Indice Estratto

Edizione: 2004, IX rist. 2021
Pagine: 176
Collana: Biblioteca di Cultura Moderna [1174]
ISBN carta: 9788842074762
ISBN digitale: 9788858122495
Argomenti: Filosofia contemporanea: storia e saggi, Estetica: storia e saggi

Forme dell'estetica

Dall'esperienza del bello al problema dell'arte

Fabrizio Desideri

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Una mappa concettuale, chiara e originale, dell’estetica come disciplina filosofica di frontiera. La prima parte è dedicata all’esperienza del bello attraverso un’analisi delle tematiche della percezione, dell’emozione e del giudizio estetico. La seconda parte affronta il problema dell’arte e risponde a sfide teoriche sollecitate dall’oggi. Nell’epoca della svolta multimediale e della diffusione delle tecnologie digitali è ancora possibile parlare di unità dell’arte? Come riconosciamo un’opera d’arte? In che rapporto sta la fruizione delle opere artistiche con la nostra più generale esperienza? Quale relazione è ancora pensabile tra finzione artistica e realtà?

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Edizione: 2021
Pagine: 176
Collana: Biblioteca di Cultura Moderna
ISBN: 9788842074762

L'autore

Fabrizio Desideri

Fabrizio Desideri è professore straordinario di Estetica presso l’Università di Firenze. Ha curato edizioni italiane delle opere di Benjamin, Kant, Nietzsche, Novalis, Simmel. Tra i suoi libri: Walter Benjamin. Il tempo e le forme (Roma 1980); Quartetto per la fine del tempo. Una costellazione kantiana (Genova 1991); La porta della giustizia. Saggi su Walter Benjamin (Bologna 1995); Il velo di Iside. Coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico (Bologna 1997); L’ascolto della coscienza. Una ricerca filosofica (Milano 1998); Il fantasma dell’opera. Benjamin, Adorno e le aporie dell’arte contemporanea (Genova 2002); Il passaggio estetico. Saggi kantiani (Genova 2003); Dall'oggetto estetico all'oggetto artistico (a cura di, con G. Matteucci, Firenze 2006); Estetiche della percezione (a cura di, con G. Matteucci, Firenze 2007); Paul Celan. La poesia come frontiera filosofica. (a cura di, con M. Baldi, Firenze 2008); Storia dell'estetica occidentale. Da Omero alle neuroscienze (con C. Cantarelli, Roma 2008).

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¹ Per amore di completezza, si potrebbe osservare a questo proposito che leproposizioni di tenore etico sono quelle proposizioni dove l’impegno in prima persona (il ‘credere giusto che’ o il ‘ritenere un valore un determinato atteggiamento’, ad esempio la sincerità) è sempre inclusivo di un noi. Ma questo tema non può essere affrontato qui.

² Per la nozione di esperienza come relazione originaria rispetto a tutte quelle distinzioni che suppongono il linguaggio e la coscienza si veda M. Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, nuova ed. italiana a cura di M. Carbone, tr. it. di A. Bonomi, Bompiani, Milano 2003 (IV ed. riveduta).

³ «Poiché il medesimo corpo vede e tocca, visibile e tangibile appartengono al medesimo mondo. È un prodigio troppo poco notato il fatto che ogni movimento dei miei occhi – di più, ogni spostamento del mio corpo – ha il suo posto nel medesimo universo visibile che attraverso di essi io esploro nei suoi particolari, così come, reciprocamente, ogni visione si effettua in qualche luogo dello spazio tattile. C’è rilevamento doppio e incrociato del visibile e nel tangibile e del tangibile nel visibile, le due mappe sono complete, e tuttavia non si confondono. Le due parti sono parti totali, e tuttavia non sono sovrapponibili» (Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, cit., pp. 150-51).

⁴ A questo proposito Edmund Husserl traccia la distinzione tra esperienze schiette ed esperienze fondate: «Il mondo, quale ci è sempre già-dato nella doxa passiva come un tutto, costituendo il suolo di credenza per ogni singolo atto giudicativo, è pur dato nell’esperienza schietta come mondo di sostrati coglibili in modo schiettamente sensibile. Ogni schietta esperienza, anzi ogni esperienza nel senso d’essere di un sostrato schietto, è esperienza sensibile e il sostrato esistente è il corpo, il quale si attesta in concordanza con l’esperienza e perciò vale come veramente esistente» (E. Husserl, Esperienza e giudizio, tr. it. di F. Costa e L. Samonà, post-fazione di F. Costa, Bompiani, Milano 1995, pp. 48-49). In quanto «schietta» l’esperienza è esperienza della natura come «strato inferiore che fonda tutti gli altri», in quanto «fondante» essa implica il passaggio alla riflessione e al giudizio in cui si produce la «certezza di un ente che non è semplicemente corporeo ma è un ente soggettivo che è in unità con il corpo ed è ad esso riferito» (ivi, p. 50).

⁵ Si veda per questo H.G. Gadamer, Verità e metodo, tr. it. a cura di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1987 (IV ed.).

⁶ Osserva in proposito Onians: «dunque la primaria relazione del respiro con la coscienza sembra essere stata elaborata in una fase assai antica, fino alla logica conclusione in un sistema armonioso, che sopravvive, benché non riconosciuto in questi termini» (R.B. Onians, Le origini del pensiero europeo, a cura di L. Perilli, tr. it. di P. Zaninoni, Adelphi, Milano 1998, p. 100).

⁷ Cfr. A.G. Baumgarten, L’Estetica, a cura di S. Tedesco, tr. it. di F. Caparrotta, A. Li Vigni, S. Tedesco, consulenza scientifica e revisione di E. Romano, Aesthetica, Palermo 2000, pp. 27 e 29.

⁸ Questa distinzione tra attenzione e intenzionalità in senso forte o ordinario è difesa da G. Genette, in L’Opera dell’arte, a cura di F. Bollino, tr. it. di R. Campi, 2 voll., Clueb, Bologna 1998, vol. 2: La relazione estetica, pp. 20-22. Genette fa coincidere l’attenzionalità con il senso lato e più debole di intenzionalità (tematizzato in prospettiva fenomenologica da Husserl e in prospettiva analitica dal filosofo americano John Searle). Secondo questo senso ampio «ogni attività percettiva, o cognitiva, è intenzionale», vale a dire è diretta verso un oggetto.

⁹ A questo proposito è interessante la distinzione tra sensazioni e percezioni fatta dallo psicologo americano Nicholas Humprey (in Id., Una storia della mente, tr. it. di B. Antonielli d’Oulx, Instar Libri, Torino 1998, pp. 157-245). Le prime – secondo Humprey – sono «fenomenicamente immediate» e caratteristicamente legate ad un «luogo nello spazio corporeo». Possiamo così provare sensazioni, prima ancora di analizzarne lo stimolo. Per questo le sensazioni includono sempre molto di più di quanto è avvertito dalle percezioni, che Humprey caratterizza in senso cognitivo, parlando prevalentemente di quanto avviene nel caso della vista e dell’udito. Se questo svincolo di percezione e «riferimento» al corpo non è del tutto condivisibile, è interessante invece l’analisi che Humprey fa della struttura della sensazione come un «anello di retroazione», dove i segnali in uscita influenzano quelli in entrata e quelli in entrata influenzano quelli in uscita. Humprey critica in proposito la struttura classica della sensazione, basata soprattutto sull’analisi della struttura anatomica dei nervi afferenti. Insistendo sulla pari importanza del segnale di ritorno che il cervello invia alla superficie corporea, egli vede ogni sensazione come un «anello di retroazione riverberante». Nella struttura della sensazione vi sarebbe, dunque, già la protoforma di una risposta soggettiva: «nel concetto di retroazione è infatti racchiuso l’intero significato della risposta affettiva».

¹⁰ Per evitare la rigidità della distinzione tra sensazione e percezione, sono importanti le osservazioni contenute in T. Crane, Fenomeni mentali. Un’introduzione alla filosofia della mente, tr. it. di C. Nizzo, Raffaello Cortina, Milano 2003, pp. 114-130. Qui Crane distingue tra coloro che sostengono un intenzionalismo debole delle sensazioni corporee come il dolore, secondo cui in questi casi vi sarebbero stati mentali caratterizzati da «proprietà coscienti non intenzionali, i qualia», e coloro che sostengono invece un intenzionalismo «forte», secondo cui le sensazioni includono una consapevolezza del corpo presentando «parti o regioni del corpo mediante modi intenzionali» e possedendo «una certa forma aspettuale». Crane difende quest’ultima posizione, sostenendo che «il carattere fenomenico di uno stato» (ad esempio una sensazione di dolore) non è determinato solo dal suo contenuto, ma anche dal «modo intenzionale» ovvero dall’attegiamento nei suoi confronti. Così difende una «teoria percettiva» della sensazione, che considera «la sensazione corporea come una forma di percezione, la percezione di ciò che avviene nel proprio corpo» (ivi, p. 126), evitando di identificare l’intenzionalità della sensazione in senso rappresentazionalista, dove il dolore sarebbe «la rappresentazione di un danno al corpo» e la coscienza di esso la «rappresentazione di un certo stato di cose».

¹¹ Sulla disputa tra oggettivismo e soggettivismo nell’ambito dell’estetica e, in particolare, intorno al bello, cfr. W. Tatarkiewicz, Storia di sei Idee. L’Arte il Bello la Forma la Creatività l’Imitazione l’Esperienza Estetica, presentazione e cura di K. Jaworska, postfazione di L. Russo, Aesthetica, Palermo 1997 (II ed.), pp. 221-45. A questo testo rimandiamo per una efficace introduzione, sia teorica sia storica, alle idee fondamentali dell’estetica. Dello stesso autore è importante anche Storia dell’estetica, a cura di G. Cavaglià, 3 voll., Einaudi, Torino 1979. Tale Storia riguarda l’estetica antica, medievale e moderna, ma si ferma agli inizi del 1700; per una storia dell’estetica a partire da questa data fino all’epoca contemporanea invece cfr.: F. Restaino, Storia dell’estetica moderna, Utet Libreria, Torino 1991; N. Schneider, Storia dell’estetica, tr. it. di N. Curcio, con un’appendice di P. D’Angelo, Neri Pozza, Vicenza 2000; S. Givone, Storia dell’estetica, Laterza, Roma-Bari 2003 (nuova ed. riveduta e aggiornata).

¹² È un aspetto notato da Wittgenstein nelle sue Lezioni di estetica; cfr. L. Wittgenstein, Lezioni di estetica in Id., Lezioni e conversazioni, a cura di M. Ranchetti, Adelphi, Milano 1967, pp. 53-57.

¹ «La percezione è sempre nel modo del ‘Si’. Non è un atto personale, in virtù del quale darei io stesso un senso nuovo alla mia vita. Chi, nell’esplorazione sensoriale, dà un passato al presente e lo orienta verso un avvenire, non sono io come soggetto autonomo, ma io in quanto ho un corpo e so ‘guardare’. Più che essere un’autentica storia, la percezione attesta e rinnova in noi una ‘preistoria’» (Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, a cura di A. Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1980 [III ed.], p. 320).

² «Che cosa abbiamo dunque all’inizio? Non una data molteplicità con una appercezione sintetica che la percorre e la attraversa da capo a fondo, ma un certo campo percettivo sullo sfondo del mondo. Nulla qui è tematizzato. Né l’oggetto né il soggetto sono posti. [...] Ciò che chiamiamo sensazione non è se non la percezione più semplice e, in quanto modalità dell’esistenza, non può, al pari di ogni percezione, separarsi da uno sfondo, che in definitiva è il mondo» (ivi, p. 321).

Forme dell'estetica

L'autore

Fabrizio Desideri

Un monito scelto dalla famiglia Laterza come esortazione alla tenacia e ad una costante crescita.

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