Capitolo IV.

Dalla casa alla tavola

Le lamentele della signora ci inducono a spostare l’attenzione sulle pratiche alimentari. Dopo aver analizzato le caratteristiche e le trasformazioni delle dimore in cui in Età moderna vissero i nostri antenati, dalle abitazioni affondate nel terreno ai lussuosi palazzi dell’aristocrazia, e dopo aver verificato come essi si scaldassero, si approvvigionassero d’acqua, illuminassero le loro dimore, come le arricchissero di oggetti, le arredassero e ne organizzassero gli spazi interni è giunta l’ora di rivolgere lo sguardo ad altri temi, anche se sulle case molto ancora si potrebbe dire.

Attaccati alla catena del camino nelle case dei poveri qualcuno avrà intravisto pentoloni in ebollizione. Gli architetti nelle loro discussioni ci hanno ricordato gli odori delle cucine dei ricchi. Abbiamo visto sgabelli e panche diminuire a tutto vantaggio delle sedie. Abbiamo constatato il moltiplicarsi dei piatti, del vasellame, delle posate. E abbiamo evocato la genesi della stanza da pranzo nelle case dei ceti medio-alti. Ma che cosa bolliva in quei pentoloni? Che cosa implicava il fatto che sempre più spesso si mangiasse seduti non su una panca (o per terra), ma su sedie individuali; non in una stanza dove era presente anche un letto ma in uno spazio riservato alle pratiche dell’alimentazione? Quali nuovi confini attraversavano la commensalità? Per rispondere proviamo a farci invitare a pranzo da qualche famiglia del passato, per osservare cosa e come si mangiava, e quali gerarchie si disegnavano attraverso il cibo, i modi di prepararlo, di servirlo, di mangiarlo.

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