate da Sparc, la coalizione di università e biblioteche di ricerca finalizzata a promuovere l’editoria «sostenibile» in ambito accademico.