Capitolo IV.

«Privacy»

Camere per la «famiglia» e guardaroba. Se crediamo alle motivazioni di Roger Pratt, il bisogno di privacy si sviluppava anzitutto come bisogno di privacy rispetto ai servi. È possibile che Pratt avesse ragione. Senza dubbio in Età moderna non si ignorava il problema di trovare un giusto equilibrio tra la comodità di essere serviti, la volontà di rifuggire i rumori e gli odori di stalle e cucine e talvolta anche il fastidio di aver troppa gente tra i piedi. Come si è visto, già nei palazzi rinascimentali si erano andate definendo aree di servizio e stanze destinate ai domestici. «Camere per la famiglia», come diceva Serlio315. Nei secoli successivi tutte le grandi residenze ne furono dotate. Ma ciò non significa che tra servi e padroni vigesse una reale segregazione spaziale.

In un grande palazzo, infatti, c’era una vasta gamma di domestici: maestri di casa, contabili, segretari, cappellani, istitutori, camerieri, braccieri, lacchè, cuochi, credenzieri, cantinieri, sguatteri, scudieri, stallieri, mozzi di stalla, palafrenieri, e poi donne di governo, cameriere, donzelle, balie e via discorrendo316. Per quan­to dunque esistessero spazi specifici per alcune delle attività svolte dai domestici, come le cucine o le scuderie, la pluralità delle loro funzioni e incombenze da un lato, e, dall’altro, il modo in cui le stanze erano distribuite facevano sì che essi fossero più o meno onnipresenti. Le separazioni e le gerarchie tra servi e padroni erano allora espresse attraverso il cibo o i vestiti oltre che, o forse più che, attraverso la segregazione spaziale.

Del fatto che i servi brulicassero in ogni angolo dei palazzi ci possiamo render conto in modo molto chiaro andando a verificare dove si prevedeva che dormissero. Negli «appartamenti superiori, o sotto tetto [...] si stabiliranno le salvarobbe, o guardarobbe, [...] l’armerie, l’habitazioni per li domestici, e famigliari, e altre particolarità da adattarsi a’ servitj», scriveva Giuseppe Leoncini nel 1679 nelle sue Instruttioni architettoniche pratiche. Ma non tutti i servi dovevano a suo avviso essere relegati nel sottotetto, durante la notte. «In quel luogo particolarmente, dove si farà la credenza, sia luogo da dormire per quello ch’haverà tal carica di custodir li medesimi argenti», aggiungeva. Vicino alle stalle ci doveva poi essere «da dormire per li garzoni, che governano questi animali»317. D’Aviler, qualche anno dopo, colloca le stanze dei domestici nella bassa-corte (basse-cour318), sopra le rimesse delle carrozze. Ma anch’egli sostiene che il credenziere deve dormire presso il luogo ove si tengono il vasellame d’argento e altri oggetti di un certo valore, e che i palafrenieri devono essere alloggiati vicino alla scuderia. Prevede inoltre una stanzetta vicino all’ingresso per il portiere. Uno dei guardaroba attigui alla stanza da letto dei padroni è infine destinato a farci dormire valletti e cameriere, in modo che siano facilmente raggiungibili in caso di bisogno319. Che il guardaroba o uno dei guardaroba serva ad ospitare, la notte, «quei domestici che si vogliono far dormire presso di sé»320, cioè «quelle persone di famiglia, le quali debbano essere vicino alli padroni, acciocché volendole si possano trovare pronte»321, nel Sei-Settecento in Italia e in Francia lo ripetono più o meno tutti: dal Dictionnaire de Furetière al Dictionnaire de Trévoux322, da D’Aviler a Briseaux, da Milizia a Gambardella323.

Domestici e padroni non stavano dunque gomito a gomito, solo in campagna o nelle abitazioni dei ceti medi e medio-bassi, dove una servetta poteva dormire in un sottoscala, in cucina, insieme alla padrona324 o addirittura con più di un membro della famiglia padronale, come quella Marie Alexandre che nel 1725 raccontò alla polizia di aver sempre dormito nello stesso letto con la padrona e il figlio maggiore di quest’ultima325. Di fatto anche nelle dimore dei più ricchi, dove esistevano stanze e camerate per i servi, non per mancanza di spazio ma per rispondere ai più vari bisogni del padrone o della padrona almeno un domestico anche di notte stava nelle sue immediate vicinanze. Talora ne condivideva addirittura il letto. Verso la fine del Quattrocento Anna Sforza dormiva non con un orsacchiotto ma con una sua schiavetta nera326 e ancora due secoli dopo Madame de Liancourt si sentiva in dovere di spiegare a sua nipote che non doveva condividere il letto con le sue cameriere perché ciò era contrario al rispetto che esse le dovevano e alle norme di pulizia e decenza. Consigliava però alla fanciulla di tenere una o due donne nella sua camera da letto327: nello stesso periodo Luigi XIV aveva un cameriere che passava la notte nella sua stessa stanza328.

Erezioni mattutine. Anche quando non dormivano con loro, i domestici incaricati della cura personale dei padroni condividevano con quest’ultimi gli spazi quotidiani e stavano al loro fianco mentre compivano pratiche che noi oggi riteniamo private. Una vicenda che coinvolse il già citato Francesco Albergati Capacelli ci permette di approfondire l’argomento. Nel 1751, allorché la sua prima moglie chiese l’annullamento del matrimonio sostenendo che egli era impotente, i suoi camerieri poterono testimoniare sulla sua virilità dal momento che era loro talvolta capitato, quando lo vestivano, di vederne le erezioni mattutine. «Attesto», sostenne uno di loro, che «avendo servito in qualità di servitore la Eccellenza del Signor Marchese Francesco Albergati per lo spazio d’anni undicci incirca, posso dire ed esporre d’aver per trè, o quattro volte veduto il detto Signor Marchese in occasione di levarsi dal letto con perfetta erezione del membro virile». «E questo», aggiunge, «l’ho veduto et osservato con tutta sicurezza e senza ingannarmi, perché sono stato in circostanza di osservarlo, e vederlo commodamente per cagione del mio servizio». Anche un altro servitore dichiara che, mentre metteva la camicia al marchese, aveva avuto occasione di osservarlo «con erezione soda, e perfetta». Stando alle testimonianze dei domestici, Albergati e altri cavalieri una sera non si peritano neppure di far «bordello» e di inseguirsi più o meno nudi alla presenza dei loro servi, tanto che essi fanno commenti sugli attributi del marchese: uno nota che egli sta «molto bene a capitale», un altro che ha un «buon negozio»329.

Dobbiamo dunque concludere che il marchese è completamente privo di senso del pudore e che sono tali anche i suoi pari? In effetti si sa che Monsieur de Vendôme ricevette il vescovo di Parma seduto sulla comoda, e che Madame du Châtelet un giorno fece tranquillamente il bagno alla presenza del valletto Longchamp, al quale chiese di versare dell’acqua calda nella tinozza allargando addirittura le gambe per non scottarsi330. Ma non bisogna trarre da tali casi e da altri analoghi conclusioni affrettate.

Senza dubbio in Età moderna il senso del pudore era diverso da quello attuale. In particolare trattando con persone di rango inferiore ci si poteva permettere una certa spudoratezza, che in alcuni casi serviva anzi proprio a marcare le distanze, a sottolineare la propria superiorità331. In questo senso Luigi XIV aveva trasformato un compito servile come mettergli la camicia la mattina in un onore per chi lo compiva. Regolato fin nei minimi particolari, il rito mattutino del risveglio del re era una teatrale rappresentazione del suo potere. Coloro che lo aiutavano a vestirsi erano infatti rappresentanti dell’aristocrazia per i quali accedere al­l’«intimità» del sovrano costituiva un vero e proprio privilegio332. Ma dire che il senso del pudore era organizzato in modo diverso rispetto ad oggi non significa affermare che fosse assente333.

Ne è un indizio lo stesso comportamento del marchese Albergati descritto dal primo domestico citato. Una mattina, racconta infatti quest’ultimo, l’erezione del marchese durò anche mentre «io le metteva le calzette». Il marchese era «senza braghini, ed osservai benissimo che [...] cercava con la mano di reprimere tal errezione. Per la qual cosa mi ricordo che le dissi queste precise parole ‘Signor Marchese questa mattina v’è buon aria’ [sic]. Ed esso mi rispose: ‘Anzi è troppo buona’»334. Nell’economia affettiva di Albergati la comodità o l’abitudine di farsi aiutare dai servi aveva sì la meglio sul senso del pudore, ma fino ad un certo punto...

Barriere. Lentamente, tuttavia, l’esigenza di tenere i domestici sempre presso di sé per essere serviti rapidamente e in ogni circostanza (dunque anche per farsi aiutare a compiere attività che ai nostri occhi sono molto personali, e vanno pertanto svolte in solitudine o al massimo in presenza di persone molto intime) cedette il passo ad un crescente bisogno di separazione e di privacy.

In Inghilterra, secondo un autore, tale crescente bisogno aveva comportato quattro tipi di innovazioni: il superamento della tradizionale promiscuità caratteristica delle halls di vecchio stampo grazie alla creazione di stanze da pranzo separate per i padroni e per i servi; la crescente tendenza a relegare la servitù nel seminterrato o in un’ala separata collegata al corpo centrale della residenza con un passaggio che poteva essere chiuso; l’introduzione del corridoio e delle scale di servizio; il perfezionamento, nella seconda metà del XVIII secolo, del sistema di funi e campanelli che permetteva di chiamare rapidamente i domestici quando si aveva bisogno di loro senza essere costretti, per averli a disposizione, a tenerli costantemente presso di sé: all’inizio dell’Ottocento il sistema era perfezionato al punto che nella camera dei domestici c’erano tanti campanelli quante erano le stanze della residenza. Ciascuno era contrassegnato da un cartellino che indicava la stanza da cui veniva fatto suonare, in modo che i servi potessero recarvisi rapidamente e senza incertezze335. Ormai, insomma, tutti i domestici potevano dormire nelle stanze della servitù. Non era più necessario che alcuni di essi si sistemassero su una brandina nel guardaroba per esser pronti a portare un bicchier d’acqua al padrone nel cuore della notte. Chi aveva sete li poteva facilmente chiamare senza doverne sopportare la presenza.

Non c’è dubbio che anche al di là della Manica nel corso dell’Età moderna si cercano soluzioni per ridurre il disturbo apportato dai servi ai padroni, seppur forse senza essere ossessionati dal problema come in Inghilterra. D’Aviler sostiene che i guardaroba debbono avere disimpegni e uscite in modo che «i domestici non siano continuamente obbligati a passare per l’appartamento dei padroni» e che gli spazi comuni per i servi non vanno collocati nella corte principale336. Alessandro Galilei scrive che «la cucina deve esser posta più lontana che sia possibile dagli appartamenti per causa del continuo rumore che quelli che stanno ad operare fanno». E aggiunge: per risolvere il problema «l’Italiani hanno cominciato a farle sotto terra e con il comodo delle scale segrete comodamente vanno a tutti gli appartamenti»337. Briseux per evitarne gli odori e i rumori suggerisce invece di costruirle in un edificio separato. Discute poi dei vantaggi e degli svantaggi dei corridoi, che a suo avviso non sono chissà quale soluzione, dal momento che occupano molto posto e non isolano a sufficienza i padroni dal rumore che da essi proviene. Affinché i padroni non siano disturbati «né nel sonno, né nelle loro occupazioni» è meglio, a suo avviso, moltiplicare le scale di servizio338. È importante che gli appartamenti personali dei padroni «sien lungi dai cortili, e dalla vista de’ domestici per evitare il rumore, che indispensabilmente vi fanno», sostiene Francesco Milizia. Bisogna poi che le varie stanze e camerini che compongono un appartamento «sieno liberi per mezzo dei passetti di maniera, che i domestici possano fare le loro faccende senza intorbidar la tranquillità dei padroni»339.

Insomma, i domestici rappresentano un problema, e gli architetti si scervellano sui modi per risolverlo. E man mano che si avanza nell’Età moderna il problema, notano vari autori, sembra ingigantirsi e assumere una gravità che in precedenza non aveva. In questo senso il confronto tra progetti edilizi risalenti a diversi periodi può risultare illuminante. In Francia, ad esempio, quelli di Charles-Antoine Jombert, pubblicati nel 1764, prevedono tradizionalmente per i domestici ali laterali o quartieri indipendenti ma testimoniano del bisogno di averli vicini. In quelli di Johann Karl Krafft e Pierre Nicolas Ransonette, che risalgono alla fine del Settecento, la distanza fisica tra servi e padroni risulta ulteriormente accentuata e gli spazi sono organizzati in modo tale che le attività dei domestici scompaiano completamente dalla vista: gli sguatteri sono relegati nei sotterranei, servitori e valletti nei piani alti340.

Addio «famiglia». In pratica sono piuttosto pochi coloro che sono direttamente coinvolti da queste trasformazioni: le famiglie meno agiate non hanno certo la possibilità di disporre di spazi separati per i servi. E molte ovviamente non hanno neppure dei servi di cui preoccuparsi. Le trasformazioni appena analizzate esprimono tuttavia un cambiamento della sensibilità: chi se lo può permettere allontana tutti i domestici e le loro attività dalla vita più intima della famiglia coniugale. Da sempre guardati con un certo sospetto – già nel Medioevo erano definiti nemici domestici (domestici hostes) – i servi vengono ora sempre più spesso considerati come utili ma scomodi intrusi341.

I domestici stessi, d’altra parte, sembrano più desiderosi di avere una propria sfera privata e maggiore autonomia. Non a caso, almeno a partire dal tardo Seicento tra quelli di sesso maschile paiono aumentare coloro che non abitano stabilmente insieme ai padroni: alcuni affittano una camera in cui ritirarsi di tanto in tanto, altri vivono con le loro famiglie e si recano a lavorare durante la giornata, altri ancora hanno dal padrone l’autorizzazione a passare la notte con la loro moglie alcune volte alla settimana (le serve continueranno invece ancora a lungo a convivere con i datori di lavoro)342.

Queste trasformazioni ebbero forse una traduzione linguistica: dopo essere sopravvissuto per secoli, il significato etimologico del termine «famiglia» – cioè «gruppo dei servi» dipendenti da un unico padrone – scomparve dalle lingue europee che l’avevano ereditato dal latino. In francese cadde in disuso, pare, nel Settecento; in inglese le ultime attestazioni sembrerebbero risalire alla fine del XVIII secolo; in italiano se n’è conservata qualche traccia fin negli anni Trenta del Novecento, come accennato, ma già nel secolo scorso esso appariva inattuale343.

Si allontanava definitivamente il tempo in cui si sarebbe potuto obiettare, ad una signora che non voleva mangiare allo stesso tavolo con la sua serva: perché non vuoi condividere con lei il tavolo, visto che condividi il letto?344

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