Capitolo IV.

Pentole, stoviglie e porcellane

Ma tavoli e sedie non evocano solo serate passate a chiacchierare, a giocare, a leggere un libro o ad ascoltarne la lettura, talora a suonare. Rimandano anche ad altre forme di socialità, tra cui quella conviviale. Proprio vasellame, stoviglie, tovaglie, posate sono tra i beni che in Età moderna vanno moltiplicandosi e trasformandosi. Nuovi materiali sono usati per costruire gli oggetti di sempre o oggetti nuovi. Grès, vetro, maiolica, terraglie sostituiscono sia il legno sia lo stagno e, in parte, il rame. In alcuni casi l’arricchirsi degli interni domestici è così dovuto alla moltiplicazione di oggetti raffinati e all’introduzione di beni legati ai nuovi consumi: preziosi servizi da tè o da caffè, cioccolatiere e zuccheriere d’argento222. In altri casi è invece legato alla diffusione di oggetti a buon mercato, che tutti o quasi possono acquistare.

È significativo, da questo punto di vista, che tra il 1689-1715 e il 1775-1790 il valore delle batterie da cucina possedute dai salariati e dai domestici parigini arrivi quasi a dimezzarsi in termini assoluti e abbia un calo ancor più marcato se lo si valuta come percentuale dei patrimoni complessivi: passa dal 20 al 7% di quelli dei salariati, dal 5 al 2% di quelli dei domestici. La trasformazione è infatti in buona parte dovuta alla comparsa di materie e prodotti nuovi. Più economici, essi affiancano e rimpiazzano quelli tradizionali, in particolare quelli metallici, che risultano pertanto in calo: se all’inizio del secolo i notai elencano in media dieci utensili di metallo per famiglia, alla fine del Settecento ne citano in genere solo sei223.

Nel Sei-Settecento cominciano addirittura a diffondersi le imitazioni di oggetti raffinati, come le porcellane, e comincia a crearsi quel doppio mercato grazie al quale chi se lo può permettere acquista l’originale e guarda con disprezzo le imitazioni, mentre chi ha un borsellino più leggero acquista e spesso apprezza oggetti che non sono «d.o.c.»224.

Grazie alle ricerche condotte, possiamo seguire il diffondersi e il trasformarsi dei beni anche in Inghilterra. Nel 1675, per esempio, solo il 9% delle famiglie ha dei piatti di peltro. Ma cinquant’anni dopo quelle che ne possiedono sono ben il 45%. Nello stesso periodo le case in cui è dato di trovare delle terraglie, che nel lungo periodo sostituiranno lo stesso vasellame di peltro, passano dal 27 al 57%. Tazze e altri utensili per bevande calde, che inizialmente nessuno possiede, nel 1725 sono disponibili nel 15% delle famiglie, mentre quelle che dispongono di coltelli e forchette crescono dall’1 al 10%225.

Almeno in parte, proprio la diffusione di tali oggetti contribuisce a ridisegnare i mobili e cangianti confini che distinguono lo stile di vita in città da quello di campagna. A Londra i possessori di terraglie nei cinquant’anni analizzati aumentano di oltre cinque volte, passando dal 14 al 75%. Anche in campagna il loro numero aumenta, ma in modo meno sensibile. Essi infatti raddoppiano, aumentando dal 26 al 51%. Ancora più marcate le differenze qualora si guardi alla diffusione delle porcellane: inizialmente sconosciute, nel 1725 sono presenti in più di un terzo delle case londinesi (35%), in meno di un ventesimo di quelle di campagna (4%). I possessori di utensili legati al consumo di bevande calde nella capitale sono infine dieci volte più numerosi che nelle zone rurali (rispettivamente 60 e 6% nel 1725)226.

I mutamenti appena indicati si inseriscono in una tendenza alla moltiplicazione degli oggetti presenti nelle abitazioni che rimanda a nuovi usi, costumi e consumi (prendere il tè o il caffè), alla diffusione del gusto per un lusso più o meno opulento, a seconda dei ceti sociali, e per un certo comfort fatto anche di soprammobili, di porcellane, di orologi, di specchi, di quadri, di tappezzerie e di tendaggi che abbelliscono l’ambiente e lo isolano meglio dal freddo, di comode poltrone, di tavolini da gioco, di nuovi mobili che permettono di organizzare in modo più razionale la massa crescente degli oggetti domestici.

Il valore di tali beni spesso non è soltanto economico. Nel XV secolo Leon Battista Alberti, nel terzo dei suoi Libri della famiglia, aveva parlato degli arredi domestici in termini non solo materiali. Se la parola usata per definirli, cioè masserizia, significava originariamente «risparmi» (di denaro), Alberti attribuiva ad essa un nuovo valore, carico di implicazioni morali. Nelle sue pagine la masserizia è costituita infatti dai beni posseduti da una famiglia, beni che vanno conservati con cura quasi rappresentassero, come ha scritto un autore, «il cuore della sua identità e della sua esistenza, il fondamento della sua reputazione». Questa posizione esprimeva ma al contempo giustificava le nuove abitudini di consumo che si andavano delineando nell’Italia rinascimentale, dove le élites urbane mostravano di condividere sempre più raramente i sospetti, la diffidenza e la stigmatizzazione verso la ricchezza che avevano animato una parte importante della tradizione religiosa e della cultura medievale. Fin dal Trecento, d’altronde, in Toscana una crescente letteratura secolare aveva attaccato la povertà dipingendola come un potenziale elemento di corruzione, mentre nel Quattrocento gli umanisti fiorentini svilupparono «una nuova filosofia che sottolineava il potenziale della ricchezza e le splendide occasioni che essa offriva alla pratica attiva delle virtù di liberalità e generosità, negate ai poveri». Ciò non implica, naturalmente, il venir meno di ogni forma di stigmatizzazione dell’abbondanza. Forme di disagio verso di essa non mancheranno d’altronde neppure nei secoli successivi, come dimostra ad esempio «l’imbarazzo» dei ricchi olandesi nel XVII secolo. Ma nonostante le critiche alla ricchezza e ai consumi, i beni familiari si riveleranno anche in molti altri contesti carichi di significati che travalicano il loro valore economico e materiale.

In questo senso, negli interni domestici, in particolare in quelli benestanti, beni nuovi fiammanti spesso ne affiancano altri ereditati dagli avi: cimeli che con la loro patina antica testimoniano la durata nel tempo della famiglia e da ciò traggono, almeno in parte, il loro valore, come testimonia la cura con cui i notai veneziani del Cinquecento specificano quando l’argenteria è «antica» o addirittura «antichissima» o quando è tale uno dei numerosi quadri che precocemente abbelliscono le case della città veneta. Tra di essi sono numerosi i ritratti familiari. Un altro bene il cui pregio – agli occhi di chi li commissiona, li compera e poi li conserva con cura al fine di poterli trasmettere ai propri eredi – non sembra poter esser ridotto né al valore monetario né a quello artistico, ma pare includere il fatto che essi conservano visivamente la memoria familiare. Un valore simile paiono d’altronde avere gli eleganti armadi trasmessi di generazione in generazione dalle famiglie olandesi del Sei-Settecento, spesso esposti in bella vista nella stanza principale dell’abitazione: la loro solida materialità incarna concretamente la continuità della famiglia e della sua prosperità nel momento stesso in cui le loro ante ne proteggono la biancheria accuratamente ripiegata, i pezzi di abbigliamento, talvolta i gioielli e le memorie227.

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