Capitolo IV.

Case di campagna

E le case? Com’erano le case dei contadini? Tacito, nella sua Germania, descrive delle abitazioni costituite da buche scavate nel terreno coperte da rami: tane più che case. Eppure abitazioni del genere rimasero in uso per secoli: ancora nell’Ottocento percorrendo la puszta ungherese o le pianure bulgare e romene si ­poteva scorgere all’orizzonte lo strano profilo di un tetto di paglia appog­giato sul terreno, munito di un camino in muratura e di un ingres­so che conduceva nella dimora situata nel sottosuolo15 (Fig. 12). Anche nei Paesi Bassi esistevano case semiaffondate nel terreno, mentre in Italia meridionale, così come nel Morvan, in Francia, ce n’erano di scavate nella roccia16.

Di fatto nelle campagne sino alla fine del Medioevo erano rimaste assai comuni case simili a quelle che si erano sviluppate in epoca preistorica: case con il pavimento di terra battuta, talvolta cosparso di sabbia e paglia, di forma rettangolare, spesso senza finestre, composte di uno o due vani, con un focolare centrale non di rado rappresentato da un semplice buco nel terreno, costruite di legno o di materiali vegetali mescolati a fango o argilla, con il tetto di paglia o di canne. Nel corso dell’Età moderna tali costruzioni vennero progressivamente abbandonate o adibite ad usi non abitativi (stalle, magazzini, depositi). Ma il processo fu lento e non uniforme: coinvolse prima gli strati più abbienti delle comunità rurali poste nelle zone più ricche, poi gli strati più bassi e le regioni più povere17.

Così, per aver un’idea delle differenze sociali, si può ricordare che nella Germania del Nord-Ovest gli Heuerlinge privi di terre proprie vivevano in capanne di fianco alla casa poderale degli Altbauern che davano loro terre in concessione in cambio di corvées lavorative18. Verso il 1770 nella fattoria di Altopascio c’erano dei lavoratori che vivevano in capanne di paglia e dormivano con il bestiame19. Nella Tierra de Campos della castigliana valle del Duero, nel Settecento, le case dei più ricchi avevano vari piani e stanze spaziose, divise da pareti in muratura o tendaggi, mentre quelle dei più poveri, di uno o due piani, con finestre piccole per non disperdere il calore, erano costruite con una struttura lignea riempita di tapial, una mistura di paglia e fango. Solo nell’Ottocento si sarebbe registrato un ampio movimento di diffusione di case in pietra o di mattoni20. In Francia (ma anche altrove21) fino a tempi recenti boscaioli e carbonai vivevano in capanne di materiali vegetali alquanto rudimentali, tanto da apparire spesso quasi dei selvaggi sia ai cittadini sia agli abitanti delle campagne22.

Significativamente l’architetto Sebastiano Serlio (1475-1554/55), nato in Italia ma vissuto a lungo in Francia, nel sesto libro del suo trattato De Architectura proponeva una notevole varietà di abitazioni di campagna, diversificate in base alla posizione sociale di coloro che avrebbero dovuto abitarle e a seconda del fatto che il costruttore intendesse seguire la moda italiana o la tradizione francese. Contadini poveri, mediocri e ricchi; artigiani; cittadini e mercanti dalla borsa più o meno piena; gentiluomini; principi illustri, illustrissimi e tiranni; addirittura re: a parte il «povero mendico», della cui «vil capanna» non riteneva necessario parlare, Serlio si preoccupava di tutti, a tutti proponeva un tipo di casa pensata e progettata a misura delle loro esigenze, dalla «casipola» del contadino povero, dotata di un’unica stanza di abitazione e di una stalla, fino al sontuoso palazzo regio di campagna23 (Fig. 14). I suoi ovviamente erano progetti. In un certo censo, tuttavia, l’articolazione del panorama architettonico delle campagne si rispecchiava nelle sue pagine.

A partire dal periodo rinascimentale, una delle tendenze che contribuirono al realizzarsi di tale articolazione e alla trasformazione dell’abitato nel mondo rurale fu la moda della «villa», che dall’Italia si diffuse in tutt’Europa24. Poiché in buona parte del­l’Europa occidentale la nobiltà nel corso del tardo Medioevo e dell’Età moderna trasferì la sua residenza principale in città, le ville di campagna, per quanto sontuose, erano in genere residenze secondarie. Non così però in Inghilterra, dove «la proprietà di una residenza in campagna era un requisito essenziale per far parte delle élites locali, dalle cui file proveniva la classe dirigente». L’importanza di queste residenze era tale che le famiglie erano definite sia con il loro cognome, sia con quello della casa, che «diventò da un lato l’incarnazione del patrimonio avito e il simbolo esteriore della dignità e dell’autorità del proprietario, e dall’altro lo strumento necessario per vivere la vita di un gentiluomo di campagna inglese»25.

Lo sviluppo delle ville di campagna inglesi data soprattutto dal XVI secolo, quando cioè il venir meno dello stato di pericolo nel mondo rurale permise di abbandonare le case-fortezza medievali. Nei secoli successivi centinaia di residenze vennero costruite ex novo o ammodernate, contribuendo a una profonda rielaborazione dello stesso paesaggio. Panorami «pittoreschi» vennero artificialmente costruiti per soddisfare il gusto dei proprietari delle residenze. L’imporsi della moda della villa isolata, costruita in cima ad una collina, dotata di un giardino e immersa in un vasto parco portò a ristrutturare, razionalizzare e occultare rimesse e altre strutture di servizio e ad abbattere le case dei contadini sorte al­l’ombra della dimora padronale, allontanando da essa l’azienda agricola. In alcuni casi interi villaggi vennero rasi al suolo e ricostruiti altrove per far spazio a un parco adatto alla caccia alla volpe e in grado di isolare debitamente la villa26.

In Età moderna, in definitiva, nelle campagne europee è presente un ventaglio di abitazioni che va da rifugi simili a tane a palazzi sontuosi. A questa ricchezza contribuisce, oltre che la costru­zione di ville da parte delle élites, il processo di ampliamento e ammodernamento delle case rustiche che, come si accennava e come si vedrà meglio nelle prossime pagine, caratterizzò varie parti d’Europa nell’epoca qui analizzata. Per quanto un po’ dappertutto ci fossero differenze tra le case dei contadini ricchi e quelle dei poveri, non mancavano aree meno coinvolte da tale processo. In questo senso in Polonia – ma è un esempio tra molti –, ancora nel secolo scorso la casa rurale più comune era di legno, appoggiata su una base di pietra, con il pavimento di argilla battuta e il tetto di paglia o di scandole: non aveva più di due vani. Uno, dotato di un focolare privo di camino, era il luogo in cui si cucinava e si svolgeva gran parte della vita domestica; l’altro, tenuto con cura e relativamente poco sfruttato, serviva soprattutto per dimostrare la condizione materiale della famiglia e ricevere ospiti, sebbene potesse essere usato anche per dormire. Non a caso, comunque, la stanza con il focolare, annerita dal fumo che non poteva defluire, era detta stanza nera (czarna izba), mentre l’altra era definita stanza bianca (biala izba)27. Anche in Russia le isbe dei servi della gleba, quando avevano il lusso di due stanze, erano definite l’una come stanza nera e l’altra come stanza bianca: ma nei gelidi inverni russi la stanza bianca poteva servire solo come magazzino. Come vano d’abitazione poteva essere impiegata solo d’estate28.

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