Capitolo IV.

Permesso, si può entrare?

Proviamo allora ad entrare in una di queste case di contadini ­benestanti. Entriamo, verso il 1625, in quella dei coniugi Jacob Größer e Agatha Deuggerin, nonni di quel Matheis che già abbiamo incontrato77, nel villaggio tedesco di Jungingen (Zollernalbkreis). Si tratta di una grande Fachwerkhaus – dai tipici motivi scuri e bianchi disegnati dalla contrapposizione della struttura lignea e dei materiali di riempimento – posta al centro del villaggio (Fig. 20). Al piano terra non ci sono camere di abitazione: l’ingresso principale, che all’esterno dà sul cortile, all’interno si immette su un ampio spazio di passaggio che taglia in due la casa e finisce con un’altra porta, che si apre sul vicino ruscello. Le stanze a sinistra del vano di passaggio, alle cui pareti sono appesi o appoggiati gli attrezzi agricoli, fungono da magazzini per le provviste, forse ospitano anche una lavanderia. A destra c’è invece la stalla, che ha una piccola finestra e una porta a due battenti che dà sul cortile. Sotto la scala che conduce al primo piano sembra di intravedere un ciocco per macellare le bestie, forse un pollaio e una gabbia con i maialini.

La presenza di spazi nettamente separati per uomini e ­animali è il segno di una cultura abitativa già piuttosto raffinata: all’epoca non era raro che i piccoli animali venissero tenuti nella Stube, cioè la stanza di abitazione principale78. E anche la stalla degli ­animali più grandi era spesso contigua alle camere di abitazione per sfruttare il calore delle bestie e per poterle accudire e mungere senza dover uscire di casa. In tal caso unica precauzione era in genere quella di costruire la stalla un po’ più in basso rispetto alla zona riservata agli uomini, in modo da evitare che gli scoli vi defluissero79. Soprattutto tra i più poveri si trovavano così forme di convivenza tra uomini e animali in molte zone, dall’Appennino bolognese a Courmayeur, dall’Italia meridionale all’Olanda80. In Bretagna fino a tempi recenti sono esistiti tipi primitivi di «longères» (longhouses) a focolare centrale in cui uomini e animali vivevano sotto lo stesso tetto, ammassati gli uni ad un’estremità, gli altri all’altra, separati solo da qualche mobile (armadi, cassoni ecc.) o da un tramezzo di legno fornito di aperture81 (cfr. anche Fig. 13). «Se ’l povero averà qualche bestiola et massimamente de’ buovi, sarà necessario di fargli una stalletta congiunta con la casa [...] nel pariete verso il fuogo vi sia una fenestrella acciò che li buovi, vedendo il fuogo la notte, il giorno non siano paurosi», aveva ­scritto Serlio nel Cinquecento a proposito della «casipola» del ­contadino povero «che con la sua famigliola si va vivendo delle sue fatiche»82 (Fig. 14). Ma la promiscuità tra uomini e bestie poteva essere anche maggiore. In un’opera settecentesca sulla Sardegna si può leggere che non di rado un’unica stanza serviva da cucina e stanza da letto per la famiglia, nonché da stalla per il bestiame, per cui negli angoli si ammucchiavano rifiuti animali e vegetali. Il missiona­rio John Lanne Buchanan, che visitò le Ebridi Occidentali negli anni Ottanta del XVIII secolo, narrò che i contadini (tenants) di Harris, nell’isola di Lewis, vivevano in semplici capanne insieme a mucche, capre, pecore, oche, anatre e cani. Si preoccupavano molto di tenere il più asciutte possibile le loro dimore raccogliendo in grandi bacili il piscio delle vacche per poterlo poi gettare via. Ma – secondo il missionario – solo una volta all’anno rimuovevano gli escrementi che vi si accumulavano e nessun argomento riuscì a convincerli dell’opportunità di raccoglierli ogni giorno83.

Nella casa dei nostri contadini tedeschi si respira, lo si può ben dire, tutt’altra atmosfera. La principale stanza di abitazione, la Stube, è al primo piano, ben isolata dalla stalla dove stanno gli animali. Saliamo dunque a visitarla. È una stanza luminosa: ha due serie di finestre (quasi certamente fornite di vetri) che danno sulla strada e che si incontrano ad angolo. Sul lato opposto c’è una stufa di maiolica verde, che si alimenta dalla cucina: la Stube è dunque un ambiente caldo ma completamente privo di fumo. Di fianco alla stufa ci sono delle panche e vicino ad essa viene tenuta la culla con il figlio più piccolo. Nella parete della stufa c’è una nicchia con un recipiente pieno d’acqua: in casa c’è quasi sempre, dunque, dell’acqua calda. L’arredamento è piuttosto semplice: nell’angolo opposto diametralmente alla stufa, vicino alle finestre, c’è un grosso tavolo. Per sedersi (ed eventualmente anche per dormire) si possono utilizzare le panche fissate al muro oppure il cassone in cui sono contenuti vestiti, stoffe e lenzuola. Su alcune mensole notiamo la Bibbia di famiglia, boccali e scodelle di terracotta, alle pareti sono appesi abiti e utensili, da qualche parte ci dev’essere anche una bugia o almeno un reggifiaccola. In un ango­lo c’è l’arcolaio di Agatha. Certo in questa stanza non ci si limita a mangiare, a star seduti e a ricevere gli ospiti, ma si lavora: si ­fila, si cuce, si rammenda, si aggiustano attrezzi. Ma nella Stube non si prepara il cibo: c’è dunque una certa specializzazione degli spazi.

Passiamo allora in cucina. Dunque: una madia, qualche pentola di ferro e di rame attaccate alle pareti, stoviglie di terracotta e di legno, dei cesti, un grosso contenitore per l’acqua, una zangola per fare il burro, una botticella con il sidro, un coltello e un ceppo per lavorare la carne, una catasta di legna da ardere. Ecco la bocca attraverso la quale si alimenta la stufa: probabilmente serve anche per cucinare. Senza dubbio la forcella (Ofengabel) serve per mettere pentole e scodelle tra le braci84. Che fumo! Ovvio, non c’è il camino! (comparirà solo nel Settecento). Grazie ad alcune aperture il fumo passa per il solaio e poi esce dal tetto di paglia a due spioventi. Ai nostri occhi per chi sta in cucina questo sistema è fastidioso. Offre però alcuni vantaggi: il fumo infatti protegge le travi del tetto dai tarli e dagli insetti: in modo analogo i Sámi (Lapponi) allevatori di renne affumicano le loro capanne estive fatte di torba per sterminare gli insetti85. Nella casa di Agatha e Jacob il fumo salendo asciuga poi le granaglie e la frutta immagazzinate, insieme a lino e canapa, nel solaio, al quale si accede per una stretta scala. Nel Giura invece per l’affumicamento ci sono stanze apposite86.

Nella casa dei nostri contadini le altre stanze, probabilmente tre, sono stanze da letto: non sono riscaldate, e d’inverno sono fredde. Nella stanza dei coniugi c’è anche un cassone con la biancheria che Agatha ha portato al momento del matrimonio e quella a cui continuamente lavora. La famiglia Größer è composta di cinque persone e due servi. In casa ci sono però solo tre letti. Ma non c’è da stupirsi: un letto con materasso, lenzuola e coperte vale quanto una mucca. Tra i giornalieri della Sologne, nel XVIII secolo il suo valore non è mai inferiore al 40% di tutti i beni che essi possiedono e spesso costituisce una percentuale analoga nei milieux più modesti del villaggio francese di Genainville (Vexin)87. Si è calcolato, d’altronde, che nella Toscana settecentesca una famiglia mezzadrile in grado di spendere 10 lire all’anno per prodotti tessili, pari al 12% del reddito complessivo, impiega da tre a sei anni per acquistare un letto completo «alla contadina». E se i mezzadri sono probabilmente, in media, in grado di sborsare tale cifra, molti braccianti senza dubbio non sono in condizione di farlo. Non stupisce pertanto che in Età moderna avere un letto tutto per sé non sia cosa comune. Così a Genainville il pastore Antoine Poutrel, per far dormire i suoi cinque figli, non ha che un letto in cattivo stato e un semplice telaio. Ma nelle famiglie più modeste del paese spesso il letto è uno solo per tutti (tra i manovali ce n’è in media 1,2 per famiglia; tra gli artigiani 1,4; tra i contadini 1,7). In Toscana quasi tutti i letti sono di grandi dimensioni. I «lettucci», cioè i letti individuali, sono pochi: segno che di solito dormono insieme non solo marito e moglie, ma anche altri membri della famiglia88. Ma ancora nell’Ottocento tra i mezzadri non è poi così ovvio avere un letto individuale89.

Torniamo però alla casa di Jacob Größer e Agatha Deuggerin. Essa è dunque spaziosa, permette di evitare la promiscuità tra uomini e animali, ha due stanze calde, la cucina e la Stube, di cui una, la Stube, completamente senza fumo, ha stanze da letto separate per genitori e figli. Certo la Stube è ancora un luogo relativamente promiscuo. La cucina poi è piena di fumo. Inoltre non ci sono servizi igienici di alcun genere e da questo punto di vista la situazione è destinata a peggiorare, dal momento che nel Settecento il bagno pubblico del villaggio verrà chiuso. Complessivamente, comunque, l’abitazione presenta molti comfort. Ma all’e­poca quanto erano diffuse case del genere?

Senza dubbio all’inizio del Seicento condizioni simili erano abbastanza rare, come si mostrerà meglio nelle prossime pagine. Ma la situazione era in movimento, anche se non sempre futuro significava progresso: per esempio nel villaggio di Jungingen, come in molte altre zone d’Europa, e in particolare in Germania, la Guerra dei trent’anni (1618-48) avrebbe portato miseria e distruzioni. Se alla vigilia del conflitto il paese contava circa settantacinque nuclei familiari, nel 1640 non c’erano che ventinove capifamiglia di sesso maschile e quattro vedove90. Ma anche la crescita demografica poteva portare problemi: soprattutto nel Settecento per una parte della popolazione essa si sarebbe tradotta in un aumento dell’affollamento e in una diminuzione dello spazio disponibile. La stessa casa abitata dalla famiglia di Jacob e Agatha sarebbe stata occupata da più di un nucleo familiare91. In Inghilterra, d’altronde, a causa delle enclosures molte case rurali vennero abbandonate e/o distrutte e una parte della popolazione espulsa dalle campagne finì per ammassarsi nelle peggiori tra le abitazioni cittadine92.

In generale, tuttavia, tra Cinque e Settecento ci fu una tendenza al miglioramento delle abitazioni, dell’arredamento e del comfort (e non mi riferisco solo all’ambiente rurale). Le case divennero mediamente più grandi, solide e salubri. E al loro interno l’arredamento si arricchì e gli oggetti si moltiplicarono. Queste ultime trasformazioni, secondo alcuni autori, piuttosto che con una brusca rivoluzione si realizzarono grazie ad una lunga crescita che in alcuni casi si verificò anche in contesti caratterizzati da una situazione di declino economico93. È il caso, ad esempio, della Venezia settecentesca94. Ma, come accennavo sopra, la crescita coinvolse in modo tutt’altro che uniforme le diverse zone e i diversi gruppi sociali.

Per quel che riguarda le abitazioni, sempre in Inghilterra, a partire dall’ultimo quarto del Cinquecento, soprattutto nelle zone centrali e meridionali, prese ad esempio avvio un’intensa attività di ricostruzione delle strutture abitative che raggiunse il suo picco massimo alla fine del XVII secolo, ma continuò anche in seguito95. Grazie ad essa i cottages di uno o due stanze divennero più rari. Nel villaggio di Wigston Magna, nel Leicestershire (Midlands) nel XV secolo le case descritte negli inventari (una fonte che esclude i ceti più poveri96) erano costruite con una struttura in legno, muri di terra e tetti di stoppie. Erano formate da una o due stanze, cioè una sala multiuso e una spence (un vano che fungeva da dispensa e cucina): solo in due case c’era una vera e propria cucina. La cucina si diffuse nel corso del Cinque e Seicento: allora le case risultavano in genere costituite da cucina (appunto), hall e parlour97, talvolta un’altra camera. Le case dei più ricchi erano più grandi, ma la tendenza all’aumento della superficie abitata era generale, e comportava una modificazione della planimetria delle abitazioni: le case rettangolari venivano sostituite da case a L, con la cucina disposta perpendicolarmente rispetto al resto della casa. All’inizio del Settecento la casa più diffusa aveva probabilmente tre vani. Nel corso del secolo, inoltre, si moltiplicarono le case di mattoni, sebbene continuassero ad esistere tradizionali case di legno, terra e stoppie98.

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