Capitolo IV.

Il letto

«Rechordo come chatelina […] adì 23 de dessembre 1497 la sira […] tose el schaldaleto e feme schaldo el leto». [= «Ricordo come Catelina […] il giorno 23 dicembre 1497 la sera [...] prese lo scaldaletto e mi scaldò il letto»]. Il muratore bolognese Gasparo Nadi ritenne opportuno annotare nel suo eccezionale diario che la sua terza moglie Catelina una sera di dicembre aveva deciso di scaldargli il letto. Innamoratissimo della prima moglie, morta di parto nel lontano 1462, soddisfatto della seconda, portata via dalla pestilenza del 1467, con la terza il longevo Gasparo (1418-1504) aveva spesso avuto problemi: lei anzi a un certo punto l’aveva lasciato, ma poi la morte di un figlio li aveva riavvicinati. Ora, dopo quasi trent’anni di matrimonio, Catelina gli metteva lo scaldaletto: «non l’avea mai fatto», notava Gasparo. «Idio sia sempre lodato». Il ricordo di un piccolo gesto di premura di una moglie per il marito è arrivato sino a noi, sopravvivendo per oltre cinque secoli. Un piccolo gesto di calore umano espresso attraverso il calore dello scaldaletto nel freddo di dicembre193.

Non sappiamo come fosse esattamente lo scaldaletto usato da Catelina. Gli scaldaletti erano comunque recipienti riempiti con le braci che venivano posti tra le lenzuola (spesso erano costituiti da una specie di padella di metallo con un coperchio bucato e un lungo manico). Lo scopo per cui venivano usati era ovviamente quello di rendere il letto più caldo e accogliente.

Proprio la necessità di lottare con il freddo forse contribuisce a spiegare la centralità del letto nell’arredamento delle case: se il caminetto rappresenta un polo dello spazio domestico e delle relazioni familiari, il letto ne rappresenta inequivocabilmente un altro. In Olanda nelle case più abbienti non di rado troneggia al centro della stanza. In quelle di classe media è senza dubbio l’oggetto più costoso. Un semplice letto da appoggiare contro il muro vale tra i 15 e i 25 gulden, un letto decorato, a baldacchino, da mettere in mezzo alla camera, può valerne più di 100 (un operaio guadagna circa 5 gulden alla settimana, e un agiato commerciante con 1000 gulden può comperare una casa degna del suo status)194. A Parigi è di solito il primo dei mobili elencati negli inventari post-mortem. Ed è descritto con una dovizia di particolari che riflette il suo valore. Nelle successioni dei poveri nel Settecento esso è pari a circa il 15% del patrimonio. Tra i salariati rappresenta il 25% del valore dell’arredamento, tra i domestici il 39%. Presente pressoché in ogni unità abitativa cittadina, può avere una notevole varietà di fogge e forme, dal semplice materasso (che però sembra non venga mai appoggiato per terra) al letto a baldacchino. Ma nel XVIII secolo almeno il letto principale della casa è quasi sempre dotato di cortine che contribuiscono a riparare dagli spifferi e a creare un ambiente protetto, una vera «casa nella casa». Su un campione di oltre 3000 letti parigini relativi al periodo 1690-1789 quelli provvisti di tendaggi sono il 72,5%. Talvolta il letto è collocato in un’alcova o, soprattutto al Nord delle Alpi, in una nicchia ricavata nel muro e chiusa sul davanti da una tenda o da un’anta195.

La differenziazione e la moltiplicazione dei tipi di letto data più o meno dal Quattrocento. Nel periodo precedente, infatti, la gran maggioranza della popolazione dormiva su giacigli di paglia o su pagliericci messi su semplici tavolati, su pedane o su cassoni. Come già si è visto, soluzioni del genere continuarono a lungo a sopravvivere. Ancora alla fine del periodo da noi analizzato i letti più semplici erano costituiti da alcune assi appoggiate su bassi cavalletti con sopra un saccone di paglia o un materasso196 (Fig. 29 e Tav. 22). Nel corso del XV secolo, tuttavia, nelle case dei ricchi la lettiera divenne un mobile imponente, dotato di testiera, circondato sugli altri tre lati da cassoni che servivano a riporre gli oggetti e fungevano al contempo da predella, da sedile e, per così dire, da comodino. Accanto ad essi si svilupparono tuttavia anche letti a rotelle che potevano essere facilmente spostati ed erano talvolta tenuti sotto la lettiera, e poi lettucci e letti smontabili. La moda dei letti «a cassoni» declinò verso la fine del secolo, in concomitanza con le trasformazioni dei tendaggi che spesso isolavano il letto. In origine, infatti, essi scorrevano grazie ad anelli lungo aste di legno o metallo attaccate al soffitto. In seguito, tuttavia, probabilmente anche per rendere più facile aprire o chiudere le cortine senza alzarsi, andarono sviluppandosi letti a baldacchino o a padi­glione con tendaggi che cadevano esattamente intorno al perimetro del letto, e rendevano dunque scomoda la presenza dei cassoni, che stavano peraltro subendo la concorrenza di altri mobili, in primo luogo dell’armadio, come vedremo meglio. Attaccati direttamente al soffitto o retti da colonne, padiglione, baldacchino e tendaggi contribuirono a dare al letto, per ragioni estetiche oltre che funzionali, un carattere sempre più architettonico. Grazie a tali elementi esso diveniva uno spazio che poteva essere completamente isolato da tutti i lati197. In Toscana si dava significativamente il nome di «camera» allo spazio racchiuso entro le cortine198.

Possiamo tuttavia supporre che il senso di protezione, calore e comfort di un letto non derivasse solo dal fatto di poter essere «chiuso», ma anche dalla sua dotazione in materassi, coperte ecc. Tale dotazione era variabile come quella della struttura del letto, dal momento che si andava dalla semplice paglia e dai miseri pagliericci all’abbondanza di materassi e preziosi copriletti. Ma anche in case non ricche la dotazione per il letto spesso ci colpisce per la sua complessità, che conferma l’importanza pratica e simbolica di tale mobile. Nell’Italia del Rinascimento, per esempio, un letto fatto con tutti i crismi prevedeva che sulle assi si mettesse un saccone di tela che conteneva della paglia e, sopra di esso, il materasso. O meglio: i materassi, dal momento che chi se lo poteva permettere ne metteva più d’uno, a volte anche tre o quattro. Di solito i materassi erano imbottiti di bioccoli di lana o di piume di scarsa qualità. Era invece di piume più soffici la coltrice, un’imbottita che veniva messa sopra i materassi. C’erano poi le lenzuola, generalmente di lino, ma di tele piuttosto ruvide nei letti dei servi e dei meno abbienti. Le coperte erano rappresentate dalla coltre, che era una trapunta, e/o da una coperta di lana. Sargie e «celoni» erano tipi di coperture che potevano fungere anche da copriletto. Il copriletto, insieme a capezzali e cuscini, di solito riempiti di piume, completava la dotazione, talvolta tanto sontuosa da indurre alcuni governi a prendere provvedimenti suntuari contro il suo lusso199. Qualche secolo più tardi la varietà della dotazione dei letti dei mezzadri toscani appariva simile: saccone; materasse (riempite di lana oppure, quelle più povere, con i cascami della pettinatura del lino e della canapa); coltrice di piume o, dal Settecento, di cotone; capezzale lungo quanto tutta la larghezza del letto e cuscino corto, entrambi di piume; coperta di lana, coltrone (coperta imbottita di bambagia); talvolta sargia; e infine lenzuola, il cui numero era un buon indicatore della ricchezza di una famiglia (nel Seicento le famiglie dei contadini ne possedevano in media 4 o 5)200.

Proprio parlando dei contadini toscani e dei loro grandi letti si è constatato che nel mondo rurale dormire da soli è piuttosto raro. Ma in città la situazione si presenta diversa? Quante persone accoglie ciascun letto? A Norwich, che all’epoca è per grandezza la seconda città inglese, a partire dall’inizio del XVIII secolo nella cosiddetta parlour chamber, stanza usata prevalentemente e in misura crescente come camera da letto, non si trovano più i lettucci mobili a rotelle (truckle o trundle beds) che in precedenza era spesso dato di scoprirvi: segno probabilmente del fatto che servi e figli smettono di dormire nella stessa stanza di padroni e genitori. Non è tuttavia possibile stabilire se questa trasformazione si intrecci con una maggior diffusione dei letti individuali201. In un contesto come quello parigino sembra che nel Seicento sia comune, anche in famiglie relativamente agiate, che i bambini dormano in due per letto, più raramente in tre. Nel Settecento invece anche per loro si moltiplicano i letti individuali, magari smontabili. Le coppie continuano però a tenere con sé i figli più piccoli, nonostante le ammonizioni e le denunce di chi ricorda i casi di neonati soffocati dal corpo dei genitori202.

Ma se la tendenza è verso l’individualizzazione del letto, anche in città a quest’epoca molti ancora non godono di tale privilegio: nella ricca Parigi tra il 1695 e il 1715 la media è di 1,9 persone per letto tra i domestici, di 2,3 tra i salariati; e verso il 1780 i valori sono ancora, rispettivamente, di 1,8 e 1,9. Non mancano, inoltre, nelle stanze affollate del popolo, letti in cui si accalca tutta la fami­glia: talvolta anche cinque, sei, addirittura sette persone203. Se diamo credito alle parole di Ménétra nel tardo Settecento i ceti popo­lari parigini non paiono considerare il dormire un’attività del tutto privata: una coppia di amici ospita il vetraio senza troppi problemi nel proprio letto una sera che è rimasto senza chiavi; spesso egli dorme in locande in cui persone sconosciute condividono se non proprio lo stesso giaciglio quantomeno la stessa stanza, in una promiscuità che, soprattutto per le donne, può risultare anche pericolosa. Una mattina, ad esempio, Ménétra si infila senza tanti complimenti nel letto di una giovane compagna di stanza dopo che la madre di questa si è alzata, lasciando la figlia sola: «Il giorno iniziava a spuntare, l’oggetto era adorabile, ne approfitto», racconta nel suo Journal. «Ah che piacere quando una cosa del genere capita all’improvviso. Chiedo a uno della Borgogna, che mi era a fianco, se non vuole approfittarne. Mi risponde che l’ho troppo eccitato. Gli apro la porta e vado a riposare». La mattina dopo Ménétra vuole ripetere l’esperienza, ma non si accorge che ad essersi alzata è la ragazza, non la madre, che quando sente arri­vare l’intruso comincia a gridare e va su tutte le furie. Ma non è questa l’unica occasione in cui l’intraprendente e sfrontato vetraio approfitta della promiscuità degli alloggiamenti. Qualche tempo prima, infatti, essendosi accorto che un coltellinaio aveva introdotto la sua fidanzata «travestita da sarto» nella casa dei ­lavoranti, dove entrambi alloggiavano, non appena il giovane si era allontanato egli non si era lasciato sfuggire l’occasione, nonostante le vive resistenze e proteste della fanciulla204.

Ma se negli alloggiamenti popolari giacigli e spazio scarseggiano e sembra imperare una certa promiscuità, nelle vaste dimore dei più fortunati è presente una pletora di letti. Anche marito e moglie spesso hanno camere separate, seppur non di rado attigue o collegate da passaggi segreti. Nel Settecento, tuttavia, in Inghilterra gli sposi d’alto rango dormono insieme, mentre in Francia il «signore» e la «signora» hanno letti – e camere – separati205. Ma sarebbe scorretto dedurre dal numero dei letti che essi sono sede solo di attività private. Soprattutto in Francia, infatti, il letto è anzi un mobile di lusso, da ostentare. A corte diviene precocemente il centro della vita regale. Il sovrano regna, per così dire, dal suo sontuoso letto206. E le signore ricevono a letto: la ruelle, in italiano corsello, cioè lo spazio tra il letto e il muro, di cui oggi non resta quasi memoria, è sede di un’intensa socialità207. Ma questi letti preziosi in cui si ricevono gli ospiti importanti spesso non sono quelli in cui si dorme: nelle dimore più ricche, infatti, accanto al letto privato in cui davvero ci si corica già nel Rinascimento ci sono stanze da letto e letti «da parata», destinati ad avere grande diffusione nella seconda metà del Seicento208 (Fig. 28). «La stanza da letto che segue è più da parata, che d’uso», scrive ad esempio Augustin-Charles D’Aviler nel 1691 illustrando una delle piante del suo Cours d’Architecture209. «Dopo due, o tre anticamere [...] si può passare in una stanza più grande [...] quale servirà per le feste, veglie, o altri trattenimenti, e di là poi passare alla camera di dormire: ma qualora dopo le due o tre anticamere passar si voglia immediatamente alla camera di dormire, allora si farà grande questa, che avendo il letto nel mezzo servirà per pura comparsa, onde chiamasi camera di parata, e servirà alle funzioni dette di sopra, facendosi sempre dietro altra piccola camera [...] nella quale si dormirà in effetto», gli fa eco Giovanni Biagio Amico nel suo Architetto pratico (1726 e 1750)210.

Rispetto ad oggi in Età moderna la varietà dei letti e delle funzioni da essi svolte appare insomma molto più ampia: la loro gamma spazia dai miseri pagliericci che svolgono a malapena la funzione di offrire un caldo riparo per il sonno notturno ai letti monumentali in cui nessuno dorme, usati per ricevere ospiti di riguardo o sudditi ostentando ricchezza e potere. Se oggi la destinazione del letto è soprattutto intima e privata, in passato non era necessariamente tale. Da un lato infatti accanto ai letti privati c’erano letti da parata fatti per essere mostrati in pubblico; dal­l’altro anche i letti che non erano concepiti principalmente per l’ostentazione grazie alle cortine di cui spesso erano dotati poteva­no essere aperti o chiusi agli sguardi indiscreti. Complessivamente, tuttavia, i letti erano più affollati e promiscui di oggi, visto che una larga parte della popolazione non ne aveva uno tutto per sé.

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