Indice Estratto

Edizione: 1998, IV rist. 2008
Pagine: 152
Collana: Economica Laterza [140]
ISBN carta: 9788842054948
ISBN digitale: 9788858121375
Argomenti: Storia contemporanea, Storia d'Italia

La morte della patria

La crisi dell'idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica

Ernesto Galli della Loggia

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La Resistenza non è riuscita a fondare una identità nazionale dell'Italia democratica. La crisi dell'idea di patria, già compromessa dall'esperienza fascista, è forse la più pesante eredità che la guerra perduta ha trasmesso alla Repubblica.

Estratto

Edizione: 2008
Pagine: 152
Collana: Economica Laterza
ISBN: 9788842054948

L'autore

Ernesto Galli della Loggia

Ernesto Galli della Loggia insegna all'Istituto Italiano di Scienze Umane, Firenze-Napoli. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Lettera agli amici americani (Milano 1986). È editorialista del «Corriere della Sera».

Scopri l'autore

¹ S. Satta, De profundis (1948), Adelphi, Milano 1980, p. 16.

² G. Salvemini, Lettere dall’America 1944-1946, a cura e con Prefazione di A. Merola, Laterza, Bari 1967, p. 62.

³ B. Croce, Quando l’Italia era tagliata in due. Estratto di un diario (luglio 1943 - giugno 1944), Laterza, Bari 1948, p. 44.

⁴ B. Pegolotti, Criminal Camp. Storia degli anni perduti, Prefazione di M. Silvestri, Mondadori, Milano 1987, p. 186.

⁵ Se si conviene su questo profondo, determinante intreccio che esiste nell’esperienza storica italiana tra Stato unitario e nazione nonché tra nazione e sentimento della patria, e se si ammette, come è giusto, che l’esistenza di virtù civiche sia da mettere in dipendenza con il sentimento della patria, con un sentimento di appartenenza ad una comunità politicamente strutturata, allora rimane difficile accettare la netta distinzione operata da Maurizio Viroli (Per amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia, Laterza, Roma-Bari 1995) tra patria e nazione, tra sentimento dell’una e sentimento dell’altra. Più che riflettere effettive realtà storiche la distinzione di Viroli sembra obbedire, in verità, al perbenismo ideologico di certa sinistra decisa a negare l’evidenza piuttosto che a spezzare le sbarre del pensiero «politicamente corretto».

⁶ R. De Felice, Mussolini. L’alleato (1940-45), vol. I, L’Italia in guerra, 1940-1943, tomo II, Crisi e agonia del regime, Einaudi, Torino 1990, pp. 770-771; sullo stesso tema, cfr. p. 828.

⁷ E. Aga Rossi, Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del settembre 1943, Il Mulino, Bologna 1993, p. 16. Il bel libro di Aga Rossi – da leggere con l’altro della stessa autrice, L’inganno reciproco. L’armistizio tra l’Italia e gli Angloamericani del settembre 1943, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Fonti, XVI, Roma 1993 – è non solo una ricostruzione assai acuta delle insufficienze politico-strategiche di ordine generale con cui il gruppo dirigente monarchico-badogliano affrontò la crisi del luglio-settembre ’43, ma anche un agghiacciante campionario di leggerezza e di piccola furbizia nazionali.

⁸ C. Alvaro, L’Italia rinunzia? (1945), Sellerio, Palermo 1986, pp. 34-36.

⁹ G. Tumiati, Prigionieri nel Texas, Mursia, Milano 1985, p. 108.

¹⁰ G. Chiesura, Sicilia 1943, Sellerio, Palermo 1993, p. 59.

¹¹ A. Santoni, Da Lissa alle Falkland. Storia e politica navale dell’età contemporanea, Mursia, Milano 1987, pp. 165-168. Tutte le pagine di Santoni dedicate alle operazioni della Marina sono piene di indicazioni e dati assai significativi sull’incapacità tecnica dei nostri comandi navali e sulla loro scarsa attitudine ad operare in modo audace ed incisivo.

¹² Scrivono G. Rochat e G. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Einaudi, Torino 1978, pp. 292-293: «L’armata italiana in Russia ebbe quasi il doppio di automezzi delle forze italiane in Libia, che avevano un numero di uomini più o meno equivalente; ricevette inoltre l’assoluta maggioranza dei pezzi d’artiglieria di grosso e medio calibro di nuova costruzione [...], un quarto dell’intera disponibilità nazionale di artiglieria antiaerea moderna [...] e quasi tutti i pezzi moderni da 75 disponibili [...]. Si tratta di quantitativi che possono sembrare modesti, anzi trascurabili in rapporto alle dimensioni dello scontro russo-tedesco, ma che sul teatro nord-africano avrebbero avuto ben altro peso: basti ricordare che alla decisiva battaglia di el-Alamein le truppe italiane disponevano di 371 pezzi di artiglieria (in gran parte residuati della prima guerra mondiale, concepiti per il traino animale e largamente inferiori a quelli inglesi contrapposti), circa 300 pezzi anticarro leggeri e nessuno pesante; e nella successiva ritirata non ebbero scampo perché gli automezzi inizialmente loro destinati erano stati inviati in Russia o trattenuti in Italia». In particolare sull’invio in Russia anziché in Africa del migliore materiale bellico italiano, cfr. L. Ceva, La condotta italiana della guerra. Cavallero e il Comando supremo, 1941-1942, Feltrinelli, Milano 1975, in specie le pp. 84-118.

¹³ Aga Rossi, Una nazione cit., p. 46. Memorabili le sue parole, scritte il 18 giugno 1943: «questo attacco conseguirebbe un effetto puramente locale e non darebbe al nemico un risultato immediato e di portata strategica tale da incidere profondamente sull’esito finale del conflitto».

¹⁴ R. De Felice, Prefazione a Aga Rossi, L’inganno cit., p. xiv.

¹⁵ Cit. in Aga Rossi, Una nazione cit., p. 110, nota.

¹⁶ Ivi, p. 98.

¹⁷ Ivi, pp. 125 e 132.

¹⁸ In totale, nelle ore successive alla proclamazione dell’armistizio le truppe tedesche, nella sola penisola, disarmarono 82 generali, 13.000 ufficiali e 402.000 soldati. Includendo nel calcolo tutti i fronti di guerra il bottino della Wehrmacht fu enorme: un milione circa di uomini disarmati, di cui 810.000 catturati (e 615.000 dei quali internati). Cadde inoltre nelle mani della Germania una quantità enorme di materiali e di armamenti, tra cui 16.000 veicoli, 900 veicoli corazzati e 5.000 cannoni. Cfr. G. Schreiber, Die italienischen Militärinternierten im deutschen Machtbereich 1943-1945, cit. in P.P. Battistelli, Il giudizio delle forze armate tedesche sulle capacità combattive della Repubblica Sociale Italiana (1943-1945), Tesi di Laurea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Perugia, anno accademico 1991-92, p. 110.

¹⁹ Insiste su ciò anche A. Lepre, in Storia della prima Repubblica. L’Italia dal 1942 al 1992, Il Mulino, Bologna 1993, p. 17: «Lo sfacelo dell’esercito fu uno dei segni più evidenti della disgregazione del vecchio Stato e anche della fine dell’idea di nazione: non esisteva più niente per cui lottare, l’unica via di scampo era nella salvezza personale, nel ritorno alla famiglia.

²⁰ B. Fenoglio, Primavera di bellezza, Einaudi, Torino 1991, p. 111.

²¹ G. Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, a cura di F. Ferrucci, Mondadori, Milano 1993, p. 129.

²² Naturalmente quella qui espressa è una particolare concezione della nazione (che ne lega la dignità storico-politica all’onore militare) alla quale altre se ne possono di certo affiancare o contrapporre. È tuttavia importante ricordare che tale concezione fu quella che animò molti italiani nell’aderire alla Resistenza. «Mai come in quel giorno – scrive Dante Livio Bianco, ricordando l’8 settembre – abbiamo capito cosa è e cosa vuol dire l’onore militare e la dignità nazionale: quelle parole, che spesso ci erano parse insopportabilmente convenzionali e guaste dalla retorica, ora ci svelavano la loro sostanza dolorosamente umana, attraverso la pena che ci stringeva il cuore e la vergogna che ci bruciava». Cfr. D.L. Bianco, Venti mesi di guerra partigiana, in Id., Guerra partigiana. Raccolta di scritti, a cura di G. Agosti e F. Venturi, Einaudi, Torino 1954, p. 10. È tuttavia significativo che anche nel discorso pubblico della sinistra, al termine «patrioti», per indicare i combattenti della Resistenza, sia rapidamente subentrato quello di «partigiani», che, come è facile capire, ha significato ben diverso in certo senso addirittura opposto all’altro.

²³ F. Calamandrei, La vita indivisibile. Diario 1941-1947, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 110-113.

²⁴ Per avere un’idea del processo di rimozione-manipolazione di cui è stato oggetto la storia dell’Italia contemporanea basterà ricordare che ancora alla metà degli anni Settanta, Giampiero Carocci, nella sua Storia d’Italia dall’Unità ad oggi (Feltrinelli, Milano 19902), neppure quasi menzionava la data dell’armistizio.

²⁵ Giustamente Francesco Traniello, nel suo La storiografia italiana del dopoguerra e il concetto di nazione, in G.E. Rusconi (a cura di), Nazione, etnia, cittadinanza in Italia e in Europa, La Scuola, Brescia 1993, p. 40, vede proprio in Chabod lo storico più rappresentativo della censura che la storiografia di ascendenza crociana – ma poi spostatasi su posizioni democratico-azioniste dopo il 1945 – avrebbe operato «dell’interpretazione crociana e in genere storicistica della storia del principio di nazionalità» allo scopo – condiviso da molte altre correnti storiografiche «antifasciste» – di contribuire ad una riscrittura della storia d’Italia, diversa da quella d’impronta liberale, e tale da legittimare nazionalmente i nuovi partiti di massa.

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