Capitolo IV.

La crescita delle città

All’inizio del capitolo si sono forniti alcuni dati relativi alla quota di popolazione che nei diversi momenti storici e nelle diverse zone viveva in centri con più di cinquemila abitanti: dobbiamo dunque considerare quota 5000 come il discrimine tra borgo rurale e città? Assolutamente no: da un lato molti centri che sono con tutta evidenza città hanno un numero molto inferiore di abitanti, dall’altro – anche ammettendo che il numero degli abitanti sia la variabile in base alla quale classificare un agglomerato come urbano o rurale – nel corso del periodo qui analizzato cresce il numero di centri medio-grandi: quindi lo stesso «limite inferiore» di ciò che consideriamo città dovrebbe essere modificato a seconda dei periodi. Ma il criterio quantitativo è insufficiente. Divisione del lavoro, presenza di un mercato e di rappresentanti del potere sono altri elementi che in genere contribuiscono a definire un’entità urbana. Di fatto però, come ben sanno gli storici urbani, è pressoché impossibile trovare dei criteri univoci e sempre validi che ci permettano di stabilire che cos’è una città: «una città è sempre una città», scrisse un grande studioso, Fernand Braudel130. Accontentiamoci allora anche noi di questa definizione tautologica e limitiamoci a constatare che nel corso dell’Età moderna aumenta il numero delle grandi città e si modifica la geografia della loro distribuzione.

Il numero di quelle con più di 10.000 abitanti infatti raddoppia (da 309 a 618). Quelle che ne hanno più di 100.000 quintuplicano131: verso il 1500, escludendo Costantinopoli (geografi­camente in Europa), che ha 250.000 abitanti, in tale classe di ­grandezza si possono annoverare solo Parigi (225.000), Napoli (125.000), Milano (100.000) e Venezia (100.000). Un secolo dopo ad esse vanno ad aggiungersi Londra, Siviglia, Lisbona, Paler­mo, Roma e Praga. E all’inizio del Settecento anche Amsterdam, Madrid, Mosca e Vienna rientrano in tale classe di grandezza. Nel 1750 Londra ha 675.000 abitanti, addirittura 950.000 cinquant’an­ni più tardi132. Nel corso dei tre secoli analizzati le grandi città, inizialmente presenti soprattutto nell’area mediterranea, risultano sempre più concentrate nel Nord-Europa133.

Le città non si limitano però a crescere: il loro aspetto cambia. In alcuni casi il mutamento è legato al fatto che vi si stabilisce una corte: la corte francese è a Parigi dal 1528; nel 1561 Filippo II elegge Madrid a capitale, anche se poi costruisce l’Escorial fuori della città; i Savoia si insediano a Torino dal 1563; il primo zar russo, Ivan IV (1533-1584), ricostruisce Mosca; gli Asburgo si stabiliscono a Vienna dopo la sconfitta dei turchi a Kahlenberg, nel 1683... Per ragioni tanto pratiche quanto simboliche le città che divengono capitali assumono un’importanza nuova: essere sedi del potere le trasforma. Lo sviluppo delle fortificazioni, l’ammodernamento dei porti, i progressi tecnologici, la crescita demografica, lo sviluppo della circolazione monetaria, la burocratizzazione, la «necessità di rappresentare, con le forme esteriori, i nuovi interessi pubblici e privati» implicano comunque interventi sul tessuto urbano e sul patrimonio architettonico anche in città che non sono capitali o in città che, invece, lo sono già da tempo: dal 1530 Firenze viene adattata alla sua funzione di capitale del Granducato mediceo; nella seconda metà del Cinquecento i viceré spagnoli ricostruiscono Palermo e Napoli; a Londra la corte si organizza a Westminster (la city verrà ricostruita dopo l’incendio del 1666); i re di Svezia e Danimarca ampliano le loro capitali a cavallo tra Cinque e Seicento; nei Paesi Bassi del «secolo d’oro» le città portuali si ingrandiscono134.

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